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La Famiglia Belier: 3 nuove clip in italiano e una featurette della commedia di Eric Lartigau

La Famiglia Belier: video, trailer, poster, immagini e tutte le informazioni sulla commedia di Eric Lartigau nei cinema italiani dal 26 marzo 2015.

di cuttv
pubblicato 27 Marzo 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 18:06

Aggiornamento di Pietro Ferraro

Ha debuttato nei cinema italiani La famiglia Belier, la commedia campione d’incassi francese diretta da Eric Lartigau e interpretata da Louane Emera, Karin Viard, François Damiens ed Eric Elmosnino.

Vi lasciamo alla seconda parte dell’intervista al regista Eric Lartigau e se volete è anche disponibile una recensione del film.

INTERVISTA CON ERIC LARTIGAU (PARTE 2)

COME È ARRIVATO A SCEGLIERE LOUANE PER INTERPRETARE PAULA?

Agathe Hassenforder, la direttrice del casting, mi ha fatto incontrare tra 60 e 80 ragazze. Cercavamo un’attrice adolescente che sapesse cantare. Sfortunatamente quella che mi piaceva di più aveva la voce peggiore! All’inizio ho pensato che avremmo potuto doppiarla, ma poi mi sono reso conto che sarebbe stato improponibile. Avevo bisogno di cogliere l’emozione della sua voce dal vivo sul set, volevo filmare il corpo mentre canta. L’emozione passa anche attraverso l’epidermide: una canzone è qualcosa che si incarna. Un mio amico mi ha consigliato di seguire la trasmissione «The Voice» per guardare due giovani cantanti. Ed è stato così che ho scoperto Louane e mi sono sciolto! La cosa che mi è piaciuta in lei è stata la sua fragilità contenuta, come se fosse sul punto di crollare alla fine della prima strofa. Con lei hai sempre la sensazione che tutto si regga su un filo sottile, eppure lei c’è, è presente, è al tempo stesso ancorata e solida. E va fino in fondo, diventa una frase infinita. È Louane. Adoro tanto la sua grazia quanto la sua goffaggine che è quella tipica dell’adolescenza. È molto matura e possiede il senso dell’istante. Non è in grado di calcolare perché non è consapevole di quello che sprigiona. Spero che conserverà questa freschezza il più a lungo possibile. E ha l’eleganza di non cercare mai la macchina da presa. Potevo trovarmi a destra, dietro o a sinistra: lei non si preoccupava mai dello strumento. Non appena l’ho vista provare e l’ho scoperta nel visore della piccola videocamera, mi sono detto che era unica. Ha rivolto uno sguardo particolare nei confronti di Chloé, l’assistente del casting che le dava la battuta e quello sguardo è stato determinante: era Paula. È curioso come una scelta dipenda da poche cose.

E GLI ATTORI CHE INTERPRETANO I RUOLI DEGLI ADULTI?

Ci sono attori sordi straordinari che avrebbero potuto incarnare i genitori di Paula, ma era da molto tempo che avevo un grande desiderio di lavorare con Karin Viard e François Damiens e li ho visti nei panni dei personaggi fin dalla prima lettura della sceneggiatura. L’idea non era di fare un documentario sui sordi. E la tipicità di un attore risiede nella sua capacità di fondersi in un personaggio, di creare insieme a lui un carattere, una singolarità, un mestiere, un atteggiamento. L’arte della composizione del personaggio è intrinseca nel mestiere stesso di attore. Ho pensato subito a Karin Viard perché volevo fare di Gigi un personaggio esuberante, pieno di fantasia, ma anche autoritario e invadente. Volevo che fosse straripante e sapevo che Karin possedeva la capacità di renderla tale: è in grado di mostrare ogni sorta di eccesso, una dote che io trovo molto seducente. E poi avevo bisogno di una donna che fosse credibile nei panni di una che vende formaggi, che non fosse solamente sofisticata e che avesse conservato un pizzico di provincia. In ogni caso, è quello che io vedo in lei e che, a mio giudizio, le permette di incarnare anche personaggi popolari. Karin possiede questo ventaglio interpretativo. È la sua forza. François Damiens ha la folle e geniale capacità di essere e non essere. È un uomo che strabocca energia e vitalità. Vive sempre nel presente, a volte con agio disinvolto, altre volte del tutto a disagio, ma riuscendo a sparigliare le carte. Perché è in primo luogo un individuo di una generosità rara. È tutto d’un pezzo. È pieno di vita. Éric Elmosnino è intenso, dedito alla sua arte. È un ragazzo di una potenza straordinaria che ama scoprire e quindi ascoltare, disfare e rifare al contrario con altrettanto convincimento. Non ha preconcetti, è libero. È magico. Sono tutti e tre degli attori molto professionali e funzionano in modo estremamente diverso uno dall’altro: ciascuno ha la sua tonalità e rimanda un’energia alquanto diversa, ma sentivo che insieme avrebbero composto un quadro vivo, di grande rilievo, che si sarebbe mosso con affetto attorno a Paula.

Clip – Una famiglia aperta:

IL FRATELLO DI PAULA È INCARNATO DA UN GIOVANE SORDO.

Nella vita reale, Luca è un sordo profondo. Non aveva alcuna esperienza con la macchina da presa. Ha vissuto quest’avventura con grande vitalità e curiosità di scoperta. È un ragazzo gioioso e brillante. Sta sempre al gioco e sullo schermo ha una naturalezza che è molto affascinante. Questa nuova esperienza di vita ha buttato all’aria i suoi codici e i suoi punti di riferimento di bambino ne sono usciti scombussolati. C’è stato un Luca prima delle riprese e un Luca dopo le riprese. È stato incantevole vederlo crescere con noi. Ha un bello sguardo.

I TRE ATTORI UDENTI HANNO PROVATO CON UN COACH SPECIALIZZATO PER ACCOSTARSI ALLA LINGUA DEI SEGNI?

Per un attore, incarnare un audioleso è una sfida appassionante, a maggior ragione considerando che Karin e François sono due attori estremamente chiacchieroni! E in questo caso non hanno avuto una sola battuta di dialogo da pronunciare. Tutta la recitazione doveva essere improntata sui loro gesti e i loro corpi. Un lavoro straordinario. Abbiamo avuto la fortuna di incontrare le per sone giuste: Alexeï Coïca e Jennifer Tederri. Il primo è sordo e professore di LSF, la seconda è un’interprete. Due energie in carne ed ossa a servizio del film. Hanno svolto un ruolo determinante per la strutturazione dell’intera storia. Alexeï è di origine moldava e vive in Francia solo da cinque anni: è incredibilmente determinato e tenace considerando che ha dovuto imparare il francese e la lingua dei segni che si pratica in Francia, visto che ciascun paese ha la sua lingua dei segni. È stato lui a insegnare a Karin e Louane con una pazienza, un’energia e una gioia contagiose. Per quanto riguarda François, in Belgio ha avuto una professoressa sorda, Fabienne Leunis, poiché i sordi sono gli unici a poter insegnare la lingua dei segni a degli udenti. Le lezioni si sono protratte per quattro o cinque mesi, al ritmo intensivo di quattro ore al giorno. Gli attori sono stati al gioco. Del resto, non avevo lasciato loro altra scelta: dovevano imparare a memoria ogni sequenza, senza poter contare sul fatto che avrei potuto artificiosamente cancellare con una piroetta al montaggio eventuali segni sbagliati. E infatti, una volta sul set, il fatto che conoscessero a menadito i dialoghi ha reso loro la vita più facile. Erano pronti a recitare e a farsi dirigere.

