La Vie d’Adèle (Blue is the Warmest Colour): recensione in anteprima del film di Abdellatif Kechiche

A 15 anni Adele non ha alcun dubbio: le ragazze vanno coi ragazzi. Ma la sua vita cambia per sempre quando incontra Emma, una giovane donna dai capelli blu, che le farà scoprire il desiderio e la farà affermare come donna e persona adulta. Di fronte agli altri Adele cresce, cerca sé stessa, si perde, si trova…

Tre ore che passano via in un baleno. Può questo ed altro il cinema di Abdellatif Kechiche, il regista di origini tunisine che ha giustamente fatto impazzire la critica coi suoi La schivata e Cous Cous (Grand Premio della Giuria a Venezia 2007). Nel 2010 ha avuto una battuta d’arresto con Venere nera, che doveva essere il suo grande ritorno e che invece si è rivelato un boomerang a livello di critica. Ma oggi la situazione torna ad essere quella di prima.

Kechiche arriva in concorso per la prima volta a Cannes e porta un progetto al solito ambizioso e molto personale, intitolato letteralmente La Vie d’Adele (Chapitres 1 et 2). E tutti si riconciliano subito con il suo cinema. Torna a volare alto, altissimo Kechiche, dopo la parentesi oscura e “chirurgica” di Venere nera, con un’opera smisurata, emozionante, alla fine anche struggente, e che dimostra che ci sono pochi registi al mondo che sanno essere così disinvolti e naturali nel raccontare la vita come lui.

A suo modo, Kechiche gira la sua versione al femminile di Keep the Lights On, ma con – se possibile – una marcia in più: quella di un coinvolgimento anche epidermico e “carnale” che rapisce. Il film non ha bisogno né di titoli di testa né di coda, perché tra i suoi fotogrammi ha già tutto quello che deve dire. A Kechiche non importa far vedere la mano dell’autore e ribadirla scrivendo il proprio nome a caratteri cubitali, anche se per forza di cose una pellicola così verosimile e naturale deve avere alle spalle un lavoro di preparazione impressionante.

Perché comunque quei “capitoli 1 e 2” come sottotitolo? Perché l’opera racconta a tutti gli effetti due fasi cruciali nella vita della protagonista, Adele. All’inizio la troviamo che ha 15 anni e sta studiando al liceo. Vuole diventare una maestra, ama i bambini, adora leggere (libro preferito: La vita di Marianna di Marivaux!) e non farsi analizzare i libri dai professori perché “bloccano l’immaginazione”, ha un giro di amichette un po’ oche e un migliore amico con cui confidarsi.

Vive la sua prima esperienza con un ragazzo (Thomas, che lascia subito perché le manca qualcosa) e dà il primo bacio ad un’amica, che però la respinge perché non si aspettava che Adele volesse andare più in là col rapporto. In questo periodo della sua vita, in cui Adele piange perché non capisce cosa effettivamente non funzioni con l’altro sesso, conosce l’emancipata e più grande Emma, dai capelli blu elettrico. Quando gli amici di Adele la vedono per la prima volta con la ragazza, le fischiano e chiamano Emma tomboy.


Della seconda fase non vale la pena rivelare nulla, perché sarebbe come troncare ogni sorpresa. L’importante, comunque, si trova nei dettagli: che in La Vie d’Adele sono preziosissimi. Il cinema di Kechiche vive di lunghe sequenze in cui sono fondamentali uno sguardo, una battuta o persino una smorfia non volutamente programmata. Sono quegli attimi improvvisi che ti fanno capire che stai guardando sul grande schermo la vita: ci ragioni a fine proiezione, perché durante il film ne sei completamente assorbito.

Mentre guardi La Vie d’Adele non ti rendi quasi nemmeno conto che Kechiche sta pure affrescando un discorso “già visto” sulla scoperta della propria identità sessuale, nonostante faccia vivere alla protagonista tutte le tappe canoniche di questo percorso (dai primi gay bar al gay pride). Kechiche va oltre il discorso dell’abc da coming-of-age queer e lavora di cesure, di tappe fondamentali che però nel film non vengono mostrate e che lo spettatore sa riempire con la propria immaginazione. Kechiche crede molto nel suo pubblico, e fa bene.

C’è tutto il cinema del regista in questa sua ultima fatica: dall’educazione a scuola e i litigi de La schivata alle grandi cene di Cous Cous, passando anche per l’attenzione al corpo femminile di Venere nera. Molto esplicite e carnali le scene di sesso tra le due protagoniste, soprattutto la prima, e assolutamente necessarie per approfondire l’intensità e l’amore del loro rapporto. Ci saranno polemiche sulla nudità e gli orgasmi delle protagoniste, ma saranno sterili, inutili e pretenziose.

Il regista regala una lezione di regia che – pur volendo un bene dell’anima al regista di Solo Dio perdona – fa impallidire le simmetrie e la costruzione dell’inquadratura dell’ultimo Refn. Non lasciando mai fissa la mdp, Kechiche costruisce il film basandosi in abbondanza su primi e primissimi piani. Notate come costruisce e svela l’ambiente: spesso ci fa vedere il primo campo totale della scena dopo vari minuti e diverse inquadrature dei volti, spiazzando. Se non è una regia magistrale questa…

Clamorose e da premio immediato le due protagoniste: Lea Seydoux è una conferma, mentre Adele Exarchopoulos è un’autentica rivelazione. Se la Seydoux si presenta all’inizio come una donna già formata e sicura di sé, lasciando poi intravedere sempre più delle sfumature dolcissime, la Exarchopoulos ha il compito difficilissimo di dar vita ad una protagonista che da ragazzina del liceo compie tutto un percorso completo entrando ufficialmente nell’età adulta.

La Vie d’Adele ci parla anche di questo: del tempo che scorre. Lo fa senza mai specificare una data o un anno. Ci rendiamo conto che stanno passando i mesi e gli anni solo dopo un po’, perché stiamo vivendo “in diretta” il percorso di Adele e siamo colpiti da un vero turbine di emozioni. In tre ore che non hai manco sentito ti è passato di fronte un periodo importante della vita, dal primo amore alle prime gelosie, dallo studio al lavoro, dalle amicizie perse a quelle nuove. Ti sono passati davanti i migliori anni: e, come nella vita, non hai sentito il peso del loro passaggio.

Voto di Gabriele: 10

La vie d’Adele (Blue is the Warmest Colour, Francia 2013, drammatico 187′) di Abdellatif Kechiche; con Léa Seydoux, Adèle Exarchopoulos, Sandor Funtek, Mona Walravens, Catherine Salle, Aurélien Recoing, Jérémie Laheurte, Aurelie Lemanceau, Karim Saidi, Baya Rehaz. Prossimamente in sala grazie a Lucky Red.