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Biutiful di Alejandro González Iñárritu: 3 clip in italiano e le parole del regista sul film

BIUTIFUL clip in italiano 3Caricato da blogovideo. – Serie TV classiche e spettacoli televisiviDa pochi giorni candidato a due Premi Oscar, come Miglior Film Straniero e per il Miglior Attore Protagonista, Biutiful di Alejandro González Iñárritu uscirà nei cinema italiani il prossimo 4 febbraio 2011. Dopo i tentennamenti iniziali, in casa Universal hanno fortunatamente deciso

28 Gennaio 2011 18:00


BIUTIFUL clip in italiano 3
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Da pochi giorni candidato a due Premi Oscar, come Miglior Film Straniero e per il Miglior Attore Protagonista, Biutiful di Alejandro González Iñárritu uscirà nei cinema italiani il prossimo 4 febbraio 2011. Dopo i tentennamenti iniziali, in casa Universal hanno fortunatamente deciso di fare uscire la pellicola in sala, che non ha fatto faville ai botteghini spagnoli e messicani, incassando rispettivamente 4 e 3 milioni di dollari, sfruttando così la sponda positiva dell’Academy. Qui da noi recensito in anteprima, il film torna quest’oggi a far sua la nostra attenzione grazie a tre clip in italiano, capaci di sottolineare la strepitosa prova attoriale di Javier Bardem, probabilmente mai così bravo. Oltre alle clip, dopo il saltino, troverete anche un lungo intervento dello stesso Alejandro González Iñárritu, presentato alla stampa attraverso il pressbook ufficiale del film, estremamente interessante.

Biutiful narra la storia di un uomo in caduta libera. Sulla strada verso la redenzione, l’oscurità illumina la sua via. In comunicazione con la vita nell’aldilà, Uxbal è un eroe tragico e padre di due figli che sente il pericolo della morte, lotta contro una realtà corrotta e un destino che lavora contro di lui per perdonare, per amare e per sempre.



BIUTIFUL clip in italiano
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BIUTIFUL clip in italiano 2
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Dopo aver girato il mondo con Babel, ho pensato di aver esplorato abbastanza linee multiple, strutture spezzate e racconti intrecciati. Ognuno dei film che ho fatto è stato girato in un linguaggio diverso, in un paese diverso, con diverse strutture e dimensioni. Alla fine di Babel ero così esausto che, scherzando, dicevo che il mio film successivo avrebbe avuto un solo personaggio, una sola città, una struttura narrativa lineare e che sarebbe stato nella mia lingua… ed ecco qua! Biutiful è tutto quello che non ho mai fatto prima: una storia lineare imperniata su un personaggio.
Volevo catturare la semplice espressione di un’esistenza complessa. In qualche modo, Biutiful è, di nuovo, su un tema che mi ossessiona da tutta la vita e che ossessiona il mio lavoro: è un film sulla paternità – sulla paura di perdere un padre, di essere padre e su quel momento in cui cominci a diventare il tuo proprio padre e i tuoi figli cominciano a diventare te. E’ sulla perdita – perché alla fine noi siamo anche quello che abbiamo perso. Il tema è lo stesso, ma diverso. In questo film volevo distruggere l’illusione e rivelare la verità attreverso l’inequivocabile impatto dell’intimità. Si, l’intimità come nuovo Punk.
Per me un film comincia sempre con qualcosa di molto vago – uno stralcio di conversazione, un’occhiata a una scena dal finestrino di un’auto, un raggio di luce o delle note musicali. Biutiful è cominciato in un freddo mattino d’autunno del 2006, quando io e i miei figli stavamo preparando la colazione e io ho messo per caso un CD del Concerto per Piano in Sol maggiore di Ravel. Alcuni mesi prima avevo messo lo stesso concerto per piano di Ravel durante un viaggio in macchina con la mia famiglia da Los Angeles al Festival Cinematografico di Telluride. Il paesaggio della zona dei Four Corners era mozzafiato ma quando il pezzo di Ravel è finito, entrambi i miei figli hanno cominciato contemporaneamente a piangere. La malinconia, il senso di tristezza e bellezza che questo brano di musica contiene per loro era travolgente. I miei figli non potevano sopportarlo né spiegarlo. Lo sentivano e basta. Quando hanno sentito di nuovo il piano di Ravel quella mattina, mi hanno entrambi chiesto di togliere il CD. Si ricordavano molto chiaramente l’impatto emotivo e la commozione che avevano provato ascoltando quella musica. Quella mattina un personaggio ha bussato alla porta della mia mente e ha detto: “Hola, il mio nome è Uxbal.” Durante i tre anni successivi avrei trascorso la mia vita con lui. Non sapevo cosa volesse, chi fosse o dove stesse andando. Era sfuggente e pieno di contraddizioni. Ma, a essere sincero, sapevo come volevo presentarlo e come volevo farlo finire. Sì, avevo solo l’inizio e la fine.