È UN’ESPERIENZA INEDITA PER DEGLI ATTORI E ANCOR PIÙ PER UNA GIOVANE ATTRICE ESORDIENTE COME LOUANE…

La lingua dei segni è ultra rapida, molto complessa e di una grande ricchezza. Il volto deve essere in accordo con il segno che si intende esprimere: a seconda dell’espressione facciale, il segno viene compreso in modo diverso. Ma poiché ogni persona è unica, ciascuno ha una propria gestualità che gli si confà. È un’avventura per un attore a cui vengono forniti strumenti diversi da quelli che ha a disposizione normalmente e attraverso i quali il corpo deve sostituire la voce. Per Louane, si è trattato di un esercizio particolarmente complesso poiché il suo personaggio deve tradurre verbalmente quello che dicono i suoi genitori e al tempo stesso usare i segni, E parlare e «segnare» simultaneamente è molto complicato poiché la sintassi delle due lingue è molto diversa. Quindi Louane ha accettato di fare una scommessa straordinaria.

Clip – Il coro della scuola:

HA AVUTO LA SENSAZIONE DI DIRIGERE GLI ATTORI IN MODO DIVERSO RISPETTO AI SUOI FILM PRECEDENTI?

Curiosamente non c’è una reale differenza nella direzione degli attori rispetto agli interpreti che devono recitare un testo parlato. L’espressione è di per sé un linguaggio. Per lo stesso motivo per cui un campo lungo di paesaggio, senza dialoghi, «parla» ugualmente allo spettatore. «Segnando» gli attori si esprimono in una maniera diversa ma trasmettono comunque le loro riflessioni al mondo esterno. È quello che amo nei coniugi Bélier: il loro handicap non è un impedimento. Il padre vuole presentarsi al le elezioni perché non è d’accordo con il sindaco in carica. Chiunque direbbe che è un inetto e si fermerebbe con questa affermazione. Rodolphe no: prende posizione, decide di candidarsi e si mette in moto. Con grande disperazione di Paula che si vede aggiungere un ulteriore compito. Per quanto riguarda l’identità e la personalità di ciascun personaggio, mi sono fatto un’idea piuttosto precisa di ognuno degli attori. La madre è una donna un po’ invadente, molto presente, ma in grado di generare un’energia fisica interessante. Al suo fianco il padre, che sta più in disparte ed più burbero: a volte mette il broncio e non lo nasconde. Il loro figlio Quentin, al centro di questa famiglia, incarna il ragazzino che sta scoprendo se stesso. Con la troupe, vivevamo le scene in modo naturale: il principio era lo stesso di qualsiasi altro film. Alla fine di una ripresa, sapevo intuitivamente in quale direzione dovevamo andare. Invece, esigevo una grande precisione sugli spostamenti per rispettare quella «musica» che si esprime attraverso la lingua dei segni. Nello spazio, il segno costituisce un vantaggio: impone una sorta di coreografia, è visivo e dunque di fatto ideale per l’immagine. La differenza rispetto a un set tradizionale stava nel fatto che alla fine di ogni ripresa avevo bisogno di avere l’avvallo di Alexeï e di Jennifer che dovevano confermarmi la giustezza dei segni. Durante il montaggio, insieme a Jennifer Augé, ho molto seguito questo ritmo imposto. Avevo assimilato la lingua dei segni solo da pochi mesi, ma tuttavia era ormai parte integrante della narrazione. E ha trovato la sua collocazione con grande naturalezza.

Clip musicale – Je Vole:

QUALI SONO STATE LE SUE PRIORITÀ PER QUANTO RIGUARDA LA REGIA?

Detesto fare uno storyboard. Al contrario, preparo la scansione delle scene la sera per l’indomani. All’inizio non voglio costringermi a entrare in uno schema preciso in cui tutto è stato fissato per iscritto. Certo, durante la scrittura, mi annoto delle idee di inquadratura sul mio copione. Preferisco lavorare sugli spostamenti e suoi movimenti di macchina scrivendomi degli appunti e aspettare di fatto di scoprire le scene sul set. Poi, una volta che mi sono immerso nei luoghi, idealmente almeno una settimana prima che arrivi il reparto logistica del set, lavoro con l’ambiente spoglio, senza cavi, proiettori e macchine
da presa che riempiono troppo in fretta lo spazio che io e lo scenografo ci siamo creati. È stimolante lavorare su una scena con una persona come Olivier Radot. Tra noi c’è uno scambio di idee molto vivace. La fotografia e l’inqua dratura sono sempre stati importanti per me. In passato mi sono dedicato a lungo alla fotografia e per un certo periodo ho lavorato circondato da quadri, poiché ho fatto l’assistente una casa d’aste. L’arte affina lo sguardo. Anche se tutto è perfettamente scritto e ho il film bene in mente, l’esperienza mi ha insegnato a privilegiare il momento e la verità del set. L’idea di una scena non vale nulla al confronto del presente. Voglio rendermi disponibile a quello che vedo, così come voglio che i miei attori siano disponibili verso quello che avviene tra loro. Sono i limiti della preparazione. E per di più, al montaggio, il film diventa un altro.

PERCHÉ HA SCELTO MICHEL SARDOU PER IL REPERTORIO DI PAULA?

È stata un’idea di Victoria Bedos nella sceneggiatura iniziale. Se si passano in rassegna i più grandi cantanti popolari viventi presenti nel l’inconscio collettivo, la risposta si imponeda sola. E per di più, le canzoni di Michel Sardou raccontavano la storia di Paula.

CHE INTENZIONI AVEVA PER LE MUSICHE ORIGINALI?

Sono state composte da Evgueni e Sacha Galperine, con cui avevo già lavorato per SCATTI RUBATI. Mi piace molto il loro universo e adoro lavorare con loro perché creano una musica che ha un certo sfasamento, pur sprigionando l’emozione in modo giusto, senza mai enfatizzare. Quando inseriscono un accordo di violino, risuona in maniera curiosa, pur restando sottile e puro. Al tempo stesso, ogni movimento è di una grande complessità e originalità che sono le loro cifre stilistiche. Non sono mai demagogici. Hanno un universo che è contemporaneamente ricco e umile.

La Famiglia Belier: nuova clip in italiano e due spot tv della commedia di Eric Lartigau

Aggiornamento di Pietro Ferraro

BIM ha reso disponibili nuovi contenuti per la commedia La Famiglia Belier con due spot tv e una nuova clip con una scena tratta dal film.

Il film campione d’incassi in Francia, diretto da Eric Lartigau e interpretato da Louane Emera, Karin Viard, François Damiens ed Eric Elmosnino è in arrivo nei cinema italiani il prossimo 26 marzo.

