Home Recensioni Glass, recensione: quei supereroi di M. Night Shyamalan che stavolta non prendono vita

Glass, recensione: quei supereroi di M. Night Shyamalan che stavolta non prendono vita

Troppo incerto questo sequel di Unbreakable e Split, fagocitato da entrambi. Glass parte da una premessa intrigante che si risolve in un variazione sul tema che purtroppo lascia il tempo che trova

pubblicato 10 Gennaio 2019 aggiornato 29 Luglio 2020 21:52

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Elijah Price (Samuel L. Jackson) a un certo punto non può proprio fare a meno di sottolinearlo: questo non è un showdown, bensì una storia sulle/delle origini. Sì, nelle intenzioni Glass è questo, sebbene poggi su altri due film di cui non è un prequel bensì un sequel. Inutile perdersi in diciture: basta dire che gli eventi di questo film sono ambientati nello stesso mondo (o universo, dato il contesto) di Unbreakable e Split, i cui archi narrativi vengono qui fatti convergere per imbastire un certo discorso. Sulle origini? Sì, ma anche di senso, perché quando vuoi andare così a ritroso è perché vuoi ripensare un dato fenomeno, per meglio collocarlo, perché si ritiene vi sia qualche equivoco di percezione.

E va detto che Glass nel 2019 è espressione di un’idea concettualmente ‘giusta’, dopo dieci anni di cinecomic molesto in cui di cose nel settore ne sono accadute, tante da far credere che certo cinema sia cambiato per forza di cose anche e soprattutto in relazione all’ingresso e successiva imposizione della Marvel a Hollywood. Dopo l’exploit, oramai da tempo consumatosi, non si può perciò che sperimentare la fase successiva, quella in cui appunto certi aspetti, finanche fondanti, vengono messi in discussione; accade in fase di stagnazione, quando si percepisce che certe dinamiche stanno esaurendo la loro funzione, avendo già assolto a tutto ciò che dovevano assolvere.

Dunque che fa mister Shyamalan? Riporta tutto in piccolo, o almeno ci prova, nel tentativo appunto, cosciente o meno, di resettare ogni cosa, di ripartire dalle basi. E come evidenziato in apertura, si tratta senz’altro di un’ambizione onesta, comprensibile. Il discorso cambia laddove ci si ferma a metà strada, in quell’accostarsi quasi timido, quali che siano le ragioni. Proviamo a cercarle. Di primo acchito, visto il film, l’impressione è che in realtà, colta questa presunta necessità di fare un ragionamento sullo stato delle cose, non si sia stati altrettanto abili nel tirare fuori delle tesi altrettanto convincenti.

Glass è un film sui supereroi che nega il format dei film sui supereroi, e fin qui va bene; senonché ci tiene a fartelo sapere, anzi, te lo ripete costantemente qualora non fosse chiaro il concetto. E il titolo, in tal senso, non è affatto fuorviante, dato che su Glass/Elijah grava l’ingrato compito di illustrare il tutto. Non si riesce a non storcere il naso davanti a un film strutturato come un lungo prologo, a conti fatti un preambolo, a quegli ultimi venti minuti. Il che è problematico specie in considerazione di un modus operandi quale quello di Shyamalan, che relega proprio alla parte finale delle sue storie quel rovesciamento di prospettiva, in forma di twist più o meno puro, che, se funziona, beh, ecco, funziona persino troppo bene; diversamente è un bel problema.

Per larga parte delle sue oltre due ore Glass ci gira attorno, partendo da una premessa: e se i tre protagonisti, Kevin (James McAvoy), David (Bruce Willis) ed Elijah in realtà non avessero dei poteri straordinari ma la loro fosse solo una suggestione, un fatto psicologico, per così dire, che può benissimo essere spiegato mediante la Scienza? E c’è da dire che Shyamalan si prende dei rischi notevoli, accumulando parecchio, complicandosi la vita a tal punto che solo una chiusa oltremodo brillante avrebbe potuto rendere il tutto digeribile. È inevitabile chiedersi perché instillare un dubbio simile senza poi lavorarci per renderlo ai nostri occhi credibile, visto e considerato peraltro che, sebbene non sia questo il nodo da sciogliere, nondimeno ha una sua valenza il far leva sulla possibilità che questi superpoteri in realtà siano immaginari.

Lo diventa alla fine, intendo digeribile? Purtroppo no. Già il lavoro di depistaggio per oltre tre quarti di film, con i tre, supereroi o folli, rinchiusi in questa clinica psichiatrica, tende a non convincere; ma fin lì il processo apparirebbe accettabile poiché tutto sommato si vuole capire dove si andrà a parare, non tanto perché si riesca a far dubitare anche noi spettatori. Al contrario, uno dei maggiori limiti di Glass è proprio questo: Shyamalan non riesce a farcela sotto gli occhi. Ma quel che è peggio, è che strada facendo si avverte persino che ne sia consapevole, ossia di non essere stato abbastanza incisivo, in grado di agganciarci come nelle migliori occasioni (ma anche in alcune meno brillanti ma tutto sommato positive) è riuscito a fare. Eppure, a dispetto di tale consapevolezza, Glass procede su quel binario che conduce inevitabilmente verso un burrone.

La messa in scena del segmento che precede la svolta, quella in vista della quale si è costruito tutto ciò che precede, sta lì a significare questa fatica, l’arrancare di un racconto che, proprio quando dovrebbe decollare, ecco è lì che conferma di non avere le ali. Accadono cose in quel cortile, in cui finalmente avviene il confronto, che già di per sé lasciano perplessi; sensazione tuttavia acuita dal ritmo farraginoso, sbagliato. Non saprei al momento come altro definire quella scena lì, che ammicca ad un crescendo al quale però contravviene in maniera persino straniante per certi versi.

Nulla può l’istrionico McAvoy, nota positiva ma che poco può incidere rispetto ai limiti sin qui tratteggiati. Glass è frutto di un’intuizione, forse addirittura qualcuna in più, sin troppo diluita però in un prodotto che tende quasi per inerzia ad un’amara mediocrità, che al tempo stesso, nondimeno, non gli sarebbe naturale. Restano le spiegazioni di Elijah su come funzionano i fumetti, verso la fine, mentre al contempo ci viene dimostrato cosa non va in un film che quelle stesse procedure non le ha assimilate come avrebbe dovuto, per cui il rigetto. Elijah/Glass, personaggio e film accomunati da quello stato catatonico nel quale vengono entrambi precipitati in vista di un risveglio tardivo, addirittura deleterio.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”5″ layout=”left”]

Glass (USA, 2019) di M. Night Shyamalan. Con Anya Taylor-Joy, James McAvoy, Bruce Willis, Samuel L. Jackson, Sarah Paulson, Spencer Treat Clark e Charlayne Woodard. Nelle nostre sale da giovedì 17 gennaio 2019.