Home Curiosità Hunger Games: 5 validi motivi per amare una saga (non solo) giovanile

Hunger Games: 5 validi motivi per amare una saga (non solo) giovanile

Hunger Games parte due. Ovvero quando la storia “prende fuoco” in attesa del canto della rivolta. Omaggio ad una saga non solo giovanile e ad un fenomeno che è soprattutto cinema. Da amare per cinque motivi.

pubblicato 30 Novembre 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 06:48


Appena un anno fa, quando la saga di Edward e Bella giungeva a conclusione con l’uscita di “Breaking Dawn- parte 2”, il pubblico si divideva inesorabilmente in due fazioni: da un lato avevamo uno stuolo di emo inconsolabili perché ormai orfani di vampiri feminei e licantropi testosteronici; dall’altro invece c’erano tutti gli altri, quelli che stappavano lo spumante e spargevano cinicamente coriandoli sulle lacrime dei twilighters (benché anche molti dei “festanti” si fossero volontariamente sorbiti tutti e cinque i capitoli della saga dal 2008).

Da allora i tentativi per riportare al cinema un certo target giovanile si sono rivelati tutti dei colossali fallimenti (qualcuno di buona qualità come “Beautiful Creatures”, altri sinceramente poco memorabili come “Shadowhunters”), rischiando di far disaffezionare quel pubblico alla stessa idea di “saga”. Anche perché, se si eccettua “Lo Hobbit” che vive di un fandom essenzialmente letterario e relativamente svincolato da mode “istantanee”, di saghe acchiappa-pubblico, già dai tempi di Harry Potter, non se ne vedono più tante in sala.

Ecco perchè, nella primavera del 2012, l’uscita del primo capitolo di “The Hunger Games” ha decisamente “ossigenato” i botteghini americani (oltre 400 milioni di dollari in patria), lasciando invece più esitanti quelli cosiddetti “foreign”(“solo” 283 milioni, con l’Italia a contribuire per 3 miseri milioni di euro! ). Va detto che in realtà il sasso (ma sarebbe meglio dire la “freccia”) era stato già lanciato e le reazioni nei mesi successivi non sarebbero tardate ad arrivare, nonostante il fenomeno fosse partito con un certo anticipo rispetto al resto del mondo (in alcuni paesi, all’epoca dell’uscita del primo capitolo, i libri della Collins non erano neppure stati editati).

Nel 2013, ora che The Hunger Games si è procurato uno stuolo di nuovi fan grazie alle visioni casalinghe, e mentre la stella protagonista rifulge luminosa di un nuovo oro (l’ Oscar vinto) e dell’interesse finalmente worldwide, quella freccia lanciata oltre un anno fa ha iniziato a correre sempre più veloce, anzi talmente veloce da prendere fuoco ed incendiare nuovo pubblico (tra cui quello italiano), sempre più desideroso di partecipare alle mietiture di Panem e alle sue avventurose e rivoluzionarie conseguenze. E per una volta non c’è da vergognarsi se il fenomeno è diventato talmente trasversale da coinvolgere adult e young adult. Vediamo perché in cinque personalissimi punti.

Distopia. Altrimenti detta visione distorta e indesiderabile di un prossimo futuro. Letteratura e cinema ne sono pieni zeppi fin dalla notte dei tempi grazie ad autori come Orwelll e Bradbury o pellicole dall’immaginario “fondativo”come Metropolis. Tra ufficiali e ufficiose, oggi le trasposizioni dalla carta allo schermo non si contano nemmeno più. Ogni storia è derivativa di un’altra, mentre il classico racconto di una società che spettacolarizza la morte dei deboli per il piacere dei potenti tenendo così a bada le masse, più che esempio di “plagio” da altri è semplicemente metafora che attinge dalla stessa storia dell’uomo (come i gladiatori di “Ben Hur”, pellicola non a caso citata nella scena delle bighe che sfilano nel primo Hunger Games). L’autrice della saga letteraria, Suzanne Collins, ha mescolato furbescamente carte già note, ma l’ha fatto nel rispetto dell’intelligenza del fruitore. Così non è troppo importante (o utile) giocare a trovare i riferimenti più illustri alle vicende di Katniss per individuare “furti” eccellenti, perché quelle storie in realtà si saccheggiano reciprocamente da tempo. Noi ci accontentiamo dell’ottimo spettacolo.