Solo un anno dopo, mentre camminavo per il quartiere El Raval di Barcellona, tutto ha avuto un senso. Barcellona è la regina d’Europa. E’ davvero meravigliosa ma, come ogni regina, ha anche un lato molto più interessante di quella bellezza borghese ovvia, e talvolta noiosa, che ogni turista e fotografo di cartoline ha ammirato. Da quando avevo 17 anni, e viaggiavo per il mondo su una nave da carico lavorando come lavapavimenti, sono stato attratto, incuriosito e affascinato dai quartieri nascosti che non vede nessuno. Sono questi a emozionarmi. Sto parlando di quel nuovo mondo, diverso, complesso, marginale e multietnico che si è creato di recente e Barcellona e in gran parte delle grandi città d’Europa. Quando sono venuto per la prima volta a Barcellona a 17 anni era impossibile anche immaginarlo. Ma quando l’ho visto ho immediatamente capito che Uxbal apparteneva a questo luogo, sapevo che lui apparteneva a questa comunità eclettica e vibrante che sta dando una nuova forma al mondo.
Durante gli anni ’60, Franco ha incoraggiato e portato in Catalogna centinaia di migliaia di persone da diverse parti della Spagna con l’intento di distruggere la cultura catalana, e ha proibito loro di parlare la lingua catalana. Nel mezzo di un’enorme recessione economica, le persone che parlavano castigliano – per la maggior parte provenienti dall’ Extremadura, l’Andalucia e la Murcia – divennero immigrate nel loro stesso Paese. A loro fu destinata una zona periferica di Barcellona chiamata Santa Coloma e divennero note come “Charnegos”, un peggiorativo che si riferisce agli immigrati poveri e ai loro figli. Con la ritrovata stabilità economica degli anni ’80 e ’90, i “Charnegos” hanno cominciato a lasciare Santa Coloma e gli immigrati di tutto il mondo l’hanno ripopolata. Anche se El Raval, conosciuto come il Barrio Chino, è famoso per essere il quartiere più variegato di Barcellona, io mi sono innamoratao di Santa Coloma e del vicino Badalona. Qui senegalesi, cinesi, pachistani, zingari, rumeni e indonesiani vivono tutti insieme in pace senza problemi, e ognuno parla la sua lingua senza preoccuparsi o aver bisogno di integrarsi in Spagna.
E, per essere sincero, sembra che neanche la società sia molto interessata a integrarli.
Questo è un quartiere che non è stato pastorizzato. E’ umano, puzza, e ha strati e contraddizioni. E’ un vero esempio di “convivencia” – di comunità – e ha il DNA delle Nazioni Unite. Le migrazioni e i miscugli di razze che nel passato hanno richiesto 300 anni, qui sono avvenute in 25. Naturalmente non mancano il dolore e la tragedia. Ogni anno centinaia di africani muoiono in mare nel tentativo di raggiungere le coste spagnole. Le immagini sono dure da guardare. E poi, quasi ogni giorno i giornali riportano articoli che parlano di abusi e sfruttamento ai danni dei cinesi in tutta Europa.
Solo in Inghilterra ci sono un milione di cinesi, come scrive Hsiao-Hung Pai in Chinese Whispers: The True Story Behind Britain’s Hidden Army of Labor. A differenza di quello che accade negli Stati Uniti, la gente non viene nelle città europee per integrarsi in una cultura. Le ricerche che ho fatto mi hanno provato che la maggior parte delle persone vengono qui per sopravvivere e per aiutare quelli che hanno lasciato al loro Paese.
