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Film 2013: il cinema dalla A alla Z secondo Cineblog

Dalla A alla Z: l’alfabeto di Cineblog vi fa ripercorrere l’annata cinematografica che si sta per chiudere. 26 lettere: ad ognuna corrisponde un film, un personaggio, un interprete, un genere, un filone, una canzone che ha segnato il 2013…

pubblicato 30 Dicembre 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 05:47

Il cinema del 2013 dalla A alla Z. È questa la sfida che si è lanciata la nostra redazione: racchiudere un intero anno cinematografico all’interno dell’alfabeto. Un film, un regista, un interprete, un filone o persino una canzone. Non erano poche le opzioni che avevamo, ma abbiamo avuto un solo “elemento” dell’annata cinematografica a scelta per ogni lettera.

Ci siamo dati un unico, grande limite: quello di provare a rispettare le date di distribuzione italiane dei film. Non troverete quindi citati ad esempio 12 Anni Schiavo, Her o Stray Dogs, film che usciranno prossimamente o che forse non usciranno mai. Ma è un limite che ci pesa poco, anche perché di cose ne abbiamo viste comunque molte e ne sono successe altrettante. Come non citare infatti il “caso” 50 sfumature di grigio, che ha colonizzato per giorni i media con il turbolento casting?

The Wind Rises e Tom à la ferme, invece, li abbiamo già visti ma non sono ancora usciti in Italia (e il secondo non uscirà probabilmente mai): ma potevamo non citare Miyazaki dopo l’annuncio del ritiro e non citare Dolan, ormai talento affermatissimo del panorama internazionale? Due nomi che, in modi e per motivi diversi, hanno fatto parlare anche in Italia (e Dolan ha già persino un fan club nostrano).

A due giorni dall’archiviare il 2013, e ad un giorno dalle nostre Top 10, Cineblog vi riporta quindi a spasso per l’annata che sta per concludersi. Manca sicuramente qualcosa. Qualche titolo fondamentale non c’è in questo nostro alfabeto, soprattutto perché i posti sono quel che sono. Segnalateci nei commenti i titoli, i personaggi, i filoni e tutto quello che non dovrebbe mancare secondo voi in un “alfabeto del 2013”.

A come Adèle


Bellezza naturale e vera, gamma espressiva sconvolgente, risata e sorriso irresistibili. E un talento serio per la recitazione che, polemiche a parte, Kechiche ha sfruttato fino in fondo. Anche a costo di essere considerato un tiranno e un voyeur. La si pensi come vuole, su La vita di Adèle e sul “metodo Kechiche”, ma quel che mette d’accordo tutti è proprio Adèle Exarchopoulos, la rivelazione attoriale assoluta e imbattibile dell’anno. La sua Adèle, quella “di celluloide”, balla, esplora, piange, mangia, legge, rutta, (non) si asciuga il moccio, scopa, fa l’amore, sogna, ama e… vive! Adèle (interprete e personaggio), se una “storia del 2013 cinematografico” verrà mai scritta, occupa(no) un capitolo a parte. Forse il primo, e non se la prendano gli altri attori e gli altri personaggi. [Gabriele Capolino]

B come (La Grande) Bellezza


Sebbene da principio fosse stato più o meno chiaro a quale bellezza alludesse Sorrentino, e soprattutto in che termini, c’è chi ancora, a seguito di una prima visione, si domanda cosa sia questa “bellezza”. Noi, che già mesi fa tentammo di rispondere a tale quesito, a ‘sto giro voliamo basso e ci limitiamo a quanto già sappiamo e ci aspetta. La bellezza, ad oggi, è avere un film italiano nella shortlist dei 9 titoli ancora in lizza per l’Oscar al Miglior Film Straniero, scelta corroborata da un successo poco meno che unanime – specie negli USA. Le riserve, quantunque legittime, passano in secondo piano dinanzi ad un’opportunità così ghiotta, a prescindere dalle ripercussioni concrete ed immediate sul nostro cinema tutto. Perché nonostante tutto La grande bellezza rimane uno dei film dell’anno. [Antonio Maria Abate]