A seguire trovate gli spot tv, un’intervista al regista Eric Lartigau e se volete è anche disponibile una recensione in anteprima del film.

INTERVISTA CON ERIC LARTIGAU

COME È ARRIVATO A QUESTO PROGETTO?

I produttori Philippe Rousselet ed Eric Jehelmann mi hanno mandato la sceneggiatura. All’epoca ero nella fase iniziale di un progetto che desideravo scrivere… sulla famiglia. Dunque, è evidente che si tratta di un tema che non mi abbandona… o meglio che io non abbandono. Malgrado non mi ritenessi disponibil e, ho immediatamente detto un enorme e incondizionato «sì» a LA FAMIGLIA BÉLIER.

CHE COSA L’HA SPINTA AD ACCETTARE LA REGIA DI QUESTO FILM?

In realtà non è stata una decisione che ho preso a seguito di una riflessione o di una negoziazione. Sono rimasto profondamente toccato dalla storia. A posteriori potrei ragionare sui motivi per cui certi temi mi sono piaciuti e sulle ragioni che mi hanno portato a scegliere di fare questo film piuttosto che l’altro, ma la verità è che la mia scelta è stata del tutto impulsiva. Non c’è dubbio che la famiglia sia un soggetto universale che, peraltro, è stato trattato migliaia di volte nel cinema. Ma è un tema che mi piace e mi interessa, poixhé è il luogo dell’epidermide è il luogo dove nascono tutte le emozioni primarie, le sensazioni animali. Adoro esplorarlo. Le risate e le lacrime, l’ingiustizia provata da qualcuno confrontata con la verità sentita da qualcun altro. In quanto regista, mi piace non essere costretto a scegliere tra tutti questi modi di sentire. Amo la commedia tanto quanto la tragedia e adoro soprattutto mescolare i due estremi, come accade nella vita reale, quando da una situazione drammatica scaturisce una situazione divertente o assurda… Il soggetto e la sceneggiatura originali erano di Victoria Bedos. Dopo aver accettato il progetto, rileggendo la sceneggiatura e di comune accordo con lei e il suo co-sceneggiatore Stanislas Carré de Malberg, ho sentito l’esigenza di fare mia la loro storia… Inizialmente da solo e in seguito insieme a Thomas Bidegain… Ma tutti i temi erano già presenti, avevo giusto bisogno di appropriarmi della storia. A proposito della sua scrittura, Victoria Bedos parla spesso della sua «piccola musica». Mi restava solo da trovare la mia, poiché a quel punto dovevo inventarla in immagini.

CHE COSA L’HA INTERESSATA A TITOLO PERSONALE IN QUESTO RACCONTO?

Innanzitutto il tema della partenza, della separazione vissuta come una lacerazione. È possibile lasciarsi con dolcezza? È possibile amarsi profondamente senza vivere in simbiosi? Come lasciare a ciascuno il suo spazio di libertà? Che ne è del nostro sguardo sull’altro quando cresce ed evolve? E il fatto di amarsi molto non vuol dire necessariamente che ci si ama bene. In una famiglia, che cosa aiuta a costruire, che cosa serve per andare avanti, che cosa ci fa soffocare? Dove posizionare il cursore in queste scelte? Anche il tema della paura, quella che ti impedisce di agire, quella che ti blocca… La fine dell’adolescenza è un momento cardine della vita. Guardare da lontano il mondo degli adulti nel quale si sta per essere catapultati senza rete può generare terrore. Persino il corpo non è ancora completamente formato. È un’età vibrante e vacillante che mi tocca molto. Raccontare i primi passi incerti di questa giovane ragazza il cui orizzonte si spalanca bruscamente mi ha appassionato. Il percorso di Paula, prima che trovi la sua strada e si assuma la responsabilità del destino che le si profila davanti, appartiene a ciascuno di noi. E sarà anche quello dei miei figli e dei miei nipoti. E poi trovare il proprio posto. Divenire se stessi. Bisogna per forza tradire un po’ i propri genitori, uccidere il padre, come si suole dire? Del resto, è bello uccidere un padre quando questi, all’improvviso, si rende conto che quest’atto di violenza di fatto altro non è che una rinascita. In quanto genitori, cerchiamo di accompagnare al meglio queste creature così «fragili».

C’È STATO ANCHE L’«INCONTRO» CON LA LINGUA DEI SEGNI…

Sì, a maggior ragione perché, per me, si tratta di una nuova lingua che coabita con quella del mio paese, la Francia. A tutti noi capita di incontrare dei sordi o degli audiolesi, ma non ci sentiamo legittimati ad avvicinarli. Da bambino, ho sperimentato questa situazione con mia cugina Mireille Deschenaux, che cito perché la comunità è di modeste dimensioni rispetto a quella di noi dotati di grandi orecchie! Già allora notavo la difficoltà che lei aveva nel comunicare con gli altri. Fortunatamente, ha avuto una famiglia molto solidale, che le è stata molto vicina. A quei tempi noi non ci ponevamo la domanda della differenza che esisteva fra noi. Da bambini era più facile, più radicale, soprattutto perché giocavamo. Si è riprodotta la stessa situazione con Alexeï Coïca, il professore sordo che ha insegnato agli attori la LSF (Lingua dei segni francese): quando lavorava con loro integrava molti momenti di gioco. È brillante la scelta che compie di insegnare nel piacere. Il processo di apprendimento è più rapido e il registro del gioco permette anche di aumentare la capacità di memorizzazione.

COME OGNI ADOLESCENTE, PAULA HA VOGLIA DI CONDURRE UNA VITA DIVERSA DA QUELLA DEI SUOI GENITORI E QUESTO SUSCITA TENSIONI E INCOMPRENSIONI…

Non sappiamo se ha davvero voglia di condurre una vita diversa, non sappiamo neppure se si pone questa domanda. Segue un ritmo di vita già molto sostenuto fino al momento della rivelazione della sua voce… e della prospettiva che questo dono le offre. Il suo professore di musica le apre una porta, ma lei da sola, l’avrebbe scoperta e per giunta avrebbe scelto di varcarla? Subisce più che altro il desiderio dei genitori che vogliono che prosegua lungo la strada che loro le hanno tracciato. Questo è un aspetto interessante della storia: è come se la vita scegliesse per lei. Sarà all’altezza del suo «destino»? Sarà capace di cogliere la sua opportunità e di compiere la svolta che le si palesa nelle parole di Thomasson? Amo la vita quando ti scuote, ti sorprende e ti trascina lungo sentieri imprevisti e amo vedere Paula dibattersi e poi lasciarsi andare ed entrare dolcemente in quello che sarà il suo avvenire, molto diverso da quello che era scritto. Un incontro può essere decisivo nell’esistenza di ciascuno di noi. Louane è magnifica nel suo non-scegliere.