Ma più che questo interessante problema sociologico che vediamo a Barcellona e nella maggior parte delle città europee, è stato l’impatto emotivo che questo ha avuto su di me che io ho trovato un fantastico contesto per la storia di Biutiful. Perché, alla fine, quando un film non è un documento, è un sogno. E, come sognatore, sei sempre da solo, come un pittore è solo con la sua tela bianca. E essere soli vuol dire porsi domande (come ha detto Godard una volta)… e fare film è rispondere a queste domande.
Ho scritto una meticolosa biografia di ognuno dei personaggi. L’ho fatto anche per i personaggi cinesi e africani. Ognuno doveva avere un passato e un senso per non essere solo un personaggio funzionale. L’ho fatto per conoscerli bene e anche per aiutare gli attori a capire da dove erano venuti. Uxbal è nato “Charnego” e fa parte del 10% delle persone che parlano castigliano rimaste a Santa Coloma. Gli immigrati non sono alieni per lui. Lui è cresciuto con loro. Lavora con loro. Camminare per quel quartiere di domenica è un’esperienza fisica, spirituale e emotiva. Si vedono zingari cantare in gruppi per strada, mentre i musulmani pregano nel parco o cantano attraverso gli altoparlanti di una piccola moschea, e la chiesa cattolica è piena di cinesi. Volevo che questa storia fosse un viaggio fisico, spirituale e emotivo dello stesso tipo.
Dalla mia visita a Barcellona, il mio subconscio ha cominciato a dettarmi compulsivamente la storia. Mia figlia Maria Eladia mi ha detto che quando una civetta muore, sputa una palla di pelo dal becco. Quella notte ho sognato quest’immagine. E poi, tutto è cominciato in maniera diversa. Ho visto Uxbal pieno di contraddizioni: un uomo la cui vita è così intensa e complicata da non poter neanche morire in pace, un uomo che protegge gli immigrati dalla legge mentre lui stesso sfrutta il loro lavoro. Un uomo di strada che ha un dono spirituale e può parlare con i morti e guidarli verso la luce… ma per farlo vuole dei soldi; un padre di famiglia con il cuore spezzato e due figli che ama ma che non fa altro che rimproverare; un uomo da cui tutti dipendono ma che dipende anche lui da tutti; un uomo primitivo, semplice, misero, con una profondo contatto con il soprannaturale.
Un Sole circondato da pianeti satelliti. L’ho visto come un sistema fisico in cui il corpo è la strada, il cuore è la famiglia e l’anima è la ricerca di un padre assente. Prima di scrivere la sceneggiatura, ho disegnato una mappa. Ho disegnato due spirali e una linea che definivano graficamente il percorso di Uxbal e la sua condizione mentale. Una spirale si muoveva dall’interno verso l’esterno. E questa era la sua vita quotidiana fuori controllo. L’altra spirale andava dall’esterno all’interno. E questa era il cuore di Uxbal, che va giù, in territori profondi. E poi ho disegnato una linea che attraversa le due spirali: lo spirito.
Mio padre diceva sempre che chi guadagna poco e i tassisti non possono essere depressi. “Questo è un lusso per ricchi!” diceva. La vita non permetterà loro di morire. E questo è Uxbal: un uomo disperato, solo, che cerca un padre che non ha mai conosciuto.
Dopo aver finito una prima stesura del copione, ho deciso di invitare gli scrittori Armando Bo e Nicolás Giacobone a unirsi a me. Scrivere è un processo che mi è familiare, ma l’esperienza mi ha insegnato che nello scrivere una sceneggiatura, che è una fase iniziale e molto tecnica nel fare un film, la collaborazione può dare grandi risultati. Armando Bo è un regista pubblicitario potente e famoso che conosco da molti anni. Giacobone è suo cugino, uno scrittore sensibile e talentato che ha scritto molti racconti e sta per pubblicare il suo primo romanzo. Sono entrambi giovani, di talento, e tifosi sfegatati dell’Argentina. Hanno portato alla sceneggiatura un’innocenza e una freschezza speciali. Era la prima volta che scrivevano un film, ma non sarà sicuramente l’ultima.
