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Hitchcock, il tenero sadico del village

Un film commedia che dà piacere, da cui Hitch esce come uomo di cervello e di coltello

pubblicato 22 Aprile 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 15:30

Allora, ci sono andato. A vedere Hitchcock di Sacha Gervasi, con Anthony Hopkins, Scarlett Johansson, Helen Mirren. Mi è piaciuto, secondo il principio del piacere. Di cui bisogna essere grati sempre al cinema della qualità, della intelligenza. Piacere di tornare alla storia, poco nota, di Hitch e di scoprire i suoi segreti, però sempre meno segreti, che stiamo per fortuna conoscendo dopo averli assaporati nei libri (consentite di ricordare il mio “Hitchcock- Il laboratorio dei brividi”, Ediesse, dal piacere del crimine a quello dell’eros con freno a mano tirato).

Piacere di partecipare al gioco del riconoscimento. Hopkins è molto bravo nel sopportare un trucco che lo ingrassa e soprattutto lo sfigura, gonfiandolo e mostrandolo quasi mostruoso nella parte sinistra del volto, con un occhio acciaccato da un ko della storia. Piacere per la eleganza e la limpidezza del racconto di un regista, Gervasi, che procede con calma e misura; mette in scena una commedia dal sapore quasi antico ma con pigmenti che ci raggiungono, e quindi non muoiono in effetti banali. Piacere di alcun scene, ben studiate e costruite, intorno alle vicende di Psycho, film del 1960, dalla esistenza in principio difficile e poi esploso in un successo mondiale al di là del passaggio degli anni. Anche su questo film è stato pubblicato un interessante libro scritto da Stephen Rebello. Piacere della scena in cui Hitch, dietro la porta della sala dove avviene la prima proiezione di “Psycho” col pubblico, diventa una sorta di direttore d’orchestra che attende e gode delle ondata di emozioni che suscita nella folla stipata nella sala davanti alle coltellate inferte nello spazio diabolico della doccia del delitto.

Infine, il piacere di vedere Helen Mirren nel ruolo di Alma, la moglie di Hitch, di cui finora nessuno o pochi si erano occupati. Tra questi ultimi, Don Spoto in un libro ricco di documentazione in cui però Alma sembra uscire meno decisa, meno seducente di quanto sia mostrata nel film di Gervasi. La Mirren è bravissima e si deve a lei se il film si trasforma con dolcezza in una garbata commedia borghese, in cui interessi e amore coniugale si mescolano; e in cui Hopkins è anche lui bravissimo nel mostrarci colpito a morte, con coltelli più feroci di quello della doccia del delitto: i coltelli appuntiti e sanguinari della gelosia.

Un dispiacere. Che non riguarda il film, perché è onesto e va dritto al suo scopo. Riguarda invece il confronto tra questo “prodotto” ben diretto e confezionato, e i “prodotti” sciagurati da gran parte del cinema italiota. Ecco. Mi domando come mai il nostro cinema non sappia realizzare degni “prodotti” in cui non cerchiamo la filosofia (spesso demenziale) di un autore (peraltro spesso inesistente) ma una forma intelligente e di sostanza di intrattenimento. Mi rispondo con un’ammissione: non ci sono produttori, né nel cinema né in tv, capaci di pensare in questa direzione; essi ci fanno “penare” con comici magari di successo, dal fiato corto, con storie a vuoto, tra impegno politico ormai scordato e disamori ciabattoni. Il piacere di esistere al cinema: Hitch, umano, troppo umano, è l’uomo del cervello e poi del coltello. Benvenuto, ancora una volta.