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C’era una volta Sergio Leone e ci sarà sempre

Leggere, vedere vita e opere di Sergio Leone è ciò che consiglio a tutti, poiché fra i grandi registi italiani Leone è stato quello che come loro, a volte più di loro, ha saputo fare un cinema grande e spettacolare, indimenticabile

pubblicato 12 Aprile 2014 aggiornato 31 Luglio 2020 02:38

Sono stato a “Sguardi sul Reale” (8-13 aprile), rassegna dedicata al documentario (hanno presentata il doc di Walter Veltroni “Quando c’era Berlinguer”) ma a tanti altri film e autori scelti con cura da Tommaso Orbi e dal suo gruppo. Toscana vera, bella terra e industria di qualità e lusso (Prada, con oltre mille addetti), Terranova Bracciolini, dove nei primi anni della tv venne alzato uno dei ripetitori a lungo pubblicizzati nella campagne degli abbonamenti alla tv della Rai, mostrati in spot nei televisori che si affacciavano nelle vetrine dei negozi di elettrodomestici.

Sono andato in quanto autore del libro Sergio Leone – Quando il cinema era grande edito da Lindau e ho presentato un corto dedicato al regista, per lasciargli la parola e presentare il suo lavoro. Non ci sono testi, né intervistatori, né conduttori. Il corto intitolato “C’era una volta Sergio Leone e ci sarà sempre” appartiene a quel genere che, in letteratura, in Francia viene chiamato racconto “par lui-meme”, ovvero il personaggio (lo scrittore, in questo caso il regista) viene ricostruito “da se stesso” con le sue parole, in questo caso le sue immagini, e ciò conferisce alla narrazione spontaneità e precisione.

Nel libro, invece, cerco la vita, la storia, i film di Leone in un insieme che permette di fare di Leone il personaggio-chiave di un affresco; l’affresco delle forme e dei contenuti di un cinema che ha al suo centro la rappresentazione della realtà dagli anni Sessanta agli anni Ottanta, reinventando un linguaggio spettacolare secondo un suo stile diventato famoso nel mondo. Pensiamo di conoscere a fondo Leone, è sbagliato con è così.

Sergio Leone (1929-1989): una lunga storia che comincia all’epoca del cinema muto. Il padre, Vincenzo, nato a Torella de’ Lombardi in Campania, era regista, aveva assunto il nome d’arte Roberto Roberti, diresse film con Francesca Bertini, diva entrata nella storia. La madre era Edwige Valcarenghi, nomi d’arte Bice Walerian o Bice Roberti, romana, attrice. Il padre avviò al cinema un giovanissimo Sergio, che divenne assistente di Mario Bonnard, in film in costume o commedie leggere. Al debutto con “Per un pugno di dollari”, Sergio firmò Bob Robertson, cioè “figlio di Roberto Roberti”, creando una moda per cui molti registi usarono nomi anglosassoni inventati nel western italiano. Il successo del genere convinse tutti a tornare ai veri nomi. Leone realizzò sette film: “Il colosso di Rodi” (1961), “Per un pugno di dollari” (1964), “Per qualche dollaro in più”(1965), “Il buono, il brutto, il cattivo” (1966), “C’era una volta il West”(1968), “Giù la testa”(1971), “C’era una volta in America” (1984). Furono e sono sufficienti a farne un autore molto amato anche dai giovani.

Non fu facile per il giovane Sergio Leone imporsi come autore, dopo aver fatto dall’assistente alla comparsa, dallo sceneggiatore all’aiutoregista. Grande scuola che interruppe presentandosi ai produttori con una sceneggiatura, quella di “Per un pugno di dollari”, che cominciava con un cow boy misterioso in sella non di un cavallo ma di un asino, cosa inaudita per un film western dopo le cavalcate dei John Ford, Howard Hawks, Anthony Mann. Leone sostituì l’asino con un mulo. Aneddoti. Poi le sorprese. I primi deludenti incassi divennero vertiginosi. I produttori risarcirono il regista giapponese Akira Kurosawa per “La sfida del samurai”, a cui Leone si era ispirato. Sbocciò la fama, rafforzata da “Per qualche dollaro in più”, da “Il buono,il brutto, il cattivo”, dovuta alla magia delle riprese, alla presenza di attori eccezionali americani come Clint Eastwood, Charles Bronson, Lee Van Cleef, Rod Steiger, l’italiano Gianmaria Volontè; alla musica di Ennio Morricone. “Perchè i suoi film piacciono tanto?”, domandavano nelle interviste. Leone rispose che si sentiva un cantastorie ispirato a Omero. Favole moderne, dure e dolcissime.

Nella foto: Sergio Leone e James Coburn