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Come un tuono: Recensione in Anteprima

Dopo Blue Valentine, Dereck Cianfrance rimesta nuovamente nel dramma familiare americano contemporaneo. Attraverso la storia di personaggi totalmente diversi ma sorprendentemente simili, all’interno di una cornice transgenerazionale in cui le colpe dei padri ricadono sui figli. Un film sull’ambiguità della paternità al giorno d’oggi, nonché sulle possibili implicazioni

pubblicato 22 Marzo 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 16:30

L’avevamo lasciato lì Dereck Cianfrance, tra i fuochi d’artificio ed il tenero pianto di un’innocente creatura. Quel Blue Valentine da noi approdato con cospicuo ritardo, ma che anche a distanza di tre anni non ha smesso di avere qualcosa da dirci. Ci sembra un ottimo punto di partenza, laddove l’ultimo film del regista statunitense torna a speculare sulla portata del dramma familiare contemporaneo.

Come un tuono (d’ora in avanti The Place Beyond the Pines, titolo originale del film), vuole in qualche modo confermare certe tematiche, aggrappandosi ancora una volta ad un’atmosfera intrisa di realismo e pressoché mai banale. Attraverso i suoi personaggi e le loro situazioni, Cianfrance prova disperatamente a scoperchiare il guscio di quella verità che si cela dietro al malessere di uno o più nuclei familiari. Procedendo a ritroso, nel tentativo di cogliere le cause di certe distorsioni, senza mai puntare il dito su qualcuno in particolare.

Una premessa necessaria, la nostra. Una chiave di lettura che s’impone da sé, costringendoci a vedere in Blue Valentine e The Place Beyond the Pines una sorta di dittico piuttosto codificato quanto all’ambito attorno al quale ruotano ambedue le storie. Ambientazione privilegiata, ancora una volta, quella New York e zone limitrofe che in fondo sono già espressione di disfacimento, di mancata coesione, di un latente ma profondo vuoto. Sobborghi sconnessi, apparentemente abbandonati a sé stessi, dove più che vivere si sopravvive. È questo lo scenario dipintoci da Cianfrance, che ancora una volta si affida ad una storia decisamente basilare, seppur spalmata in un arco di tempo piuttosto ampio. Escamotage, questo, imprescindibile ai fini dell’approfondimento del fenomeno in esame, più che dei vari protagonisti.

Luke Glanton (Ryan Gosling) è un giovane stuntman che gira per il Paese seguendo una lunga scaletta di spettacoli. Un giorno, in modo del tutto fortuito, mentre si esibisce a Schenectady, scopre che Romina (Eva Mendes), una ragazza con cui aveva avuto una fugace liaison l’anno prima, ha dato alla luce un bambino. Da semplice tappa, dunque, Schenectady si trasforma in una sorta di dimora provvisoria: Luke intende a tutti i costi occuparsi del bambino, ed anche della madre. Sa bene quanto sia doloroso crescere senza un padre, ecco perché non intende privare della propria presenza il piccolo Jason (Dane DeHaan).

Anche in questo caso sono i particolari a fare la differenza. Cianfrance riesce ad essere romantico ma mai smielato, aspetto che si evince da più passaggi, come quando il tenero ritratto di un padre improvvisato passa attraverso il desiderio di condividere col proprio figlio qualcosa, non importa cosa, purché sia la prima volta: «come? non ha mai assaggiato un gelato?!». Tutte misure che vanno viste alla luce della duplice natura dei suoi personaggi, ed in particolare dei due padri in questa vicenda. Sì perché anche stavolta il regista originario del Colorado scava nell’ambiguità di certe figure paterne; padri imperfetti, ma, malgrado tutto, padri.

