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Captain Phillips – Attacco in mare aperto: recensione del film con Tom Hanks

Paul Greengrass firma con Captain Phillips probabilmente il suo miglior film da Bloody Sunday. Basato su una storia vera, può richiamare alla mente il danese Kapringen, ma se ne discosta parecchio. Un’opera che racconta di lontananze economiche e culturali in modo secco, teso e senza fronzoli.

pubblicato 23 Ottobre 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 08:15

Billy Ray, lo sceneggiatore di Captain Phillips, è un tipo molto strano. Ha scritto robacce (Vulcano – Los Angeles 1997), episodi di saghe milionarie (Hunger Games e il prossimo La Mummia), cose discutibili (Flightplan – Mistero in volo) e altre ottime (i film che ha diretto, L’inventore di favole e Breach).

Questa volta Ray si è trovato fra le mani una materia tanto interessante quanto pericolosa, ovvero quella narrata nel libro di memorie del capitano Richard Phillips A Captain’s Duty: Somali Pirates, Navy SEALs, and Dangerous Days. Una storia che narra la vicenda di una nave container statunitense che viene attaccata dai pirati somali: materia a rischio anche perché narrata dal punto di vista americano.

Ci pensa però Paul Greengrass, uno che le materie scottanti le gestisce molto bene, a bilanciare tutto quanto. Dallo scontro tra irlandesi e autorità inglesi di Bloody Sunday fino alla guerra in Iraq di Green Zone, il regista inglese ha avuto modo anche di girare due capitoli di una saga fortunata come quella di Bourne.

Ogni volta Greengrass ha così confermato che, sia col cinema “impegnato” che con quello più dichiaratamente d’intrattenimento, il suo approccio è sempre uguale e funzionale: secco, diretto e senza fronzoli. Proprio per questo Captain Phillips funziona così bene, perché la materia non pende mai da nessuna parte, evitando sia il pericolo “patriottico” sia quello finto-terzomondista.

Greengrass gira un film che a tutti gli effetti ci parla (anche) degli effetti della globalizzazione, con una confezione che è prima di tutto intrattenimento robusto e tesissimo. Se ci si pensa bene, il film riguarda soprattutto due “capitani”: Richard Phillips, a capo della Maersk Alabama, e Muse, pirata a capo del gruppo somalo. Però la lotta e la contrapposizione tra due uomini disperati – che si fanno simulacro di due mondi e di due culture – non è mai forzato.


Questo perché, appunto, Captain Phillips è innanzitutto un blockbuster che fa il suo dovere in maniera egregia, differenziandosi parecchio anche dall’altro “film sui pirati” uscito di recente, l’ottimo Kapringen del danese Tobias Lindholm. Se qualcuno poteva pensare che questo ne era il “remake”, si sbagliava di grosso.

Lì dove Lindholm poneva l’accento sul lento e asfissiante passare dei giorni in cui si cerca di trovare l’accordo sui soldi del riscatto, Greengrass concentra l’azione in poco tempo, quasi in tempo reale. Eppure nulla è frettoloso, e Captain Phillips non è affatto l’ennesimo “compitino” sulla costruzione della tensione che cresce in maniera esponenziale. Anzi: direi quasi che a metà film c’è addirittura un (doveroso, col senno di poi) cedimento.

Il fatto è che quello che a prima vista sembra il cuore pulsante del film, ovvero l’assalto dei pirati somali alla nave, non è altro che un lungo, tesissimo preambolo a tutto quello che verrà dopo. In sostanza l’opera si compone di due lunghi tronconi, il cui secondo è una vera e propria sfida a livello registico: vi basta sapere che c’entrano una USS Bainbridge e i Navy SEALs, ma il tutto è svolto in un spazio decisamente ristretto…

Lo stile del regista, attaccato in modo febbrile ai primi piani e frenetico solo quando ce n’è bisogno, crea una base di verosimiglianza assoluta davvero encomiabile. La scrittura di Ray mette in fila gli eventi in modo che tutto sembri la naturale conseguenza dell’azione precedente, e grazie all’estetica secca di Greengrass lo spettatore entra nel flusso di questi eventi imprevedibili: l’effetto a tratti è davvero al cardiopalma.

Vero, ci sono dei momenti in cui, come in Skyfall, si sente l’influenza del cinema di Christopher Nolan: provate a sentire qualche traccia della colonna sonora di Henry Jackman e comparatela alla musica composta da Zimmer per Il cavaliere oscuro. Ma è altrettanto vero che in Captain Phillips c’è pure il miglior “uso” della “notte” nella parte finale di un film da Zero Dark Thirty.

Tom Hanks (doppiato malissimo; ma tutto il doppiaggio è ai limiti dell’offensivo) torna al massimo della forma grazie a un ruolo che gli permette di essere sia “fisico” che espressivo. Ma un plauso va fatto anche agli attori somali, trovati dal regista grazie ad un casting effettuato in una comunità a Minneapolis.

È soprattutto attraverso i loro occhi, le loro frasi (“Mi sono spinto troppo oltre Irish, non posso tornare indietro ora”) e la loro ingenua sicurezza che si prova tutto il disagio e la potenza di una storia che dice moltissimo dei conflitti economici, politici e culturali tra continenti senza mai essere pedante.

Voto di Gabriele: 9
Voto di Federico: 8.5
Voto di Antonio: 7

Captain Phillips – Attacco in mare aperto (Captain Phillips, USA 2013, drammatico 134′) di Paul Greengrass; con Tom Hanks, Catherine Keener, Max Martini, David Warshofsky, Corey Johnson, Mark Holden, Terence Anderson, Tom Mariano, Michael Chernus, Chris Mulkey, Yul Vazquez, John Magaro, George J. Vezina, Barkhad Abdi, Faysal Ahmed, Barkhad Abdirahman, Mahat Ali. Qui il trailer italiano. Dal 31 ottobre in sala.

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