C come 50 Sfumature di Grigio


Tra scritture riviste e corrette da un concerto di mani; riprese annunciate, partite e rinviate; rumor, conferme e smentite sulla rosa del cast; scene test, prime foto e la data di uscita posticipata, 50 Sfumature di Grigio non è un film del 2013, ma si conferma come il parto più atteso del 2013. Roba da far impallidire quello del futuro Re d’Inghilterra. Tranquilli però, perché visto che l’’uscita in sala è slittata al 13 febbraio del 2015 (almeno per il momento), è probabile che tutte le sue sfumature continueranno ad ossessionarci anche nel 2014. [Cut-tv’s]

D come Douglas


Non solo resta il grande attore capace di cavalcare gli anni ’80 e ’90 con cult storici ma è anche una persona cordiale ed umana (doti verificate di presenza). In più ha affrontato coraggiosamente un cancro, ne è uscito vincente e non ha nascosto perfino le cause che lo avrebbero fatto ammalare (la sua condotta sessuale sregolata). È tornato al successo nel 2013 con la commedia Last Vegas, ma è grazie al Valentino Liberace di Dietro i candelabri che ci ha regalato una delle performance più coraggiose, toccanti e misurate della sua carriera nonché dell’intera stagione cinematografica (anche se dovremmo dire televisiva). Se avesse potuto concorre ai prossimi Academy Awards nessuno avrebbe potuto negargli una seconda, meritatissima statuetta. Pazienza. L’importante è tornare grandi. [Andrea Lupo]

E come Emma Watson


Il 2013 per lei è stato l’anno in cui dire definitivamente addio alla giovane Hermione attraverso due ruoli che l’hanno consacrata a tutti gli effetti giovane adulta. Prima l’adolescente positiva e matura negli anni ’90 di Noi siamo infinito e poi il suo corrispettivo vuoto e amorale di Bling Ring. Due facce della stessa medaglia d’attrice che l’hanno proiettata senza dubbio fuori da Hogwarts e dai suoi corridoi incantati. Nel 2014 si attende la conferma con Noah ma siamo sicuri che il suo talento la terrà a galla anche nel bel mezzo del diluvio universale. [Andrea Lupo]

F come Franco


In redazione abbiamo idee diverse su di lui, ma nessuno nega che il ragazzo s’impegni (per qualcuno pure troppo). Solo a Venezia era presente quattro volte: in concorso come regista del discusso Child of God, con un corto nell’omaggio collettivo Venezia 70 – Future Reloaded, come “testimone” in A Fuller Life, e come attore in Palo Alto (tratto da una sua raccolta di storie brevi). Prima era a Cannes in Un Certain Regard con As I Lay Dying. Ancora prima era al Sundance con Interior. Leather Bar.. E poi il suo Sal (del 2011) è rispuntato fuori per la distribuzione Usa. Troppo? Narcisista? Senza talento registico? Poco importa: tanto c’è il suo ruolo di Alien in Spring Breakers, che spazza via tutto. Un gangster “viscido” ma un po’ dal cuore d’oro, che però non può che restare indietro rispetto alle spring breaker più “forti”. Look at my shiiiiiiiieeet! [Gabriele Capolino]

G come Gravity


Un ritorno che manda in orbita, tocca corde nascoste, e raggiunge vette inaspettate, lanciato tra gli astri dello spazio, quelli del cinema, e la fantascienza capace di sorprendere la realtà, sbancare il box office, e commuovere anche gli scettici. [Cut-tv’s]

H come Horror


Sorvolando sul trattamento riservato al genere horror dalla distribuzione italiana, il 2013 ha visto il filone “a sfondo sovrannaturale” farla da padrone con titoli che vanno dal molto godibile (La madre, Dark Skies) al davvero notevole (L’evocazione, Sinister), con la conferma del lanciatissimo James Wan come talentuosa nuova leva horror, anche se il sequel Insidious 2 pur regalando una sana dose di brividi, omaggi e citazioni non ha raggiunto l’impatto dell’originale. Naturalmente non mancano gli exploit come Le streghe di Salem che ha mostrato il lato più allegorico e autoriale dello specialista in horror Rob Zombie (La casa dei 1000 corpi) e il sorprendente The Bay di Barry Levinson che registra una delle migliori incursioni su grande schermo del formato found footage. Concludiamo all’insegna dei nostalgici anni ‘80 segnalando il riuscito remake La casa, il regista Fede Alvarez non ha sfigurato rivisitando l’inarrivabile Evil Dead di Sam Raimi, il gradito ritorno della Bambola assassina con La maledizione di Chucky di Don Mancini e l’ottimo remake Silent Night di Steven C. MIller, questi ultimi due titoli miracolosamente giunti anche da noi in edizione home-video. [Pietro Ferraro]