Da quando ho iniziato a scrivere Biutiful, ho sempre pensato a Javier Bardem per Uxbal. Nessun altro avrebbe potuto dare al personaggio quello che gli ha dato lui. Io non avrei potuto fare questo film senza di lui, perché per me solo lui era Uxbal. Io e Javier proviamo a lavorare insieme da molti anni. Ho pensato che questo personaggio sarebbe stato il ponte che ci avrebbe portato insieme sul set. Il mio stile e il mio modo di lavorare con gli attori non è leggero né facile. Io metto tutto me stesso in ogni progetto e chiedo lo stesso agli attori. Sono ossessionato dalla perfezione, o da quello che io considero perfezione. E’ duro sia fisicamente che emotivamente. Beh, portare dentro Javier è stato come mettere insieme l’affamato e uno che muore di fame… e entrambi desideravamo essere soddisfatti. Javier non è solo un attore straordinario, è unico. Tutti lo sanno. Si prepara ai ruoli che interpreta in maniera approfonditissima e si scrive lunghi appunti sul suo personaggio. E’ impegnato, intenso e, anche lui, ossessionato dall’eccellenza. Però, quello che rende Javier così speciale e unico è uno spessore, una gravità, una presenza sinistra sullo schermo che viene dalla sua profonda e forte riflessione e dalla sua vita interiore ricca e profonda. Questo è qualcosa che non si può imparare. E’ qualcosa (angelica o diabolica) che o hai o non hai.
A differenza dei miei altri film dove ho girato storie diverse con attori diversi nel corso di parecchie settimane, questo è stato una luuunga e intensa ripresa con Javier in quasi ogni scena, che quasi porta il film, letteralmente, sulle sue spalle. La precisione e l’intensità emotiva richieste in ogni scena non sono state facili da sostenere, specialmente quando si recita con attori non professionisti e bambini. Durante l’autunno e l’inverno 2008/2009, Javier Bardem, l’uomo che conoscevo, è semplicemente scomparso per dare vita a Uxbal.
Sapevamo che sarebbe stato come scalare il Monte Everest, ogni giorno più duro di quello precedente. Abbiamo pianificato e discusso l’itinerario insieme. Ho pianificato la grammatica del linguaggio visivo e ogni singolo aspetto del film – l’ordine cronologico delle riprese, i costumi, la scenografia, i movimenti della cinepresa e anche l’uso di differenti format per le differenti fasi del film – per aiutarlo a navigare e arrivare dove entrambi volevamo andare: da un uomo duro e severo, che controlla ogni cosa a un uomo liberato, che capisce la resa e ha acquisito la saggezza di vedere e sentire la luce nel suo dolore. Abbiamo entrambi dato molto di noi stessi e la storia ci chiedeva di andare in territori pericolosi dai quali, talvolta, è difficile ritornare. Un film come questo ti prosciuga e ti svuota, ma lo sfozo straordinario e il sacrificio sono stati proporzionali all’immensa soddisfazione artistica che abbiamo condiviso entrambi.
Uno dei ruoli più difficili da scrivere e da scegliere è stato quello di Marambra. Il bipolarismo, un complesso disordine emotivo chiamato talvolta mania depressiva, può facilmente diventare una caricatura. Io cercavo un’energia e uno spirito molto specifici. Ho fatto provini in tutta la Spagna, e anche se ho visto molte attrici di grande talento, non riuscivo a trovare quella che cercavo. Tre settimane prima dell’inizio non l’avevo ancora trovata e stavo per postporre le riprese. Ho fatto dei provini aperti in Argentina, dove abbiamo visto Maricel Alvarez. Già e solo dal test video ho capito che era lei. Maricel è volata in Spagna e, dopo 24 ore senza dormire e un testo che aveva ricevuto solo 24 ore prima, ha fatto il provino più straordinario che io abbia mai visto. Ho fatto anche un camera test con lei prima che tornasse in Argentina 12 ore dopo essere arrivata in Spagna. L’ho messa davanti a una cinepresa per la prima volta nella sua vita e le ho chiesto, senza fare niente, di immaginare alcune immagini o circostanze che le suggerivo. Tutto il set e la troupe tacevano. Un minuto dopo avevo la pelle d’oca e i miei occhi erano bagnati di lacrime. Era pura alchimia e magia. Maricel ha portato a Marambra il pericolo e la tenerezza di cui aveva bisogno. Lei è da anni una attrice teatrale strordinaria, con un talento e un’arte difficili da trovare su questo pianeta.