Spot tv 15″:

IL FILM SI DIVERTE A CAPOVOLGERE IL CONCETTO DI DIVERSITÀ: PER LA FAMIGLIA BÉLIER, LA NORMALITÀ È ESSERE SORDI…

Quello che mi divertiva in questa storia era spingere gli spettatori a chiedersi dove si possa situare la normalità. Sappiamo bene che è lo sguardo degli altri a determinare quello che è normale e quello che non lo è: abbiamo una grande capacità di imprigionarsi in un castello di idee preconcette e una certa propensione ad avventurarci su strade sbagliate. Lavorando a questo progetto, mi sono reso conto che i sordi non hanno lo stesso concetto del rapporto con gli altri degli udenti: sono estremamente diretti e se una cosa non gli sta bene non si fanno scrupoli girandoci attorno, ma al contratto vanno dritti al punto e, a volte, questo loro cogliere l’essenza può apparire volgare. Coloro che escludono al pari di coloro che sono esclusi hanno bisogno di affermare la loro appartenenza. L’istinto gregario riguarda ciascuno di noi, è un difetto che condividiamo tutti.

PER VIA DEL RUOLO CHE SVOLGE ALL’INTERNO DELLA SUA FAMIGLIA, PAULA È COINVOLTA MOLTO DA VICINO NELL’INTIMITÀ DEI SUOI GENITORI.

Fin da giovanissima è stata proiettata nella realtà della vita. È un tessuto drammaturgico molto interessante perché l’universo dei sordi e degli audiolesi è poco conosciuto, piuttosto chiuso e per sua stessa natura poco incline a mescolarsi a quello degli altri. In questo contesto, è possibile immaginare una serie di situazioni sfalsate e tuttavia iperrealiste. Per esempio, la scena nello studio del ginecologo che è molto divertente ma è anche destabilizzante rispetto ai nostri codici: i genitori sono costretti a passare attraverso Paula per parlare della loro sessualità con il medico. I Bélier non sono impudichi: hanno la percezione della realtà del momento e un modo piuttosto pacchiano di esprimersi. Hanno questa capacità di descrivere la loro sessualità senza tabù. È un dato di fatto.

ABBIAMO LA SENSAZIONE CHE PAULA SIA INCASTRATA IN UN RUOLO A METÀ TRA INFANZIA ED ETÀ ADULTA…

Sì, si comporta da adulta quando deve fare da tramite tra i suoi genitori e la società. E, grazie al cielo, è completamente adolescente nel suo rapporto con i ragazzi, con Gabriel che ammira, con le sue compagne di scuola, con la sua migliore amica Mathilde. Ma, oltre alle responsabilità e agli obblighi nei confronti dei genitori che gravano su di lei, sente anche il peso della diversità e della vergogna e, di conseguenza, ha bisogno di venire a patti e nasconde a molte persone che i suoi genitori non sono come gli altri. È paradossale, ma ho l’impressione che lo faccia perché nel fondo lei non vuole renderli
diversi.

POSSIAMO DIRE CHE LA SCELTA DI PAULA DI DEDICARSI ALLA MUSICA VIENE VISSUTA COME UN TRADIMENTO DA PARTE DELLA SUA FAMIGLIA?

Sì e anche come un’aggressione! Ma bisogna sottolineare l’ironia della vita: Paula avrebbe potuto avere un’inclinazione naturale per la danza, il calcolo o l’ebanisteria e invece la vita le offre il dono della voce. Che frustrazione per lei e per i suoi genitori il non poter condividere questa sua dote o che possa donare ad altri quello che non può dare ai suoi! E’ un’interdizione terribile. Ma non è colpa di nessuno…

IL CONTESTO AGRICOLO ERA IMPORTANTE IN QUESTA STORIA?

I sordi sono persone risolutamente tenaci, dotate di un’autentica determinazione: cercano sempre di cogliere gli aspetti essenziali delle cose. Per questo mi è piaciuta l’idea di collocare la famiglia Bélier nell’asprezza del contesto agricolo e mostrare la sua grande capacità di affrontare ogni situazione. Gli agricoltori operano nella catena alimentare che ci fornisce il nutrimento. Devono compiere scelte determinanti per i loro nuclei famigliari. Mi piaceva questo rapporto con la concretezza.

Spot tv 60″:

La Famiglia Belier: clip e featurette in italiano della commedia di Eric Lartigau

Aggiornamento di Pietro Ferraro

Dopo il grande successo riscosso in patria (oltre 7 milioni di spettatori) arriva nei cinema italiani La Famiglia Belier, commedia francese diretta da Eric Lartigau e interpretata da Louane Emera, Karin Viard, François Damiens ed Eric Elmosnino.

BIM Distribuzione che porterà il film nelle nostre sale il prossimo 26 marzo ha reso disponibili nuovi contenuti in italiano che includono 3 clip e una featurette sottotitolata con interviste al cast.

Nella famiglia Bélier, sono tutti sordi tranne Paula, che ha 16 anni. Nella vita di tutti i giorni, Paula svolge il ruolo indispensabile di interprete dei suoi genitori, in particolare nella gestione della fattoria di famiglia. Un giorno, incoraggiata da professore di musica che ha scoperto che possiede un dono per il canto, decide di prepararsi per partecipare al concorso canoro di Radio France. Una scelta di vita che per lei comporterebbe l’allontanamento dalla sua famiglia e l’inevitabile passaggio verso l’età adulta.

A seguire trovate le altre clip e un’intervista all’attrice Karin Viard che nel film interpreta Gigi Belier, la madre di Paula (Louane Emera).

INTERVISTA CON KARIN VIARD

COME È ARRIVATA A FAR PARTE DEL FILM?

È stato Eric Lartigau a contattarmi perché ci conoscevamo e avevamo entrambi il desiderio di lavorare insieme. Purtroppo quando mi ha proposto il ruolo ero già impegnata con un altro progetto e non volevo lasciarmi tentare leggendo la sceneggiatura. Ma il mio agente ha insistito, dicendomi: «Sei pazza? È un ruolo straordinario!». E così mi ha convinta a leggere il copione che ho subito adorato!

CHE COSA L’HA INTERESSATA INIZIALMENTE?

All’inizio sono rimasta sedotta dalla dimensione del progetto: un grande film popolare con un aspetto romantico. E poi mi è piaciuto molto il tono, perché c’è una buona dose di coraggio e audacia nell’umorismo, nel modo di rivolgersi agli adolescenti, nella maniera in cui viene dipinta questa famiglia di sordi. E ho anche amato molto l’idea di andare alla scoperta di un universo nuovo e di capire il suo funzionamento, i suoi codici. Dunque, la possibilità dell’incontro con la cultura dei sordi ha stuzzicato la mia curiosità e mi ha fatto venire la voglia di immergermi nel progetto.

ERA UNA SFIDA INCREDIBILE INCARNARE UNA DONNA SORDA…

È stato molto difficile! Forse uno dei complimenti più belli che ho ricevuto è stato quello di Alexeï, il nostro insegnante della lingua dei segni, quando mi ha detto «i sordi ti adoreranno». Sentivo una responsabilità enorme nei confronti dei sordi e degli audiolesi ed ero animata da un’autentica volontà di non tradirli. Tutto questo ha creato una grande tensione in me. Non volevo che dicessero che avevo recitato imitandoli e scimmiottandoli, ma che sentissero la mia sincerità.

COME DESCRIVEREBBE IL SUO PERSONAGGIO?