I come Insidious 2


O forse dovremmo dire I come James Wan, perché questo 2013 è stato innegabilmente l’anno della consacrazione di questo straordinario regista. Esploso definitivamente grazie a L’Evocazione e per l’appunto al sequel di Insidious, meno esaltante rispetto al primo capitolo ma in grado comunque di far furore in sala. Quasi 500 i milioni di dollari incassati con questi due film, tanto da tramutarlo nel nuovo Re dell’horror a stelle e strisce, dalla qualità registica stupefacente e dalla rapidità produttiva, tanto da ‘promuoverlo’ e portarlo ad incrociare un altro genere a dir poco distante da quello conosciuto fino ad oggi. Ovvero Fast and Furious 7, che lo vedrà cimentarsi con la morte choc di Paul Walker. Prima di tornare a L’Evocazione 2 e magari anche ad Insidious 3? [dr. apocalypse]

J e K come Jaeger & Kaiju


Il regista Guillermo del Toro sfoderando un orgoglio nerd di proporzioni immani confeziona con Pacific Rim un sentito omaggio all’universo mecha (quello di Jeeg, Mazinga, Gundam, Patlabor ma anche dell’Evangelion di Hideaki Anno), ma quella di Del Toro è anche una vera e propria dichiarazione d’amore ai Kaiju, gli iconici mostroni nipponici come Gamera, Mothra, Godora, Gigan guidati idealmente dall’iconico Godzilla della Toho. L’apocalisse sci-fi è servita e come accadeva nel Sucker Punch di Zack Snyder un immaginifico maschile e testosteronico si materializza su schermo, con titanici scontri che sfruttano la tecnologia CG affinata dalla serie Transformers e come nei robotici match di Real Steel la salvezza della razza umana si gioca in brutali corpo a corpo, in una escalation da disaster-movie all’insegna di un cinema epico, citazionista e appassionato, il cui immaginario cavalca a ruota libera tra nostalgia e pura magia visiva. “Per combattere mostri abbiamo creato dei mostri… oggi noi cancelleremo l’apocalisse!”. [Pietro Ferraro]

L come Lawrence


Chi potrebbe mettere in dubbio che il volto femminile più rappresentativo di questa annata cinematografica sia stato quello della Lawrence? La ragazza di fuoco ha “scottato” parecchie visioni nell’arco degli ultimi dodici mesi, incorniciando con la sua prorompente bravura sia l’inizio (Il lato positivo) che la fine (Hunger Games) del suo magico 2013. In mezzo c’è stato spazio perfino per un flop, Hates, trascurabile thriller di stampo televisivo, dimenticabile per tutto tranne che per lei. Nel 2014, incassati ulteriori allori per American Hustle, turberà i sogni dei nerd (e non solo) grazie alla sua Mystica di X-Men – Giorni di un futuro passato. Tutto questo poco prima di dare inizio al canto della rivolta. E chi la ferma più? [Andrea Lupo]

M come Miyazaki


Perché in 40 anni di carriera ha fatto sognare, divertire e piangere decine di milioni di bambini, poi diventati adulti eppure mai allontanatisi dai suoi film, fantasiosi e legati ad una tradizione animata che solo lui, con il passare degli anni e l’evoluzione CG, ha mantenuto inalterata. Perché ha segnato in maniera indelebile il mondo dei lungometraggi animati, dando vita ad una società, il mitico Studio Ghibli, che ha scritto pagine incancellabili di cinema. Perché il suo prevedibile ritiro, annunciato al Festival di Venezia, ha coinciso con la realizzazione dell’ennesimo capolavoro, The Wind Rises, in odore di Premio Oscar dopo i mancati premi al Lido. Perché Hayao Miyazaki è unico e nessuno sarà mai come lui, in quanto leggenda vivente tra noi comuni mortali, da decenni incantati dinanzi alle sue inarrivabili opere. [dr. apocalypse]

