Home Notizie Robin Hood, la recensione: quando l’origine della leggenda diventa parodia di un cinecomic

Robin Hood, la recensione: quando l’origine della leggenda diventa parodia di un cinecomic

Cappuccio, maschera e frecce sparate alla velocità della luce, torna al cinema Robin Hood.

pubblicato 20 Novembre 2018 aggiornato 27 Agosto 2020 14:56

Ad Hollywood non era bastato il roboante flop del 2010, quando il kolossal da 200 milioni di Ridley Scott fece perdere alla Universal un centinaio di milioni di dollari. Dinanzi al ‘mito’ di Robin Hood, infatti, la Lionsgate/Summit e la Appian Way Productions di Leonardo DiCaprio hanno deciso di far risorgere il ladro gentiluomo che rubava ai ricchi per dare ai poveri, tramutandolo in un Cavaliere Oscuro, in un Lord mascherato che spara frecce come se fossero proiettili per vendicarsi del perfido sceriffo di Nottingham e riconquistare l’amata Marian.

Diretto dallo sconosciuto 47enne britannico Otto Bathurst, visto all’opera con il drama BBC Peaky Blinders e con un episodio di Black Mirror (“The National Anthem“), il nuovo Robin Hood prova a raccontare le ‘origini’ del mito, strizzando l’occhio a quel pubblico giovane letteralmente cresciuto a pane e cinecomics. Robin di Loxley, mal interpretato da un Taron Egerton che non riesce a replicare la sfrontatezza del protagonista di Kingsman, viene spedito alle Crociate dal perfido Sceriffo, che approfitta della sua lunga assenza per impossessarsi delle sue Terre e di tutte le sue ricchezze, sbattere in strada Marian e spolpare l’intera contea di Nottingham. Guidato da un mentore conosciuto in guerra, il giustizialista e saggio Little John, Robin Hood dovrà riuscire a scatenare una rivolta contro la Corona d’Inghilterra e a smascherare l’ipocrisia dei massimi governanti, subdola Chiesa in testa.

Si fa onestamente fatica a capire come DiCaprio e la Lionsgate/Summit siano riusciti a farsi convincere a sperperare un centinaio di milioni di dollari per un titolo tanto rischioso, per non dire assurdo, sin dall’ardito script firmato Ben Chandler e David James Kelly.

Il Robin Hood di Bathurst è un action che vive di eccessi e sciocchezze, di scelte a dir poco discutibili (gli abiti ricalcano quelli dei giorni nostri, anche se ambientato ai tempi della 3° crociata tra il 1189 e il 1192) e trovate registiche che strappano enormi perplessità. Dalle frecce che sfondano colonne agli archi meccanici che sparano dardi come se fossero mitragliatrici, mentre la protesta aizzata da un Robin incappucciato in stile Occupy Nottingham prosegue tra sfiancanti rallenty e corse sulle bighe in stile Ben-Hur, all’interno di una contea ricreata in CG soffocata dai fumi delle miniere che ricalcano Mordor, Terra di Sauron del Signore degli Anelli.

Come Bruce Wayne indossa una maschera per nascondersi da Gotham, altrettanto deve fare il giovane Robin di Loxley per salvare l’amata e la popolazione di Nottingham, minacciata da un folle (il super cattivo Ben Mendelsohn) e da un cardinale assetato di potere. L’idea di tramutare Robin Hood in un supereroe senza calzamaglia, ma con cappuccio e mascherina, lascia chiaramente il tempo che trova, soprattutto se rappresentata con fare tanto muscolare e illogico, sovrabbondante ma mai divertente, persino dinanzi a tutta una serie di stramberie che si sommano, scena dopo scena, facendo precipitare ogni minimo senso di pudore cinematografico. Come già avvenuto con King Arthur di Guy Ritchie nel 2017, la ‘spettacolarizzazione’ di un classico medievale è nuovamente e prevedibilmente deragliata, sotto i colpi di un’incongruenza estetica rispetto all’epoca rappresentata difficilmente sopportabile.

D’altronde davanti ad una carrozza trainata da 6 cavalli che letteralmente sfondano un portone di legno come se fossero un SUV si fa fatica a rimanere concentrati e impassibili, mentre Bathurst cede continuamente alla tecnica dello slow-motion per amplificare esplosioni e acrobazie, scimmiottando Michael Bay e Peter Berg nella ricostruzione di una Crociata che guarda alla bombardata Siria di oggi. Il proposito di rilanciare Robin Hood ma sotto una chiave più ‘moderna’, giovanile, meno romantica e più action (come fatto, e male, anche da Paul W. S. Anderson con I tre moschettieri), poteva anche avere vagamente una sua logica, ma l’esperimento Lionsgate/Summit cede spaventosamente sotto i colpi di una sciatteria di scrittura e di regia fastidiosamente digeribile, mentre l’insofferenza critica prende forza e l’inadeguatezza di tutti i protagonisti si fa indelebile. Più che un reboot un disastro annunciato, con potenziale sequel lasciato a galleggiare in superficie da un finale che chiude miseramente due ore di (im?)previste e involontarie risate.

[rating title=”Voto di Federico” value=”2″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Antonio” value=”1″ layout=”left”]

Robin Hood – L’Origine della Leggenda (Robin Hood, Usa, 2018) di Otto Bathurst; con Taron Egerton, Jamie Foxx, Ben Mendelsohn, Eve Hewson, Jamie Dornan, Tim Minchin, Paul Anderson, F. Murray Abraham, Ian Peck, Cornelius Booth, Josh Herdman, Nasser Memarzia, Kane Headley-Cummings, Björn Bengtsson – uscita giovedì 22 novembre 2018.