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Torino 2012 – Sun Don’t Shine: recensione in anteprima (Concorso)

Una coppia in fuga tra le landscape della Florida: è Sun Don’t Shine, film indie americano in concorso al 30. Torino Film Festival. Leggi la recensione di Cineblog.

pubblicato 30 Novembre 2012 aggiornato 31 Luglio 2020 20:03

Uno dei film più attesi del concorso del 30. Torino Film Festival, dopo averlo visto, è diventato subito tra quelli che hanno più fatto discutere la stampa e il pubblico. Sun Don’t Shine è uno dei vari indie statunitensi sparsi per la selezione della rassegna, e s’inserisce all’interno del filone “sudista”. Siamo nell’assolata Florida, terra di sudore e afa: lo stato che, quest’anno, ha già “ospitato” un altro “noir” americano, ovvero The Paperboy di Daniels, col quale il film ha più di un punto in comune.

Si tratta dell’opera prima di Amy Seimetz, attrice molto attiva nel mondo del cinema indie very low budget. Presentato in anteprima mondiale nella sezione Emerging Visions del South By Southwest Film Festival di Austin, Sun Don’t Shine si è portata a casa una segnalazione della giuria per la sua regista. Che è senz’altro un talento da tenere d’occhio, almeno dal punto di vista tecnico-stilistico: perché le qualità del film stanno, purtroppo, solo qui.

La possiamo classificare come la più grossa delusione del Torino Film Festival 2012? Azzardiamo, purtroppo. Perché siamo convinti che Sun Don’t Shine non sia quel brutto film di cui molti stanno parlando in giro, ma è, rispetto alle potenzialità e alla sua trama, decisamente al di sotto delle aspettative. Nel raccontare la fuga di una coppia di fidanzati, infatti, la Seimetz pare concentrarsi tutta sullo stile, dimenticandosi di costruire la storia e, di conseguenza, i personaggi. Lei dirà di no, ovviamente, ma questa sensazione, guardando il film, è sempre palpabile.


Il film si apre di botto, senza titoli di testa, su un primissimo piano di Crystal che pare “emergere” dall’acqua. Di seguito inizierà a picchiarsi con il fidanzato, Leo, per qualche strano motivo. I due hanno intrapreso un misterioso road trip, attraverso le desolate e bellissime landscape della Florida, per liberarsi di qualcosa. Hanno paura di essere scoperti, di lasciare tracce, o di essere fermati dalla polizia. In macchina hanno una pistola. Quando si ritrovano a guidare nella zona della Gulf Coast, i disturbanti dettagli del loro viaggio iniziano pian piano a venire a galla: rivelando il sinistro passato di Crystal e il futuro problematico della coppia.

Dal punto di vista stilistico, Sun Don’t Shine è una bomba, senza se e senza ma. Girato in 16mm e curatissimo in ogni dettaglio, si rifà in tutto e per tutto al cinema americano degli anni 70, quello rabbioso e vivo dei Malick e dei Cassavetes. Non solo per la trama, che richiama sin da subito La rabbia giovane del primo e i personaggi femminili del secondo, ma proprio per il modo in cui viene costruita l’opera dal punto di vista visivo e sonoro.

La fotografia è calda, colorata e sgranata; i primissimi piani sono numerosi; la macchina da presa a mano è spesso traballante ed inquieta. C’è tutto, ma anche di più, grazie ad un tappeto sonoro veramente efficacie e studiato in tutto e per tutto: percussioni, campanelli, riverberi, audio azzerato e poi pronto a ri-esplodere. Tutto, però, soffocato in un certo senso da dialoghi in voce off tra i due protagonisti, che vorrebbero colpire lo spettatore, ma in realtà amplificano una sensazione di disagio e distanza emotiva difficile da colmare.


Uno dei problemi del film è la costruzione dei personaggi. Non c’è nessun problema nell’affrescare personalità scomode, spesso anche irritanti e poco predisposte ad essere accettate dal pubblico: lo hanno fatto Demme in Rachel sta per sposarsi e Baumbach ne Il matrimonio di mia sorella. Crystal, però, segue “coerentemente” un percorso di totale impenetrabilità da parte del pubblico: sembra pazza, piange e urla sempre, tormenta Leo fino alla nausea con domande e chiacchiere assurde, legge tutti i cartelli a voce alta mentre viaggiano in macchina, ha gli occhi perennemente sbarrati.

Il marito la picchiava, e nel frattempo ha partorito un figlia, Marla, di cui non riesce forse a prendersi cura. Le motivazioni del suo dolore e del suo comportamento sono chiare, eppure lo restano a livello “intellettuale”, mai viscerale: tant’è che i più cattivi potrebbero sperare in una ribellione del fidanzato, fin troppo buono e paziente. Ma Leo, comunque, resta un personaggio deboluccio. Entrambi non sono aiutati dai loro interpreti, Kate Lyn Shei – in continuo overacting a rischio ridicolo – e Kentucker Audley – impossibilitato a dare qualche sfumatura in più al suo personaggio ansioso e preoccupato dalla situazione che va a rotoli, quindi con la faccia sempre spaventata -.

La storia è scritta su un foglio A4, ma non sarebbe un problema, anzi. Però il mistero che sta dietro a questo viaggio pericoloso si intuisce dopo una decina di minuti, e poco dopo si capisce dove tutta la storia andrà a parare. Insomma: un noir all’apparenza perfetto, con personaggi sporchi e sudati, e che finisce in una palude (tutto come The Paperboy, no?). Ma soprattutto un film che è impossibile da amare, anche se lo si vorrebbe tanto, e che si può definire solo con una parolina abusata ed odiosa, ma che purtroppo calza a pennello in questa occasione: superficiale.

Voto di Gabriele: 6

Sun Don’t Shine (USA 2012, noir 82′) di Amy Seimetz; con Kate Lyn Sheil, Kentucker Audley, AJ Bowen, Kit Gwin, Mark Reeb, Gregory Gordon Schmidt – Qui il trailer.

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