N come NO


Due partiti contrapposti: il Sì, favorevole alla conferma di Pinochet alla guida del Cile, e il No, ovviamente contrario. 15 minuti: il tempo che i due partiti avranno al giorno, per un totale di 27 giorni, per fare in tv la propria campagna. Pablo Larrain, uno dei registi più bravi in circolazione, conclude la sua trilogia sulla dittatura di Pinochet. Lo fa regalando una lezione di regia che unisce l’abbondante materiale di repertorio (le vere immagini tv delle campagne) con riprese effettuate con i mezzi dell’epoca (l’U-matic). No tratta sì di politica e Storia di una nazione, ma ragiona soprattutto sulla forza dell’audiovisivo come mezzo “pubblicitario” buono per ogni scopo, anche quello della salvezza di una nazione, con tutte le implicazioni del caso. Il mondo della pubblicità (su modello americano) alla fine lascia comunque un retrogusto amaro in bocca: perché quello è il nostro modello, qui ed oggi. E se fosse un’altra dittatura, per nulla violenta e terrificante, ma alla quale non possiamo comunque sfuggire? Per questo e per altre domande che si pone con lucidità e coraggio, No è il film “politico” (non documentario) più importante dell’anno. [Gabriele Capolino]

O come Oscar


Una vecchia vagabonda, un drago in motion capture, Monsieur Merde, un padre di famiglia, un sicario, un ricco anziano in punto di morte, un killer. Il protagonista di Holy Motors attraversa questa matrioska di storie e vite parallele per lavoro nell’arco di una giornata. Il sodalizio tra Leos Carax e Denis Lavant, costretto a fare qualunque cosa, giunge al culmine estremo. E quando finalmente Oscar arriva a fine giornata e torna a casa dalla sua famiglia (?), un ultimo, beffardo “colpo di scena” interrompe una strana commozione che ci aveva fatto davvero affezionare al suo assurdo e fantasmagorico percorso. Oscar è la quintessenza del cinema (oggi): più che un’arte, un lavoro per qualcuno meccanico e autoreferenziale, che parla a pochi perché forse svuotato del suo senso, ma che riesce dopotutto ancora a lasciare a bocca aperta. Ma domani è un altro giorno, e Oscar comincerà una nuova giornata di lavoro. Sarà sicuramente un po’ più stanco del giorno precedente. Il cinema è morto, lunga vita al cinema. [Gabriele Capolino]

P come Peter Jackson


Premessa rituale: Lo Hobbit, anche se un bel film, non è (né mai sarà) Il signore degli anelli. Detto questo possiamo finalmente parlare di Peter Jackson e del grande narratore dotato di senso del fantastico che è. Perché ci vuole davvero un regista con gli attributi per cavare fuori da un racconto per ragazzi un’avventura che da giocosa scivola lentamente (e senza forzature) nell’epica. La desolazione di Smaug è davvero una delle pellicole più libere di Jackson, quella in cui sensibilità estetica e rigore narrativo si fondono senza troppi compromessi. Sbanda talvolta (accade un po’ i tutti i suoi film) ma solo perché impegnato a compiacere troppe tipologie di pubblico. Quando invece è “puro Jackson” riesce a regalare al pubblico visioni dall’impatto emotivo incredibile (il manifestarsi di Sauron, la pittorica e terrigna città di Pontelagolungo e ovviamente l’abbagliante Smaug). E sono visioni di tre ore sulle quali è un piacere ritornare. Serve altro? [Andrea Lupo]

Q come Queer


E il cinema queer non si pianse più addosso. Certo, Tom à la ferme gira attorno alla frase “Prima di imparare ad amare, gli omosessuali imparano a mentire”, ma lo fa giocando col cinema e persino con l’identità di “gender”. Certo, Dietro i candelabri nasconde un cuore di tenebra sotto i colori, i lustrini e le paillettes, ma non cerca la “pietà” di nessuno. Che l’annata sia stata importante per il cinema a tematica LGBT lo conferma Lo sconosciuto del lago, che è un’opera che non si era vista prima, supera ogni abc e segue un percorso tutto suo e forse inedito. Persino James Franco in Interior. Leather Bar. ci dice che ne è passata di acqua sotto i ponti nelle battaglie gay, ed è il caso che il cinema si adegui! Così Kechiche ne La vita di Adele può permettersi pure di “saltare” (sul grande schermo) tappe fondamentali dell’educazione sessuale (e non) della sua protagonista, primo fra tutti il coming out. Nel 2013 il cinema queer ha “finalmente” scoperto che si può andare oltre all’abc, basta credere nel pubblico: e non è cosa da poco. [Gabriele Capolino]

