26° Torino Film Festival – Ottava giornata: Lasciami Entrare, recensione in anteprima
Non ci sarà stato mezzo chilometro di coda, ma poco c’è mancato. Sala 1 del Cinema Ambrosio al gran completo per la proiezione di Lasciami Entrare, pellicola diretta dallo svedese Tomas Alfredson e tratta dall’omonimo romanzo d’esordio di grandioso successo del connazionale John Ajvide Lindqvist; il film, già vincitore del prestigioso Tribeca Film Festival 2008, dal 2 gennaio anche nelle sale italiane.
La storia è questa. Oskar, biondissimo ragazzino dodicenne, vive la sua vita di giovane studente sopportando a malapena le angheria del bulletto Conny e della ghenga di ragazzetti succubi del malvagio carisma del capetto. Oskar passa in solitudine interi pomeriggi collezionando macabri ritagli di cronaca nera e fantasticando sul momento in cui, coltellino alla mano, riuscirà a vendicarsi dell’odioso bambino che lo maltratta pesantemente e lo chiama maialino.
La solitudine di Oskar finisce nel momento in cui una stramba coetanea si trasferisce nell’appartamento di fronte; Eli, questo il nome della misteriosa ragazza, è un pallido ed emaciato personaggio che sembra non patire l’intenso freddo svedese e che si mostra solo quando il sole è ormai calato. Il nostro protagonista non sembra questionare la situazione, che invece per lo spettatore è abbastanza chiara (senza contare che contemporaneamente alla comparsa di Eli a Stoccolma comincia a colpire un serial killer che sgozza le sue giovani vittime e ne raccoglie il sangue). Oskar non è nè informato nè sgamato come il pubblico in sala, ma a un certo punto la situazione diventa veramente troppo evidente, e il confronto con Eli, a cui il ragazzo nel frattempo si è affezionato moltissimo, si rende necessario.
La vampiretta, anche se per sua stessa ammissione è dodicenne ormai da moltissimo tempo, confessa senza troppi patemi d’animo le sue particolari esigenze alimentari. Riuscità il biondo Oskar ad accettare il fatto che la sua unica vera amica tende a dissanguare la gente per nutrirsi?
Bando alle ciance, “Lasciami Entrare” è uno dei migliori film dell’anno. Partiamo innanzitutto con l’ammettere una scarsa nozione e una debole passione verso il genere horror; ebbene, nonostante queste deficienze è impossibile non ammettere le innumerevoli qualità della pellicola di Alfredson. E sempre nonostante le deficienze non è difficile notare che il film, e naturalmente il libro, non aggiungono nulla alla vasta letteratura e filmografia (iniziata con “Nosferatu” di Murnau, ho fatto i compiti) che trattano di vampiri e affini; Eli, infatti, risponde a tutte le caratteristiche dei classici mostri succhiasangue: incredibilmente forte e agile, praticamente immortale, refrattaria alla luce e odiata dagli animali.
Viene logico trarre la conclusione che i pregi del film stiano altrove. Anzitutto nella capacità, rara e per questo sempre ben accetta, di saper prendere l’horror (in questo caso) come punto di partenza per raccontare una storia che riesca ad aggirare le logiche evenemenziali del genere e in questo modo innalzarsi, raggiungendo livelli di eccellenza inaspettati. Il rigore e la perfezione stilistica, il ritmo serrato e mai convulso, la bravura dei due piccoli attori Kåre Hedebrant e Lina Leandersson, tutto contribuisce a fare della piccola macchina filmica di “Lasciami Entrare” un meccanismo per larga parte inattaccabile.
L’unico elemento opinabile si può ricercare in un utilizzo forse un po’ troppo ingenuo e artificioso della CGI nella breve sequenza dell’attacco dei gatti. Una minima pecca che si riassorbe in maniera sfocata nella memoria dello spettatore, messa in ombra dalla lucentezza del contesto. Ma è necessario ritornare a parlare della messa in scena. Si è parlato di rigore e di meccanismo ben oliato. Alfredson ha le idee ben chiare, e punta su alcuni elementi di dialogo sintattico ricorrenti e significativi: il contrasto fra il buio dello sfondo e il lucore del primo piano; il continuo alternarsi fra un livello di profondità messo a fuoco e uno fuori fuoco; le geometrie cromatiche ricorrenti, che arricchiscono il quadro e rendono uniche tutte le singole sequenze. Una regia essenziale, dunque, che agisce per sottrazione ricercando l’essenziale e mondando il superfluo, con lo scopo di raccontare una bella storia, incalzante, tesa e paradossalmente di una dolcezza estrema.
Ragazzi, cerchiamo di essere obiettivi, dimentichiamoci di Twilight e lasciamo entrare Oskar ed Eli.
Voto Nicola: 9
Voto Gabriele: 8
Voto Carla: 8
Voto Simona: 8