Home Festival di Venezia Via Castellana Bandiera: Un film è un’avventura, se non è un’avventura che film è?

Via Castellana Bandiera: Un film è un’avventura, se non è un’avventura che film è?

Cinquant’anni fa Antonioni andò in Sicilia per “L’avventura” con Monica Vitti, oggi ci prova Emma Dante…una avventura diversa…

pubblicato 29 Agosto 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 10:18

Via Castellana Bandiera (la nostra recensione) è un seme che cresce dentro la terra e non fuori della terra, grano rovesciato. Il titolo viene da una strada che esiste effettivamente a Palermo e che la regista Emma Dante, provenienza teatrale, occhio da cinema, conosceva da ragazza. Una strada stretta, arrampicata sul Monte Pellegrino.

Dopo una visita in cimitero dove Samira, una delle protagonista del film, si sdraia sulla tomba di una persona cara, il caso centrale nel racconto esplode in una strada stretta come un vicolo, appunto “Via Castellana Bandiera”. Due macchine vengono da direzioni opposte e si bloccano a vicenda. Una è l’auto guidata Samira, lontana origine albanese, carica di familiari siculi; e l’altra è la vettura con Rosa e Clara, due donne diverse tra loro, unite da una relazione. La follia si scatena. Nessuna delle donne al volante vuole indietreggiare, e dai suoni di clacson, e dagli improperi, si passa a una tensione che a poco a poco prende fuoco , scorre il sangue nel momento in cui arrivato altri automobilisti e il caso diventa casino.

Mi fermo qui. Odio diffondermi sulle trame. Preferisco centellinare le emozioni che si susseguono. Emozioni siciliane. Antonioni le gelò nel suo famoso film L’avventura (1961) con Monica Vitti e Gabriele Ferzetti. Si disse allora che il regista avesse inventata la famosa “incomunicabilità”, la formuletta coniata durante il miracolo economico italiano per sentirsi tutti meglio e quindi, non potendo comunicare tra loro, si poteva dedicarsi a pancia da vuota a piena al pieno consumismo, quel consumismo poi bollato da Pasolini come cancro della nuova società all’alba.

La Dante non è una ideologa, non alza pugni al vento, non si impanca, non è come si dice un’“analista sociale”. E’ una regista dalle corde di potente violoncello. La lotta, la competizione tra una donna di ieri e due donne di oggi altro non è che una seconda “avventura” nell’epoca in cui il consumismo sta andando in pensione, scoprendo in realtà che il vero vuoto è nell’anima. Si odiano quelle donne, e si amano, ma non lo sanno. Intorno a loro, gli uomini sono pezzi di grasso e di volgarità, sono popolo bue della tv e dell’attualità, sono spettatori che possono scattare e prendete coltello o vetriolo per uccidere o deturpare le donne.

Il film comincia con qualche dubbio, qualche lentezza, qualche bozzetto di troppo. Ma lentamente, con un attento studio delle riprese e dei dialoghi, l’azione si mette al servizio di una denuncia potente di un oggi che vive non un’avventura bensì un cumulo di disavventure che conducono alla morte, già pronta, dietro l’angolo. Una bella regia, una sceneggiatura che forse avrebbe avuto bisogno di maggiore fantasia nella prima parte, la recitazione delle donne centrata, intensa; quella degli uomini adatta per esemplificare la condizione del campionario maschile: vuoti a perdere, salvo quando sono toccati fino in fondo nell’orgoglio; vuoti passivi che esplodono di violenza, senza un sentimento verso le loro donne: solo fastidio e, quando si accende dentro, solo odio. Bravissime Elena Cotta, Emma Dante, Alba Rohrwacher. La popolazione maschile è un coro greco, tumultuoso e ridicolo.

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