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C’era una volta Pasolini a New York e c’è anche oggi

Al Moma di New York si è svolta una grande iniziativa dedicata a Pier Paolo Pasolini.

pubblicato 17 Dicembre 2012 aggiornato 31 Luglio 2020 19:17

I giornali raccontano che al Moma di New York si è svolta una grande iniziativa dedicata a Pier Paolo Pasolini, organizzata da Cinecittà-Istituto Luce e della Fondazione Pier Paolo Pasolini della Cineteca di Bologna. La grande iniziativa ha avuto un grande successo e mi auguro che abbia un grande futuro.

Ho usato più volte la parola “grande” perché in effetti il Moma, con la sua indiscussa autorevolezza, ha aiutato in modo sensibile l’affermazione di un poeta-regista-personaggio pubblico che, comunque lo si giudichi, è fondamentale per capire non soltanto l’Italia ma anche per entrare nel mondo in cui viviamo viviamo spesso senza comprenderlo. Voglio qui ricordare due episodi che riguardano Pasolini e l’America del Nord.

Uno riguarda la prima visita che Pasolini fece a New York durante gli anni Sessanta, avendone una reazione entusiastica e nello stesso tempo pensosa, con molti fondati dubbi su un paese che ci attrae e spaventa (scrivo nei giorni successi alla ennesima strage nella scuola del Connecticut).
Pasolini disse una cosa impegnativa, e cioè che la rivoluzione (la parola negli Sessanta volava dovunque con il suo sapore a volte magico) poteva nascere solo a New York, o non nascere.

Il risultato che propone la realtà, lo abbiamo sotto gli occhi. Ma Pasolini aveva ragione se si pensa a ciò che è accaduto in America e nel largo mondo, fino a noi, sulla base della influenza che quel paese ha avuto nella mentalità globale. Prima di tutto, il consumismo , la bestia nera del poeta- scrittore, perché esso era alla base di quel che è avvenuto: una dilagante omogeneizzazione che ci incanta e spesso devasta.

Poi, il dominio della immagini e dei modi narrativi. Gli schemi americani hanno divelto contenuti e stili, e li ha il più delle volte sostituiti con indigeribili surrogati; si veda il nostro cinema, ma soprattutto la nostra televisione, subito dopo l’ingresso delle emittenti commerciali.

Il secondo episodio riguarda una manifestazione organizzata da Laura Betti, “grande” attrice e organizzatrice culturale, che allora presiedeva la Fondazione pasoliniana. Si trattava di una serie di incontri negli anni Ottanta alla quale anch’io partecipai insieme a docenti di italianistica in America e a persone a cui sono affezionato, che stimo: Nico Naldini, scrittore, critico, fondamentale biografo di PPP; Francesca Sanvitale, scrittrice, che adesso non c’è più ma che conosceva bene il “collega” Pasolini ed era una sua acuta lettrice; ed Enzo Golino, critico, autore di libri sul lavoro di Pasolini.

Fu un’occasione preziosa, in cui io cercai di assolvere il compito datomi dalla Betti di raccontare il cinema pasoliniano: così illuminante sul nostro paese ma soprattutto “ascoltatore” attento e profondo della realtà di non solo di quegli anni. Fu così che più tardi venni presi contatto e collaborai con docenti americani e biografi di PPP, allora poco noto in quel paese.
La manifestazione promessa e organizzata dalla Betti fu un segno incisivo e credo che sia il riferimento per l’attuale, meritevole, rassegna al Moma, punto di approdo delle ricerche più coraggiose come quella di PPP, che continua ad essere tra i pochi artisti italiani che viaggiano anche da scomparsi ovunque. Ricerche che costituiscono l’affascinante, lancinante “lezione” di un poeta che la sapeva molto lunga e che del cinema ha fatto un potente veicolo di emozioni e/o riflessioni ambiziose, attraenti, sempre provocatorie, fondatamente.