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CineTv: giù con loro nella miniera senza L’asso Nella Manica

Ce l’hanno fatta. Adesso devono risalire. Lo scavo stretto stretto è arrivato a destinazione. Il film senza film, cioè costruito da notizie e immagini giorno dopo giorno, è avviato a un lieto fine. Vorrei scendere giù da loro, con loro. Perché li ammiro. Perché la loro attesa di due mesi (rimasero sotto il 5 agosto,

pubblicato 10 Ottobre 2010 aggiornato 1 Agosto 2020 19:36

Ce l’hanno fatta. Adesso devono risalire. Lo scavo stretto stretto è arrivato a destinazione. Il film senza film, cioè costruito da notizie e immagini giorno dopo giorno, è avviato a un lieto fine. Vorrei scendere giù da loro, con loro. Perché li ammiro. Perché la loro attesa di due mesi (rimasero sotto il 5 agosto, sembra un secolo) mi ricorda un grande film di Billy Wilder, L’asso nella manica, 1951, protagonista Kirk Douglas anche lui grande, grandissimo.

Kirk il giornalista senza scrupoli, carrierista che, per un suo scoop- l’asso nella manica, da sfruttare fino all’aberrazione- riesce a far rinviare il salvataggio di un operaio rimasto sotto una miniera in Messico. Il giornalista senza vergogna organizza le cose in modo da richiamare intorno alla miniera del fantasma ancora vivo sottoterra un “big carnival”, un grande carnevale del consumo della suspense per l’uomo in attesa di essere disseppellito dove fanno festa i turisti della curiosità morbosa.

Di “big carneval” ce ne sono stati e ce ne sono ancora in tutto il mondo, e naturalmente anche in Italia. Vogliamo ricordare l’assurda, interminabile diretta di Vermicino dal pozzo in cui era caduto un ragazzo che morì sotto gli occhi delle telecamere o, fatti di questi giorni, lo scempio di Sarah evocato in diretta, tutto negli occhi della madre e dei gesti della conduttrice?

Ace-in-the-Hole-l'asso nella manica

Ed ecco che scatta il “big carnival” della carta stampata e dei video, ghiotta occasione per chi come Kirk, inconsapevolmente (?), partecipa ad un luogo comune di un presente che ha un lungo futuro, c’è da crederlo. Eppure basta fare un confronto.

Il film di Billy Wilder, il regista dei capolavori, più duro e drammatico riesce a trasmettere un sapore reale dei fatti, mentre le televisioni ne fanno una visione astratta, lontana, assurda proprio perché insistita, morbosa, ordinaria, ovvia nel gran calderone, anzi nel gran carnevale che inghiotte, sputa e procede. Costruire storie come fa il cinema implica una tensione e una preparazione che possiedono una loro moralità nel percorso dalla sceneggiatura alle riprese.

In televisione, qualcosa di simile non esiste. Si va dove il vento vuole e dove spira soltanto la necessità di improvvisare tutto pur di conservare la bieca attenzione di quel pubblico, annichilito, affascinato, che non ha il coraggio di spegnere l’apparecchio e se la beve la riproduzione della realtà, o meglio della realtà che è lo studio tv, i collegamenti, le chiacchiere, i servizi, le pause: uno show in presa diretta che può trasformarsi in una presa in giro di chi guarda e di chi soffre.

Grazie Billy. A te dobbiamo La fiamma del peccato, Viale del tramonto, A qualcuno piace caldo, L’appartamento; alla tv dobbiamo la miseria di un doppio stupro: la morte e la violenza su un corpo inanimato. Così va la vita. Così va la tv. Cosi impariamo che è più difficile spegnerla, questa tv, che guardarla: tante opportunità dei voyeurismo del peggio.