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Locarno 2010: Pardo d’Onore a Alan Tanner, il più grande regista svizzero

Il Festival di Locarno ha riconosciuto con il Pardo d’Onore l’impegno di uno dei registi svizzeri che maggiormente hanno contribuito alla storia del cinema mondiale, sebbene per sua stessa ammissione non abbia mai amato la sua patria e abbia sempre sentito la necessità di fuggirne per fare nuove esperienze. Classe 1929, il regista Alain Tanner

pubblicato 11 Agosto 2010 aggiornato 1 Agosto 2020 21:42


Il Festival di Locarno ha riconosciuto con il Pardo d’Onore l’impegno di uno dei registi svizzeri che maggiormente hanno contribuito alla storia del cinema mondiale, sebbene per sua stessa ammissione non abbia mai amato la sua patria e abbia sempre sentito la necessità di fuggirne per fare nuove esperienze. Classe 1929, il regista Alain Tanner è l’unico cineasta vivente svizzero che ha vissuto l’epoca del grande cinema italiano, del free cinema inglese e della nouvelle vague francese. Il suo cinema è stato fortemente ispirato da correnti ideologiche e politiche, tanto da rappresentare un vero caso legato ai movimenti sessantottini. Un cinema di rottura, rivoluzionario, che non era amato dalla cultura reazionaria dominante ma che era capace di richiamare chi invece di questa ventata di novità sentiva realmente il bisogno. Quando di recente Tanner è tornato a fare cinema, la sensazione di vivere in un mondo a cui non riesce più a comunicare lo ha convinto a ritirarsi dal mondo del cinema, scelta coraggiosa che non tutti i registi over 90 sanno accettare. Tanner ci ha lasciato un cinema duro, rivoluzionario che forse oggi dovrebbe essere riscoperto anche in Italia.

Perchè ha lasciato il mondo del cinema?
Ho avuto la sensazione che dopo aver combattuto molte battaglie, e forse averle vinte, abbiamo perso la guerra. Abbiamo usato tutte le armi a nostra disposizione. All’epoca del La Salamandra fare cinema in Svizzera era un atto militante, quello che si leggeva sui giornali erano solo insulti. Oggi forse abbiamo perso la guerra, ma molte battaglie le abbiamo combattute con le armi a nostra disposizione. Il Pardo d’Onore mi da una grande gioia, ma sapere che anche di recente ci sono state polemiche sulla possibilità di proiettare dei miei film mi da anche maggiore soddisfazione, significa che ancora oggi possono essere scomodi. Non tutti sono disposti a riconoscere il ruolo del mio cinema nel mondo culturale svizzero, tanto da boiccotarlo.

Lei più che svizzero è un regista cosmopolita…
Ho sempre cercato stimoli in giro per il mondo. Ai miei esordi c’è stato un forte influsso del free cinema inglese, piuttosto che di quello svizzero o francese: sono stato in Inghilterra negli anni 50, dove ho conosciuto Lean e Anderson, quelli che erano considerati gli Angry Young Men, giovani cineasti che si potevano contro l’establishment reazionario che dominava la scena culturale. L’inghilterra era molto conservatrice. Il mio primo corto era proprio girato in Inghilterra e legato al Free Cinema. Poi sono andato a Parigi, ma non c’era l’atmosfera di Londra, in confronto sembrava di stare in mezzo a intellettuali di destra.

Foto | Carlo Prevosti
Alan Tanner
Alan Tanner
Alan Tanner
Alan Tanner

Lo spirito del 68 nei sui film, e in generale il Nuovo Cinema Svizzero, che immagine ha dato della Svizzera all’estero?
La stampa parigina ci guardava con curiosità, come Alain Sutter. Ho partecipato a un festival in Svezia e i commenti che sentivo erano del tipo “ah, ma gli Svizzeri non sono così stupidi, sanno fare autocritica”. Il problema in svizzera è anche legato alle diverse lingue, molto legato alla tradizioni legate, ma quando sono arrivato in USA è cambiato tutto.

La sua esperienza a Cannes?
In effetti devo molto a Cannes, parteciparvi con il primo film è un’esperienza straordinaria e l’accoglienza che ho avuto non me la sarei mai aspettata. Dopo la pausa del 68, nel 69 si riprese con due linee diverse e la Quinzaine rappresentava una vetrina del cinema off, a cui la critica forse era più interessata. Il mio film doveva essere ancora presentato. Mentre ero in un ristorante e un uomo si siede al nostro tavolo, era il proprietario di alcuni ristoranti di Parigi, ma anche un cinefilo convinto che stava per aprire due sale cinematografiche per mostrare agli altri il cinema che gli piace. Mi disse che l’idea era quella che che avrebbe voluto avere dei contatti con un certo Alan Tanner, di cui aveva amato i film precendenti. Quando si parla di destino. Le due sale furono aperte con il mio nuovo film, è stato un successo incredibile e furono piene zeppe per mesi, oltre 200 mila biglietti sono stati venduti. Ma perché? Tra il pubblico c’era una forte richiesta di idee del 68, non c’erano film francesi che avessero questo spirito, ma c’erano molti studenti e molti possibili spettatori che volevano questo.

Quando conta per lei il viaggio e la fuga?
Fin a quando ero adolescente volevo scappare dalla Svizzera, non l’amavo e non l’amo ancora. Nel 48 ho scoperto il neorealismo e quindi il cinema, ma prima volevo scoprire il mondo (ho anche lavorato nella marina mercantile. La voglia di fuggire e di scoprire nuove realtà è sempre stata connaturata alla mia anima. Non potevo certo vivere in Svizzera. Il mio cinema è di Ginevra, non tanto svizzero, lì c’è un certo tipo di humour che non si trova altrove. Non ho mai sciato, non parlo tedesco, per me la Svizzera era un ostacolo, non avrei potuto girare con regolarità. Non so perché ma a parte questo ho sempre avuto voglia di andarmene.

Cosa significa il Pardo d’Onore?
Mi commuove molto, perché il legame con Locarno è come una stretta amicizia. Ora che ho smesso è una sorta di ciliegina sulla torta dei miei 80 anni.

Jonas che avrà 20 anni nel 2000 è forse il suo film più attuale, se oggi ripensasse il film, che idee politiche avrebbe?
Sta succedendo qualcosa di strano. All’epoca il film ebbe grandissimo successo, anche in Usa, ma poi negli anni 80 è stato completamente dimenticato. Le idee del sessantotto sono diventate demodee. Anche io quando l’ho rivisto ho pensato che sembrava un film peplum, tanto era vecchio. Negli ultimi anni invece molti festival me lo hanno chiesto e io l’ho rivisto. A quanto pare era talmente moderno nella sua utopia sociale da non essere compreso negli anni 80, quando tutti avevano paura. Oggi forse si vuole ritrovare le utopie.

Alan Tanner
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