Per il ruolo di Igé, abbiamo visto più di 1200 donne in Spagna e Messico. Abbiamo trovato Diaryatou Daff in un salone di bellezza a Barcellona dove lavorava come parrucchiera. E’ senegalese e, come centinaia di migliaia di altre donne africane, ha rischiato la vita lasciando il suo Paese per cercarsi un lavoro per mantenere i membri della sua famiglia. La sua vita non è stata facile. Si è sposata a 15 anni con un uomo di 50, seguendo una tradizione senegalese per cui uno zio materno può scegliere il marito della nipote. E’ scappata da quest’uomo violento e più tardi ha sposato un uomo giovane e buono e ci ha fatto un figlio. Vivendo in una piccola città in una situazione economica disperata, ha deciso di cercare lavoro in Spagna e, quando l’ho scelta, non vedeva suo figlio da più di tre anni. Lavorando giorno e notte mantiene non solo suo marito e suo figlio ma anche 30 altre persone che dipendono dai pochi soldi che lei riesce a mandare in Senegal. Diaryatou ha sempre avuto paura di poter perdere il suo lavoro al salone di bellezza.
Durante le prove sentivo la chiara comprensione che aveva per il personaggio che volevo lei interpretasse. L’ha fatto con grande onestà e profondità – solo portando in braccio un cuscino come se fosse suo figlio, potevo sentire la sua voce rompersi. La storia di Igé era la sua storia. Non ho mai avuto esperienza di una persona in un film la cui vita fosse così vicina al suo personaggio. La realtà danzava con la finzione davanti ai miei occhi. Ha sofferto facendo il film, ma il suo impegno di parlare nel nome di milioni di donne come lei è stato più forte. Mi è sempre piaciuta l’idea che Igé comincia sembrando un ruolo secondario, ma poi in punta di piedi, finisce per essere un caposaldo della storia. Lei è Mamma Africa – una madre razionale, intelligente, amorevole. E Diaryatou è questo nella vita. Delicata, talentata, sensibile, bella, e soprattutto, vera.
I bambini sono sempre difficili da trovare. Le scene con i bambini erano molto impegnative a causa del contenuto degli eventi e, in questo caso, le caratteristiche fisiche di Bardem e Maricel non hanno reso il compito più facile. Abbiamo trovato Guillermo per il ruolo di Mateo abbastanza presto, ma trovare la figlia di Uxbal ci ha dato grandi problemi. E’ stato solo due settimane prima dell’inizio della produzione, quando eravamo rassegnati a continuare senza di lei sperando però di trovarla, che io stavo facendo una prova tecnica in una scuola locale dove avremmo girato. All’improvviso, Ana, che studiava in quella scuola, mi ha dato un colpetto sulla schiena e mi ha chiesto che cosa stavo facendo. Mi sono voltato e l’ho vista. Ho detto: “Sto facendo un film.” E lei ha detto: “Mi piacerebbe esserci.” E questo è stato tutto. Lei era un angelo che ha bussato alla porta di un uomo disperato che cercava per tutta la Spagna senza sapere che la risposta era sotto al suo naso.
Potrei trascorrere ore a parlarvi di Eduard Fernández, Ruben Ochandiano, Cheng Tai Shen, Luo Jin, Martina Garcia e tutti gli altri straordinari attori che sono stati con noi, ma preferisco che guardiate il loro lavoro, che è meglio di qualunque cosa io possa dire.
Come sempre, ho avuto il privilegio di lavorare a questo film con i miei vecchi compari, con la stessa band di rock ‘n roll i cui bassi, batterie e strumenti rendono la musica più ricca e più allegra, mentre ci si muove dalla fredda e tecnica scrittura sul pentagramma da cui ogni film deve partire, verso la terra dei ricordi, dei desideri, della logica, dei sogni, delle suggestioni e delle realtà soggettive di luce e immagini.
Come sempre, ho dedicato questo film a un membro della mia famiglia – non perché fanno parte della mia famiglia ma perché sono la ragione, la fonte, o quelli con cui voglio parlare direttamente attraverso il film.
Questo è per mio Padre, e lui sa bene perché.
Alejandro González Iñárritu