È innanzitutto una madre, ma poiché è sorda, contrariamente alla figlia, Paula le permette di essere in relazione con il mondo. È anche la madre di una adolescente: deve dunque affrontare, come tutte le mamme del mondo, le velleità indipendentistiche di sua figlia. E questo è un passo difficile per lei poiché preferirebbe tenere la figlia accanto a sé, in primo luogo per istinto materno, ma anche perché la ragazza rappresenta per lei un sostegno nella vita quotidiana e sentire che le sta sfuggendole la rende di fatto vulnerabile.

Clip – Il talento di Paula:

LEI INTERPRETA UN’AGRICOLTRICE PIUTTOSTO CIVETTUOLA CHE VIVE IN CAMPAGNA…

Mi piace molto il fatto che nella vita ci capita di incontrare delle persone che non immagineremmo neanche in un film! Il mio personaggio incarna il contrappunto di quanto ci si potrebbe aspettare. Del resto, nella sceneggiatura era descritta come una ex Miss e questo potrebbe spiegare la sua civetteria. Ma in fin dei conti non credo che sia essenziale. Se a priori possiamo pensare che la sua presenza si faccia notare in un contesto rurale, quando la scopriamo nella sua fattoria ci appare al contrario normale e naturale. Chi l’ha detto che un mestiere deve dettare il modo di vestire di chi lo pratica? Eric Lartigau è molto libero: non teme che il mio personaggio stoni nel suo contesto. Anzi, ha scelto espressamente di renderlo variopinto per suscitare comicità ed emozioni. La questione di sapere se è veramente un’agricoltrice non si pone.

L’HA DIVERTITA O INTRIGATA LA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE, IN PARTICOLARE IN MATERIA DI SESSO, CHE HA QUESTA MADRE?

Sì e dipende in parte dalla sessualità piuttosto sbrigliata della famiglia Bélier! Il tono molto libero delle loro conversazioni, che vertano sul sesso o su tutti gli altri temi, deriva anche dalla natura intrinseca della cultura dei non udenti. Ho adorato questo aspetto così diretto nell’espressione dei sordi, che mi assomiglia visto che non sono sempre diplomatica! Con loro, ho avuto la sensazione di essere a casa mia e mi sono sentita molto a mio agio. Nel momento in cui non c’è alcuna malevolenza, si possono dire le cose come vengono e trovo questo modo molto autentico e molto spontaneo. La parola ne risulta liberata. Per esempio, si può dire a qualcuno «hai una faccia spaventosa oggi» senza urtare la sua suscettibilità né dare la sensazione di giudicarlo.

COME CONSIDERA PAULA?

Quando ho visto il film, ho trovato incredibile la capacità di Louane di personificare l’essenza dell’adolescenza: non mette in atto alcuna dinamica seduttiva, non si atteggia con vezzi e moine. Coniuga al tempo stesso una neutralità di espressione con parole molto espressive e colorite e a volte anche molto violente. E l’adolescenza è un po’ anche questo: la volontà di coltivare un giardino segreto, la voglia di avvicinarsi ai genitori, un lato infantile e una propulsione verso l’età adulta… E trovo che il film tratteggi questo quadro in modo molto giusto. Di conseguenza, ci troviamo allo stesso livello di un adolescente. Paula non è un’oca giuliva: incarna la sincerità e l’asprezza.

clip – Il primo appuntamento:

CHE COSA CI PUÒ DIRE DELLA COPPIA CHE FORMA CON IL PERSONAGGIO INTERPRETATO DA FRANÇOIS DAMIENS?

Quello che mi è piaciuto di questa coppia è il suo essere simbiotica, l’incapacità dei due coniugi di funzionare in assenza dell’altro. Quest’uomo e questa donna si adorano, hanno una sessualità appagante e un enorme scambio di tenerezza e di solidarietà. Li sentiamo molto uniti, malgrado lui sia più chiuso, meno espansivo e tuttavia è lui che «autorizza» la figlia ad andarsene di casa. Mi piace molto il meccanismo di funzionamento di questa coppia, tutt’altro che convenzionale.

COME SI È SVOLTA LA SUA COLLABORAZIONE CON FRANÇOIS DAMIENS?

Con François è andato tutto bene, ma tra noi c’è stato un «terzo incomodo» che ha un po’ complicato la situazione, ovvero la lingua dei segni. È diverso recitare una scena nella lingua dei segni rispetto a quando si recitano battute di dialogo! Questo fatto ha aggiunto tra noi un «terzo personaggio» che ci ha portato ad affrontare le riprese con una certa apprensione e un’intensità tutta particolare. È tutt’altro che facile interpretare un ruolo comico con l’aggravante della tensione della lingua dei segni: non sei disinvolto come di consueto e devi restare sempre estremamente concentrato. È sufficiente un minimo scarto e il segno può risultare incomprensibile o modificare il senso. È stata un’impresa piuttosto ardua.

HA AVUTO UN INSEGNANTE MOLDAVO CHE L’HA AIUTATA AD APPRENDERE LA LINGUA DEI SEGNI…

François ha lavorato con Fabienne, un’insegnante belga che gli ha insegnato la lingua dei segni francese. Io dal canto mio ho lavorato con Alexeï, un professore di origine moldava. Devo dire che sono rimasta piuttosto colpita da Alexeï e dalla sua straordinaria capacità di adattamento. La lingua dei segni è diversa da un paese all’altro, non ha la stessa grammatica e neppure lo stesso modo di enunciare i tempi e lui, nel giro di cinque anni, ha imparato la lingua dei segni francese ed è diventato professore di quella medesima lingua. L’incredibile curiosità che lui prova per il mondo degli udenti l’ha trasmessa a me per l’universo dei sordi.

IL PROCESSO DI APPRENDIMENTO DEVE ESSERE STATO DIFFICILE…

Sì, difficile, ma anche fantastico! Imparare una nuova lingua in sei mesi è un’esperienza straordinaria. Quando non si dispone della voce per farsi capire ed esprimersi, si utilizza la propria espressività e il proprio corpo. Nel loro universo espressivo, i sordi e gli audiolesi sviluppano determinate capacità che gli udenti non possiedono, come per esempio una grande mobilità delle mani e dei polsi. Dunque ho dovuto imparare dei gesti molto rapidi e molto precisi per concatenare i segni. È stato difficile, ma incredibilmente eccitante. Da allora ho perso molto di quello che avevo imparato.

Clip – Paula e Gabriel:

CHE COSA PORTA LA LINGUA DEI SEGNI NELLA CARATTERIZZAZIONE DEI PERSONAGGI?

Quello che trovo divertente della lingua dei segni è il fatto che ci rivela qualcosa di noi che ci sfugge. Il personaggio interpretato da François presenta un lato un po’ zotico, impacciato, che è molto toccante. Mentre il mio, al contrario, è molto scattante, ha un temperamento quasi isterico, nervoso e abbastanza esaltato e penso che in fondo questo corrisponda a una parte della loro intimità di coppia. Privi di voce e di parola, scopriamo altre cose di noi stessi, non importa se belle o meno. Nel caso di François, è una timidezza profonda con un sentimento di disagio che affiora. Questa sincerità così spiccata e totale, resa possibile dalla lingua dei segni, permette a questa coppia di funzionare a meraviglia.

