Home Venezia: Perché si fa un film? I casi di Saverio Costanzo e di Franco Maresco

Venezia: Perché si fa un film? I casi di Saverio Costanzo e di Franco Maresco

Ogni soggetto ha suo obiettivo, ma la prima cosa che serve è sapere a quale pubblico ci si vuole rivolgere, come e perchè

pubblicato 1 Settembre 2014 aggiornato 30 Luglio 2020 22:39

Ci sono film interessanti che hanno buona forma nel racconto, risorse, intenzioni, ma lasciano perplessi su quelli che possono sembrare dettagli, e non sono piccoli di dettagli. Saverio Costanzo, con “Hungry Hearts”, fa uno dei suoi film migliori, per l’inizio che (lascio la sorpresa) non rivelo. Una scena delle più incisive e riuscite che mi è capitato di vedere negli ultimi anni. Dopo di essa, la fame aumenta, la voglia di partecipare al rito del film aumenta in modo intenso. Costanzo ha preso da un romanzo una storia d’amore. Ben venga, ne abbiamo bisogno, non si impara mai abbastanza. Qui la storia si svolge sullo sfondo di New York tra un ingegnere americano e una giovane donna italiana che lavora con le ambasciate. Un amore intenso. Nasce un figlio non voluto da lei, e poi accettato con passione. La passione, non è un particolare, è una forza sovrumana. Porta la ragazza a voler proteggere la creatura dalle impurità del mondo moderno. E’ lei a scegliere il cibo e lo scandire le giornate: alimenti vegani, poche o nessuna esposizione all’aria di una città inquinata. Il padre si preoccupa perché il bambino non cresce. I medici gli danno ragione: la crescita è troppo lenta stentata, a lungo andare il bambino può andare incontro a gravi conseguenze, compresa la morte. Ed ecco che questa creatura dell’amore, della passione, diventa lo scandalo nella coppia in cui comincia una lotta sempre più aperta, fino a un finale che certamente non rivelerò.

Lo stile del film è abile. Non solo è ben girato ma possiede almeno in parte intensità e tensione, e si avvicina a un riuscito thriller. Però… Ecco il punto. Però… In casi come questi, lo scandalo e gli scontri nella coppia sono presentati come elementi di conoscenza reciproca, nella ricerca di una conclusione magari inaspettata ma logica. Il desiderio della madre che considera la creatura tutta e solo sua sono frequenti, e le ragioni psicologi e psicanalisti le hanno descritte. Ma al film e al regista questo versante non interessa. La madre pretende con determinazione assoluta la sua idea di alimentazione e vita al “suo” bambino, secondo principi non condivisi dal marito e sconsigliati dai medici. Il bambino è in pericolo. Quale è il motore di questo pericolo? Il desiderio di purezza e di alimentazione che dovrebbe chiedere a bambino sempre più debole una capacità di reagire spontaneamente? Le convinzioni di una madre che si reca a consultare strane figure di maghe, indovine, esperte in psicoterapie? Convinzioni suggerite da altre convinzioni e utopie per sostituire scienza e medicina serve dei padroni? La passione crea convinzioni così categoriche, totali, senza dubbi, senza ragioni documentate, che esse stesse convinzioni trasmettono volontà di comportamenti tassativi, che a poco a poco montano una forma di fanatismo cieco, ostinato.

Insomma: perché il film non risponde a questi “perché”? “Hungry Hearts” ha qui il suo punto debole e la sua costruzione scricchiola, rischia di crollare, e infatti crolla, si resta incerti e delusi. Che il film sia, vien da domandarsi, qualcosa, forse una metafora delle ostinazioni fanatiche senza ragione del tempo presente (una moltitudine, un assalto di ogni giorno…) o e un caso psicanaltico su cui imbastire una sfortunata storia d’amore nata con grandi speranze?

“Belluscone – Una storia siciliana” di Franco Maresco ( il socio di Daniele Ciprì del ben noto e antico “Cinico Tv”) mescola un sacco di cose alla rinfusa. La devozione per l’ex premier di cui si rifà per l’ennesima volta la storia, i suoi rapporti con la mafia; Dell’Utri; un organizzatore siculo di festival e di trasmissioni tv, comico involontario istrione che sgomenta; i cantanti neomelodici, ragazzi, macchiette, affascinati da Belluscone; i comici Ficarra e Picone tirati dentro a forza; Tatti Sanguineti in veste di molle e noioso narratore; lo stesso Maresco, uomo di talento, e di regia, voce ben nota e sarcastica ma un po’ sgonfia. Un pasticcio che a tratti fa sorridere o ridere, con zone clamorose e un teatrino di pupi da estremo cafonal nell’Italia che non sa dove sbattere la testa. Ma perché si fa un film così, terminando con Matteo Renzi vestito da Fonzie nello show di Maria De Filippi? Un viaggio tra Belluscone a Renzi il gelataio? I giornali sono arrivati prima e il folclore siculo, pupi e pupari, avrebbe avuto bisogno di ben altra energia.

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