R come Rob Zombie


Perché Rob? Semplicemente perché ha firmato il miglior horror dell’anno ed uno dei più fondamentali per gli anni a venire. Le streghe di Salem è stato deriso e sbertucciato (ingiustamente) dal pubblico dei multisala unicamente perché è un gioiello fuori dal tempo e perché pellicola inquadrata in una dimensione che trascende i confini del gusto attuale. In realtà con questo film Zombie non ha fatto altro che affinare le sue ben consolidate doti di cineasta abile e musicalmente colto, provvedendo quindi a farle confluire in una composizione ancor più astratta e misurata, debitrice in ogni singola inquadratura del grande horror degli anni ’70 (Carpenter su tutti). Se dell’horror attuale James Wan rappresenta lo studente impeccabile, puntuale e rigoroso, Zombie invece ne incarna l’avanguardia geniale e imprevedibile. [Andrea Lupo]

S come Sharknado


Quando il regista Steven Spielberg con il suo iconico squalo assassino trasformò le tranquille giornate di ignari bagnanti in un incubo con fauci, sangue e terrore mai avrebbe potuto immaginare che il filone “thriller-horror con squali” avrebbe raggiunto l’epica demenzialità di Sharknado. Definito da alcuni il più brutto film di sempre, chiaramente stiamo parlando di persone con un background filmico oltremodo limitante e senza alcuna conoscenza delle produzioni targate The Asylum, l’effetto Sharknado ha fruito di un massiccio tam tam mediatico partito dal piccolo schermo, amplificato da Twitter per poi espandersi a macchia d’olio sino a trasformare il film in un vero e proprio fenomeno con uscite nei cinema statunitensi e addirittura un’edizione italiana in DVD. Un branco di feroci squali trasportati da un tornado (ricordate la mucca di “Twister”?) cadono letteralmente a pioggia su Los Angeles seminando panico e vittime. Sharknado rappresenta in toto la filosofia The Asylum; budget ridottissimi e trame folli, il tutto condito da effetti CG a buon mercato, ma l’effetto per chi possiede un minimo sindacale di humour è deflagrante. [Pietro Ferraro]

T come Tom Hanks


Se la parentesi rosa di Larry Crowne ci aveva fatto un po’ dubitare delle sue scelte (il film non era male ma Hanks giocava troppo a fare il Jimmy Stewart della situazione), con i ruoli multipli di Cloud Atlas e soprattutto con quello del comandante risoluto e coraggioso di Captain Philips abbiamo riavuto indietro quel Tom Hanks da noi sempre amato. Nel 2014 si aspetta la conferma in Saving Mr. Banks anche se del discusso protagonista (niente meno che Walt Disney) il nostro è chiamato solo ad interpretare il lato più tenace e sognatore e non le diverse zone d’ombra. Sperando tuttavia che con la sua bravura ce le faccia almeno intravedere. [Andrea Lupo]

U come (Django) Unchained


Tarantino si conferma come il regista più chiacchierato di Hollywood. Genio o copione? Entrambe le cose probabilmente, ma grazie a Django Unchained ha riportato in auge un genere dimenticato da tempo e rendendo cult quello che prima era considerato di serie B. Fracassone, esagerato, roboante, ben diretto e con un cast stellare. Quentin non sbaglia quasi mai ma anche quando lo fa nessuno se ne accorge… [Francesco Colla]

V come Venere in pelliccia


Dal romanzo erotico di Leopold von Sacher-Masoch, al malizioso ritorno dietro la macchina da presa di Roman Polanski, passando per la pièce teatrale di David Ives, portata sul grande schermo con il claustrofobico, provocante incontro tra universi agli antipodi, il 2013 è tornato a scaldarsi con il ritratto raffinato e folgorante della Venere che padroneggia l’arte della seduzione, giocata con l’eterno incontro scontro dei sessi, dei ruoli, di dominazione/sottomissione. [Cut-tv’s]