Ma come ti vesti? Guardate la ricca e facoltosa Capital City, città dai colori pastello con i suoi abitanti conciati come teatranti e acconciature fluorescenti che sfidano la forza di gravità: la domanda di cui sopra vi verrà spontanea. La Effie Trinket di Elizabeth Banks, personaggio il cui nome pare nato già per una griffe di moda, è la perfetta sintesi visiva di quella società che nasconde sotto vistosi accessori e anacronistici corsetti la sua brama di repressione. Fuori, specialmente nel Distretto 12, il mondo ha invece le tonalità plumbee, lerce e incolori della sottomissione (vedi la sequenza del sorteggio dei tributi di chiara matrice ariana). In Hunger Games l’aspetto visuale non è, fortunatamente, lasciato al caso e quei tripudi colorati e carichi di cerone stanno là ad evidenziare, come solo il cinema potrebbe fare, le stesse antinomie sociali. Metafore semplici e dirette s’intende ma che colgono nel segno. E il ghigno entusiasta di Effie Trinket durante le mietiture è anche più eloquente del fasullo entusiasmo del presentatore Stanley Tucci.

Il punto J. Fuor di metafora bisogna riconoscere che mai scelta fu più azzeccata per incarnare la combattiva protagonista della saga. E non lo diciamo solo perché Jennifer Lawrence si è guadagnata stima e attenzione (nonché l’adorazione maschile) dopo “Il lato positivo”, ma perché la sua Katniss, novella Diana costretta a cacciare per sopravvivere anche fuori dai giochi, ricorda molto l’adolescente vista in “Un gelido inverno”. Anzi potremmo quasi affermare che la “ragazza di fuoco” è proprio da lì che proviene, carica sin da allora di gravi responsabilità (nonchè segnata dall’assenza di un padre e da una madre depressa) e costretta, suo malgrado, a muoversi attraverso boschi depressi e ostili a ogni forma di umanità. Sono in pochi quelli che non la amano. Per tutti gli altri invece perdersi in quello sguardo da amazzone o nelle rotondità del suo grintoso ovale è l’ennesima festa. E non solo per gli occhi.

Fenomeno. Diciamolo, fa piacere ogni tanto che un pubblico più giovane si appassioni ad una saga che non deve il proprio successo a facili stucchevolezze adolescenziali ma ad una visione più brutale (benché pur sempre fantascientifica) della realtà. Qui si parla in fondo di totalitarismi, istupidimento da reality show e rivolta del proletariato, temi decisamente lontani dalle indecisioni sentimentali fra un vampiro e un licantropo (storia che, per quanto potesse avere una sua qualche ragion d’essere, di certo non giustificava cinque pellicole). In più il trattamento che il cinema ha restituito non è di quelli laccati che ci si potrebbe attendere, a giudicare dal primo film: macchina a mano, fotografia sporca nella prima parte e montaggio privo di effettismi. La violenza non è mostrata interamente ma suggerita con intelligenza, anche se molte crudezze del libro e dei personaggi sono state “alleggerite”. Toccherà ai neo-lettori (che sicuramente incrementeranno) trovare le differenze. Il fenomeno mondiale è appena iniziato.

L’eroe è donna. Ovvero qualcosa che, almeno al cinema, non si verificava da tempo. E questo la dice lunga su un personaggio femminile che si candida seriamente a diventare in qualche modo icona cinematografica di spessore. Perché la Katniss di Jennifer Lawrence è tosta certo ma senza dare mai l’impressione di essersela cercata. Diventa un simbolo solo perché i segni, ormai maturi, della rivolta la eleggono tale. Non si perde (troppo) dietro vagheggiamenti sentimentali perché c’è ancora una guerra tutta da combattere con arco, frecce e astuzia. Inoltre ha rispetto per la vita ed è per questo che dà la morte solo quando altre vie non sono possibili. Lontana anni luce, insomma, da prototipi di pura “passività” femminile. Che dovesse essere la Lawrence ad incarnarla per tutta la saga pareva scritto già nel destino. Quello stesso che durante un provino le fece perdere la parte che avrebbe dovuta lanciarla al cinema ben cinque anni fa. Fortunatamente, potremmo dire oggi: era il provino per il ruolo di Bella Swan….

Fuoco alle polveri….