MI PARLI DI COME HA DIRETTO GLI ATTORI ERIC LARTIGAU.

Quello che adoro in lui è che non ha paura di avventurarsi più lontano. Mentre spesso i registi sono restii alle iniziative di noi attori, lui mantiene un’apertura nei confronti delle proposte che possiamo fargli, a condizione che lo facciano ridere. Non opera alcuna censura. È evidente che ha fiducia in noi e che accoglie i nostri suggerimenti quando sono pertinenti. Nella troupe considera tutti allo stesso livello: non esiste una gerarchia tra i tecnici, né tra gli attori. Fa partecipare tutti a un’opera collettiva di cui lui è il direttore d’orchestra. Per riuscirci, bisogna aver fiducia nel suo soggetto e nei suoi collaboratori. Malgrado la complessità di un set che mescola due mondi e due lingue differenti, è rimasto allegro, rilassato e gradevole durante tutte le riprese.

È UN’AUTENTICA SFIDA REALIZZARE UN FILM NELLA LINGUA DEI SEGNI…

È vero, ma il film funziona benissimo. Ed è merito di Eric Lartigau, che ha saputo trascinarci in questo universo sconosciuto e farcelo scoprire e apprezzare. Il film deve molto alla qualità dello sguardo di Eric Lartigau : senza affettazione, senza smancerie, estremamente rispettoso dell’altro nella sua diversità.

La Famiglia Belier: al cinema con la Miglior promessa femminile dei César 2015

Uno sguardo a La Famiglia Belier e la piccola Louane Emera, miglior promessa femminile ai Cesar Awards 2015, aspettando la commedia francese al cinema

Il talento canoro non è un fattore ereditario e spesso scopre di possederlo chi non penserebbe mai di averlo. Ne La Famiglia Belier portata sul grande schermo da Eric Lartigau, è la giovane Paula, interpretata da Louane Emera, appena premiata per la sua performance con con un Best Newcomer (Female), alla 40° edizione dei César Awards.

Un premio assegnato da quelli che potete tranquillamente considerare gli Oscar Francesi, dopo aver riscosso un grandissimo successo di pubblico, emozionando più di 7 milioni di spettatori in Francia.

La ragione arriva dalla peculiarità della famiglia Bélier, dove tutti i componenti sono sordomuti, ad eccezione della quindicenne Paula. L’interprete indispensabile per i genitori e il fratello minore con il resto del mondo, soprattutto per il buon funzionamento della loro fattoria che produce e vende i prodotti al mercato.

La Famiglia Belier

Questo almeno sino a quando il professore di musica scoprendo il suo dono per il canto la incoraggia a coltivarlo. Per Paula però, prepararsi a partecipare al concorso canoro di Radio France significa allontanarsi dalla famiglia, con tutto quello che comporterebbe.

La commedia prodotta da Jerico, Mars Films e France 2 Cinéma, arriva nei nostri cinema dal prossimo 26 marzo, distribuita da BIM, ma nel frattempo vi lascio con qualche approfondimento che comprende l’intervista al regista e alla Miglior promessa femminile dei Cesar Awards 2015.

La Famiglia Belier

Intervista con Louane Emera

COME È ARRIVATA A FAR PARTE DI QUESTO FILM?
Prima di incontrare Eric Lartigau, non avrei mai immaginato di fare l’attrice. Io vengo dalla musica, sono prima di tutto cantante e non avevo davvero mai pensato all’eventualità di recitare nel cinema.
Eric mi ha individuata guardando la trasmissione «The Voice», alla quale ho partecipato. Ha contattato il mio agente e ci siamo incontrati. In seguito le cose sono avvenute molto semplicemente, ho passato un provino da sola e poi uno con degli altri attori e per entrambi avevo preparato alcune scene. Ero molto stressata perché per me era una vera pazzia presentarmi a un’audizione cinematografica a soli 16 anni! Non capita tutti i giorni a una ragazzina del nord della Francia di avere un’opportunità del genere! Ma con Eric si è creata subito una grande sintonia e in breve tempo mi sono lasciata prendere dal gioco. Un po’ più tardi ho ricevuto la sceneggiatura del film e l’ho immediatamente trovato eccezionale.

CHE COSA LE È PIACIUTO DI QUESTA ESPERIENZA?
Innanzitutto è stata un’occasione straordinaria. Ma è stata anche una sfida enorme perché non avevo mai frequentato un corso di recitazione, avevo solo studiato teatro un anno a scuola senza neppure interpretare lo spettacolo di fine anno! Ho dovuto fare un lavoro molto intenso, ma è stato anche bello imparare una cosa nuova. L’ambiente del set è molto stimolante. E poi ho adorato imparare la lingua dei segni. Sono portata per natura per le materie letterarie e quello che mi piace di più al liceo sono le lingue straniere, quindi non c’è da stupirsi che mi sia piaciuto tanto! Ma nonostante tutto, imparare la lingua dei segni è un processo molto diverso. È una lingua poco praticata poiché viene utilizzata solo dai sordi e dagli audiolesi, ma è una lingua magnifica in grado di trasmettere molte emozioni. Mi ha permesso di entrare in contatto con persone straordinarie: mi riferisco in particolare al mio professore di LSF, Alexeï, e a Jennifer, la traduttrice. Mi hanno insegnato una quantità enorme di cose.

CHE COSA L’HA AFFASCINATA NELLA SCENEGGIATURA DELLA FAMIGLIA BÉLIER E NEL PERSONAGGIO DI PAULA?
La storia della famiglia Bélier è una storia eccezionale.
È una famiglia molto unita e amorevole, che lavora sodo e che possiede valori semplici. I componenti di questa famiglia hanno anche un gran bisogno gli uni degli altri, ma Paula svolge un ruolo particolare nei confronti di tutti, quello di traduttrice e di collegamento con il mondo esterno poiché è l’unica udente della famiglia.
Io mi sono resa conto che il personaggio di Paula mi assomiglia molto per certi aspetti. È una ragazza seria, per la quale la famiglia conta enormemente e che, come la maggior parte degli adolescenti, ha un sogno. Ha un lato ribelle, come tutti i teenager, e come me del resto! Ma il suo è più delicato. La sua scelta viene vissuta dai suoi cari come un tradimento, come un abbandono. Il solo fatto di essere un’udente in una famiglia di sordi costituisce una differenza molto forte, è già di per sé un piccolo tradimento. I suoi genitori e suo fratello hanno dovuto superarlo, ma fanno fatica ad accettare che lei desideri e possa vivere la sua vita, una vita diversa dalla loro.
Paula è più matura di me perché deve gestire delle problematiche da adulta, ma è anche una ragazza che lotta per realizzare i suoi sogni, che è molto vicina alla sua famiglia, che è sempre di corsa e anch’io sono un po’ così.
È molto tenace e determinata a portare a termine i suoi progetti per ottenere dei risultati nella vita, ma al tempo stesso ha un po’ paura di quello che le riserva il futuro. Non è che non abbia fiducia in se stessa, è solo che non è consapevole di possedere una vera dote per il canto. E poi, si sente lacerata perché ritiene di avere la responsabilità della sua famiglia e non vuole abbandonarla, pur desiderando nel profondo vivere fino in fondo il sogno di diventare cantante. Se Paula Bélier esistesse, mi piacerebbe che fosse la mia migliore amica!