W per Woody


78 anni e non sentirli. Il disastro To Rome with Love era quasi riuscito nell’impresa di farci crollare un mito come Woody Allen. Quasi, per l’appunto, perché una leggenda simile non poteva certamente abbandonare le sale con un titolo tanto mediocre tra le mani. Dalle ceneri capitoline è così nato Blue Jasmine, film tra i più cupi della sua carriera e tra i più riusciti dei suoi ultimi 15 anni, impreziosito da una mastodontica Cate Blanchett e da una sceneggiatura con svolte noir che ha riportato il ‘genio’ del regista ai fasti di un tempo. In attesa del prossimo lavoro, ovviamente, ma il 2013 cinematografico, tra i tanti suoi meriti, va ricordato proprio per questo motivo. Per il bentornato Woody che qualunque suo fan avrà pronunciato una volta davanti alla sua ultima splendida fatica. [dr. apocalypse]

X come Xavier Dolan


Canadese, classe 1989. E una personalità già matura, grazie a quattro film alle spalle e un altro in fase di lavorazione (Mommy, forse a Cannes 2014). Il 2013 è stato l’anno della sua consacrazione, soprattutto negli Stati Uniti, dov’è uscito Laurence Anyways a giugno, dov’è stato recuperato il folgorante esordio J’ai tué ma mère a marzo, e dove l’AFI Fest ha presentato l’ultimo Tom à la ferme. A Venezia, dove il film era in concorso, se n’è parlato giustamente tantissimo. C’è chi lo ama e c’è chi ha ancora dubbi su Xavier (si sarà capito da che parte stiamo noi…), ma il suo nome è già una realtà consolidata nel panorama del cinema mondiale. In Italia continuamo ad ignorarlo, e lui ne è consapevole, tanto da ammettere rassegnato su Twitter che i nostri distributori non sono interessati ai suoi film. Xavier, sappi che purtroppo sei in buona compagnia: ma occorre che qualcuno trovi il coraggio di proporre il suo cinema in Italia. Sarebbe un gran peccato non dare la possibilità a chi lo vorrà di scoprire e godere di film che sopperiscono ad alcune scelte un po’ “acerbe” con un’energia che altrove non si trova. [Gabriele Capolino]

Y come Young and Beautiful


Chiamiamola una licenza, l’unica, vera che ci concediamo nell’ambito di questa nostra iniziativa. Sì perché il 2013 è decisamente l’anno, tra gli altri, di Lana del Rey, la cui consacrazione ed il cui riconoscimento è passato anche attraverso il cinema. Anzitutto grazie al brano relativo alla colonna sonora de Il grande Gatsby, sproporzionata ma interessante trasposizione di Luhrmann. In secondo luogo, giusto per rimanere in territori familiari, ci pare opportuno menzionare il suo primo cortometraggio, quel denso Tropico che in poco meno di mezz’ora ci scaraventa in faccia la qualsiasi, frutto di una serie di riflessioni sparse a mo’ di flusso di coscienza per immagini. Sì, la giovane cantante newyorkese una menzione la merita. [Antonio Maria Abate]

Z come Zalone


Perché due anni dopo il sorprendente boom di Che bella giornata era atteso al varco dalla critica, posizionata con i fucili puntati per fare fuoco ed abbattere il comico televisivo ‘diventato attore’. Nessuno avrebbe scommesso un euro su un nuovo exploit di Checco, e invece Sole a Catinelle non solo ha ‘mediamente’ ottenuto critiche più che accettabili, ma è entrato di diritto nella Storia del Cinema italiano in quanto secondo maggior incasso di sempre dietro Avatar, inflazione esclusa. Ribattezzato San Checco dagli esercenti, che grazie a lui sono riusciti a risollevare una stagione alquanto povera d’incassi, Zalone ha innegabilmente segnato questa stagione cinematografica. Tanto nel bene quanto nel male. A voi, spettatori e lettori, il compito di decidere ‘quale’ posizione fargli cavalcare. [dr. apocalypse]