Lucas, con quell’aria stralunata, totalmente in balia della sua ambizione di essere padre pur non riuscendo a badare nemmeno a sé stesso, si ritrova a sbattere duramente il muso con una realtà che lo scoraggia, lo ostacola, lo rifiuta; finché questa non ha il sopravvento. Cosicché il novello genitore sceglie la via più estrema, ovvero rapinare banche, annullandosi per amore di offrire al proprio figlio ciò che lui non ha avuto. Nessuna presa di posizione, nessun giudizio eminentemente morale; solo la cruda quotidianità di un uomo che ci prova, contro tutto e contro tutti. Senza star lì a sentenziare sugli atti, a prima vista deprecabili, né tantomeno sui propositi.

A Lucas viene opposto in maniera quasi perfettamente speculare il personaggio di Avery (Bradley Cooper), il cui incontro con il motociclista pazzo e dotato gli cambierà per sempre la vita. Dopo un’ora esatta, The Place Beyond the Pines cambia drasticamente prospettiva. A riprova del fatto che i suoi personaggi altro non sono che un mezzo anziché il fine, Cianfrance opta per alcune scelte rischiose ma a conti fatti necessarie. Se in Blue Valentine aveva però brillato il suo estro quanto al come aveva portato avanti un certo discorso, stavolta la narrazione si dipana senza particolari digressioni: nessuna sovrapposizione di piani temporali, tutt’al più qualche salto. Il ritmo diegetico non viene mai intaccato, procedendo come una linea retta, senza interruzioni o licenze.

Mossa senz’altro ponderata, ma che, a dispetto della sua funzionalità, finisce forse col limitare una seconda e passa parte lievemente sottotono rispetto alla prima. La sincera drammaticità della prima ora, cede il passo ad un “secondo tempo” più rigido, in cui si ha l’impressione che Cianfrance si leghi le mani da solo. Vero è che, con discreto anticipo rispetto alla chiusura del cerchio, si riesce a risollevare la baracca da quell’accennato ma sensibile torpore in cui The Place Beyond the Pines cade a un certo punto.

Succede allora che il secondo atto del film sembra ripiegare timidamente sui toni di un Prince of the City di lumetiana memoria; che sarebbe pure una notevole ispirazione, se non fosse che, chiaramente, non è lì che s’intende andare a parare. Ecco, Come un tuono è un dramma in tre atti, ognuno con a capo un soggetto fisico. Volendo è questa la soluzione definitiva adottata dall’autore, così come l’alternanza dei due filoni temporali lo è in Blue Valentine: il primo incentrato su Lucas, il secondo su Avery ed il terzo… beh, vi basti sapere che c’è anche un terzo atto.

Ma ancora una volta, sarebbe fuorviante focalizzarsi solo ed esclusivamente sui contenuti espliciti. Sì perché Cianfrance lavora, e tanto, col non detto, con ciò che si desume ma che viene rappresentato con discreta efficacia. Il ricorso a certi canti gregoriani, di cui è costellata l’intera pellicola, aggiungono quel tocco vagamente metafisico il cui culmine è raggiunto da un sensato ed opportuno Miserere di Allegri. Oppure le prove dei singoli, su tutti Ryan Gosling, che in versione “padre amorevole” è davvero un’altra cosa: le urla strozzate durante le rapine, quella costante aria di rassegnazione. Peccato ancora una volta per un Ray Liotta ad un quarto di servizio; decisamente meglio Ben Mendelsohn. Per il resto, certe inquadrature, certi passaggi…

Solo così la parabola dei Glanton può avere un senso; e solo così si riesce ad apprezzare la profondità di una sequenza “sdoppiata”, in cui a bordo di una moto, sfrecciando per una strada asfaltata senza fine, il vero elemento di raccordo è/sono il/i conducente/i del mezzo a due ruote. Un percorso dalla nostalgia ineffabile, insomma, che va condotto insieme ma separatamente.

Voto di Antonio: 8
Voto di Gabriele: 9

Come un tuono (The Place Beyond the Pines, USA, 2012), di Derek Cianfrance. Con Ryan Gosling, Bradley Cooper, Eva Mendes, Dane DeHaan, Emory Cohen, Ray Liotta, Rose Byrne e Ben Mendelsohn. Qui trovate il trailer ufficiale. Nelle nostre sale dal 4 Aprile.