LE CANZONI DI MICHEL SARDOU SONO MOLTO PRESENTI NEL FILM. COME SI FA A FARE PROPRIO UN REPERTORIO DEL GENERE?
Conoscevo già le canzoni di Michel Sardou. Le avevo sentite a casa mia. È stato mio padre ad iniziarmi alla musica, facendomi ascoltare questi grandi artisti del varietà. È stato buffo dover studiare e interpretare i suoi brani per questa occasione. A maggior ragione perché è parte integrante del personaggio del professor Thomasson, un personaggio che trovo molto toccante.

KARIN VIARD, FRANÇOIS DAMIENS E LUCA GELBERG INTERPRETANO GLI ALTRI COMPONENTI DELLA FAMIGLIA BÉLIER. COME È STATO LAVORARE CON LORO?
Karin e François sono stati fantastici con me, mi hanno dato un sacco di consigli. Interpretare un personaggio è stato un esercizio difficile per me, perché non lo avevo mai fatto prima. Ho avuto parecchi professori che mi hanno aiutata, ma quando mi ritrovavo sul set senza di loro, sono stati Karin e François a spalleggiarmi.
Con Luca, che interpreta il fratello di Paula, ci siamo trovati subito in sintonia: durante le audizioni abbiamo provato tutti e due insieme ed è stato fantastico! E poi, siamo stati molto vicini durante tutte le riprese. Siamo diventati davvero come fratello e sorella! Mi ha insegnato moltissime cose e ci siamo divertiti come matti! Passavamo parecchio tempo insieme la sera in albergo, dopo che lui finiva di fare i compiti.

CI PARLI DI COME DIRIGE GLI ATTORI ERIC LARTIGAU E DEL LAVORO CHE LEI HA FATTO SUL SUO PERSONAGGIO.
Ho scoperto la direzione degli attori su un set cinematografico insieme ad Eric… È stato molto gentile e molto comprensivo, pur restando sempre concentrato. Ci lasciava abbastanza liberi, ma sapevo in che direzione doveva andare ciascun personaggio. Per esempio, ho potuto fare delle proposte per modificare alcuni dialoghi. Ascoltavo moltissimo Eric e cercavo di fare del mio meglio seguendo i consigli e le istruzioni che lui mi dava. Mi sforzavo di capire e di rendere con precisione le indicazioni che lui mi dava per calarmi nel personaggio di Paula. Anche Dany, la mia coach, mi ha guidato molto e mi faceva lavorare la sera, facendo praticare delle attività sportive e facendomi lavorare sulla respirazione. Era meraviglioso, molto divertente, e mi ha aiutata tantissimo.

IL RUOLO DI PAULA BÉLIER ERA PIUTTOSTO COMPLESSO DA ASSIMILARE IN TERMINI DI RECITAZIONE.
È la sola udente della famiglia, il che significa che parla e segna al tempo stesso, ma in più canta anche! È stato piuttosto complicato gestire i tre livelli di espressione, imparare la lingua dei segni, parlare e contemporaneamente segnare, eccetera. Ho fatto del mio meglio, con l’aiuto di Alexeï e di Jennifer che sono stati costantemente presenti durante le riprese. Ma alcune scene sono state davvero difficili!

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Intervista con Eric Lartigau

COME È ARRIVATO A QUESTO PROGETTO?
I produttori Philippe Rousselet ed Eric Jehelmann mi hanno mandato la sceneggiatura. All’epoca ero nella fase iniziale di un progetto che desideravo scrivere… sulla famiglia. Dunque, è evidente che si tratta di un tema che non mi abbandona… o meglio che io non abbandono. Malgrado non mi ritenessi disponibile, ho immediatamente detto un enorme e incondizionato «sì» a LA FAMIGLIA BÉLIER.

CHE COSA L’HA SPINTA AD ACCETTARE LA REGIA DI QUESTO FILM?
In realtà non è stata una decisione che ho preso a seguito di una riflessione o di una negoziazione. Sono rimasto profondamente toccato dalla storia. A posteriori potrei ragionare sui motivi per cui certi temi mi sono piaciuti e sulle ragioni che mi hanno portato a scegliere di fare questo film piuttosto che l’altro, ma la verità è che la mia scelta è stata del tutto impulsiva. Non c’è dubbio che la famiglia sia un soggetto universale che, peraltro, è stato trattato migliaia di volte nel cinema. Ma è un tema che mi piace e mi interessa, poiché è il luogo dell’epidermide, è il luogo dove nascono tutte le emozioni primarie, le sensazioni animali. Adoro esplorarlo. Le risate e le lacrime, l’ingiustizia provata da qualcuno confrontata con la verità sentita da qualcun altro. In quanto regista, mi piace non essere costretto a scegliere tra tutti questi modi di sentire. Amo la commedia tanto quanto la tragedia e adoro soprattutto mescolare i due estremi, come accade nella vita reale, quando da una situazione drammatica scaturisce una situazione divertente o assurda…
Il soggetto e la sceneggiatura originali erano di Victoria Bedos. Dopo aver accettato il progetto, rileggendo la sceneggiatura e di comune accordo con lei e con il suo co-sceneggiatore Stanislas Carré de Malberg, ho sentito l’esigenza di fare mia la loro storia… Inizialmente da solo e in seguito insieme a Thomas Bidegain… Ma tutti i temi erano già presenti, avevo giusto bisogno di appropriarmi della storia. A proposito della sua scrittura, Victoria Bedos parla spesso della sua «piccola musica». Mi restava solo da trovare la mia, poiché a quel punto dovevo inventarla in immagini.

CHE COSA L’HA INTERESSATA A TITOLO PERSONALE IN QUESTO RACCONTO?
Innanzitutto il tema della partenza, della separazione vissuta come una lacerazione. È possibile lasciarsi con dolcezza? È possibile amarsi profondamente senza vivere in simbiosi? Come lasciare a ciascuno il suo spazio di libertà? Che ne è del nostro sguardo sull’altro quando cresce ed evolve? E il fatto di amarsi molto non vuol dire necessariamente che ci si ama bene. In una famiglia, che cosa aiuta a costruire, che cosa serve per andare avanti, che cosa ci fa soffocare? Dove posizionare il cursore in queste scelte?
Anche il tema della paura, quella che ti impedisce di agire, quella che ti blocca… La fine dell’adolescenza è un momento cardine della vita. Guardare da lontano il mondo degli adulti nel quale si sta per essere catapultati senza rete può generare terrore. Persino il corpo non è ancora completamente formato. È un’età vibrante e vacillante che mi tocca molto. Raccontare i primi passi incerti di questa giovane ragazza il cui orizzonte si spalanca bruscamente mi ha appassionato. Il percorso di Paula, prima che trovi la sua strada e si assuma la responsabilità del destino che le si profila davanti, appartiene a ciascuno di noi. E sarà anche quello dei miei figli e dei miei nipoti.
E poi trovare il proprio posto. Divenire se stessi. Bisogna per forza tradire un po’ i propri genitori, uccidere il padre, come si suole dire? Del resto, è bello uccidere un padre quando questi, all’improvviso, si rende conto che quest’atto di violenza di fatto altro non è che una rinascita. In quanto genitori, cerchiamo di accompagnare al meglio queste creature così «fragili».

