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Patrice Chéreau è morto: il ricordo di Cineblog

Oggi è morto Patrice Chéreau, uno dei registi di teatro, lirica e opera più acclamati della scena internazionale. Ma anche un ottimo regista di cinema. Suo lo “scandaloso” Orso d’argento Intimacy, uno degli esempi del suo cinema capace di ragionare su un sentimento e sulla difficoltà di esprimerlo. Un autore spesso sottovalutato (sul grande schermo).

pubblicato 7 Ottobre 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 08:48

Stava preparando l’Elettra di Richard Strauss quest’estate, ma Patrice Chéreau non ce l’ha fatta: è morto oggi a Parigi, all’età di 68 anni, dopo una lunga battaglia contro il cancro ai polmoni. Acclamato regista teatrale, è stato anche regista cinematografico. Ma che Chéreau fosse più famoso come regista teatrale non deve sorprendere nessuno.

Assistente di Strehler quand’era ancora giovanissimo, è stato co-direttore del Théâtre National Populaire di Villeurbanne, e direttore per quasi dieci anni del Théâtre des Amandiers di Nanterre. Ha portato in scena l’Amleto, Sogno d’autunno di Fosse, Nella solitudine dei campi di cotone di Koltès. E poi Wedekind (Lulu, al Piccolo di Milano), Wagner, Janacek.

Ma Cineblog ovviamente ci tiene particolarmente a ricordarlo come regista di cinema. Un ottimo regista di cinema. Raffinato e passionale, freddo e fragile come i suoi personaggi: “un regista dovrebbe amare ogni suo personaggio, anche se è un assassino o un mostro, devi amarli”, diceva.

Esordisce dietro la macchina da presa con Un’orchidea rosso sangue nel 1975, quando già era un enfant prodige della scena teatrale internazionale. Il teatro non bastava e da lì sono arrivati fino ad oggi 11 lungometraggi per il grande schermo e altri lavori televisivi. Ed un palmares di tutto rispetto: uno “scandaloso” Orso d’oro (Intimacy), un Orso d’argento (Son frère), un Premio della Giuria a Cannes (La regina Margot), due César (tra cui quello alla regia per il da noi purtroppo inedito Ceux qui m’aiment prendront le train), e molto altro.

Cannes l’ha ufficialmente lanciato, vent’anni dopo l’esordio, anche come autore cinematografico “di peso”. Il suo La regina Margot, celebrato proprio sulla Croisette con la versione restaurata quest’anno, resta impresso per una messa in scena di gran lusso e per i costumi incredibili (Moidele Bickel fu nominata agli Oscar). Ma non c’è nulla di patinato: c’è tanto sangue, tanto sesso, tanta malattia, ed una pazzesca Isabelle Adjani. Oltre ad una leggendaria Virna Lisi, premiata con la Palma come miglior attrice.

Poi è arrivato Berlino con due premi uno di fila all’altro. L’Orso d’oro per Intimacy resterà uno dei maggiori premi europei più discussi degli ultimi vent’anni: quasi non si parlava d’altro, oscurando praticamente le qualità del film. Che ci sono e non sono poche, ad iniziare guarda caso dalla direzione dei due attori protagonisti. Non ha destato scandalo invece il meritatissimo Orso d’Argento per Son frère, forse il suo capolavoro: un’opera dolorosissima, estremamente “fisica” e struggente.

Arriva poi il turno della Mostra di Venezia, che invita il regista in concorso per ben due volte. E per due volte le reazioni sono contrastanti. Gabrielle è a prima vista il perfetto “film da camera”, teatrale e preciso, con un’attrice protagonista del calibro di Isabelle Huppert. Sotto alla formalità si nasconde però un’opera disperata su gelosia e ossessione. Così come l’ossessione è al centro del suo ultimo lavoro, Persécution, in concorso al Lido nel 2009, accolto dai fischi e massacrato dai Cahiers.

Persécution è un film che sembra “diventare” la sua tematica principale. Nel raccontare il rapporto tormentato e la gelosia di Daniel (Romain Duris) nei confronti della sua ragazza Sonia (Charlotte Gainsbourg), Persécution diventa sempre man mano più ossessivo e complesso da digerire. Anche perché Chéreau punta su una trovata molto “teatrale” per raffigurare l’ossessione del protagonista, scegliendo di far irrompere nella vita del ragazzo un uomo misterioso (che vede solo lui?).

Ma Persécution conferma la forza ambigua del cinema del suo autore. Lì lì forse per rompersi come un bicchiere di vetro (vedi proprio una scena del film), ma capace di far ragionare con sottile intelligenza su un sentimento. La difficoltà di esprimerlo, questo sentimento. Che forza che aveva, quel cinema spesso ingiustamente bistrattato e quasi sempre sottovalutato…