C’È STATO ANCHE L’«INCONTRO» CON LA LINGUA DEI SEGNI…
Sì, a maggior ragione perché, per me, si tratta di una nuova lingua che coabita con quella del mio paese, la Francia. A tutti noi capita di incontrare dei sordi o degli audiolesi, ma non ci sentiamo legittimati ad avvicinarli. Da bambino, ho sperimentato questa situazione con mia cugina Mireille Deschenaux, che cito perché la comunità è di modeste dimensioni rispetto a quella di noi dotati di grandi orecchie! Già allora notavo la difficoltà che lei aveva nel comunicare con gli altri. Fortunatamente, ha avuto una famiglia molto solidale, che le è stata molto vicina. A quei tempi noi non ci ponevamo la domanda della differenza che esisteva fra noi. Da bambini era più facile, più radicale, soprattutto perché giocavamo. Si è riprodotta la stessa situazione con Alexeï Coïca, il professore sordo che ha insegnato agli attori la LSF (Lingua dei segni francese): quando lavorava con loro integrava molti momenti di gioco. È brillante la scelta che compie di insegnare nel piacere. Il processo di apprendimento è più rapido e il registro del gioco permette anche di aumentare la capacità di memorizzazione.

COME OGNI ADOLESCENTE, PAULA HA VOGLIA DI CONDURRE UNA VITA DIVERSA DA QUELLA DEI SUOI GENITORI E QUESTO SUSCITA TENSIONI E INCOMPRENSIONI…
Non sappiamo se ha davvero voglia di condurre una vita diversa, non sappiamo neppure se si pone questa domanda. Segue un ritmo di vita già molto sostenuto fino al momento della rivelazione della sua voce… e della prospettiva che questo dono le offre. Il suo professore di musica le apre una porta, ma lei da sola, l’avrebbe scoperta e per giunta avrebbe scelto di varcarla? Subisce più che altro il desiderio dei genitori che vogliono che prosegua lungo la strada che loro le hanno tracciato. Questo è un aspetto interessante della storia: è come se la vita scegliesse per lei. Sarà all’altezza del suo «destino»? Sarà capace di cogliere la sua opportunità e di compiere la svolta che le si palesa nelle parole di Thomasson? Amo la vita quando ti scuote, ti sorprende e ti trascina lungo sentieri imprevisti e amo vedere Paula dibattersi e poi lasciarsi andare ed entrare dolcemente in quello che sarà il suo avvenire, molto diverso da quello che era scritto. Un incontro può essere decisivo nell’esistenza di ciascuno di noi. Louane è magnifica nel suo non-scegliere.

IL FILM SI DIVERTE A CAPOVOLGERE IL CONCETTO DI DIVERSITÀ: PER LA FAMIGLIA BÉLIER, LA NORMALITÀ È ESSERE SORDI…
Quello che mi divertiva in questa storia era spingere gli spettatori a chiedersi dove si possa situare la normalità. Sappiamo bene che è lo sguardo degli altri a determinare quello che è normale e quello che non lo è: abbiamo una grande capacità di imprigionarsi in un castello di idee preconcette e una certa propensione ad avventurarci su strade sbagliate. Lavorando a questo progetto, mi sono reso conto che i sordi non hanno lo stesso concetto del rapporto con gli altri degli udenti: sono estremamente diretti e se una cosa non gli sta bene non si fanno scrupoli girandoci attorno, ma al contratto vanno dritti al punto e, a volte, questo loro cogliere l’essenza può apparire volgare. Coloro che escludono al pari di coloro che sono esclusi hanno bisogno di affermare la loro appartenenza. L’istinto gregario riguarda ciascuno di noi, è un difetto che condividiamo tutti.

PER VIA DEL RUOLO CHE SVOLGE ALL’INTERNO DELLA SUA FAMIGLIA, PAULA È COINVOLTA MOLTO DA VICINO NELL’INTIMITÀ DEI SUOI GENITORI.
Fin da giovanissima è stata proiettata nella realtà della vita. È un tessuto drammaturgico molto interessante perché l’universo dei sordi e degli audiolesi è poco conosciuto, piuttosto chiuso e per sua stessa natura poco incline a mescolarsi a quello degli altri. In questo contesto, è possibile immaginare una serie di situazioni sfalsate e tuttavia iperrealiste. Per esempio, la scena nello studio del ginecologo che è molto divertente ma è anche destabilizzante rispetto ai nostri codici: i genitori sono costretti a passare attraverso Paula per parlare della loro sessualità con il medico. I Bélier non sono impudichi: hanno la percezione della realtà del momento e un modo piuttosto pacchiano di esprimersi. Hanno questa capacità di descrivere la loro sessualità senza tabù. È un dato di fatto.

ABBIAMO LA SENSAZIONE CHE PAULA SIA INCASTRATA IN UN RUOLO A METÀ TRA INFANZIA ED ETÀ ADULTA…
Sì, si comporta da adulta quando deve fare da tramite tra i suoi genitori e la società. E, grazie al cielo, è completamente adolescente nel suo rapporto con i ragazzi, con Gabriel che ammira, con le sue compagne di scuola, con la sua migliore amica Mathilde. Ma, oltre alle responsabilità e agli obblighi nei confronti dei genitori che gravano su di lei, sente anche il peso della diversità e della vergogna e, di conseguenza, ha bisogno di venire a patti e nasconde a molte persone che i suoi genitori non sono come gli altri. È paradossale, ma ho l’impressione che lo faccia perché nel fondo lei non vuole renderli diversi.

POSSIAMO DIRE CHE LA SCELTA DI PAULA DI DEDICARSI ALLA MUSICA VIENE VISSUTA COME UN TRADIMENTO DA PARTE DELLA SUA FAMIGLIA?
Sì e anche come un’aggressione! Ma bisogna sottolineare l’ironia della vita: Paula avrebbe potuto avere un’inclinazione naturale per la danza, il calcolo o l’ebanisteria e invece la vita le offre il dono della voce. Che frustrazione per lei e per i suoi genitori il non poter condividere questa sua dote o che possa donare ad altri quello che non può dare ai suoi! È un’interdizione terribile. Ma non è colpa di nessuno…

IL CONTESTO AGRICOLO ERA IMPORTANTE IN QUESTA STORIA?
I sordi sono persone risolutamente tenaci, dotate di un’autentica determinazione: cercano sempre di cogliere gli aspetti essenziali delle cose. Per questo mi è piaciuta l’idea di collocare la famiglia Bélier nell’asprezza del contesto agricolo e mostrare la sua grande capacità di affrontare ogni situazione. Gli agricoltori operano nella catena alimentare che ci fornisce il nutrimento. Devono compiere scelte determinanti per i loro nuclei famigliari. Mi piaceva questo rapporto con la concretezza.

COME È ARRIVATO A SCEGLIERE LOUANE PER INTERPRETARE PAULA?
Agathe Hassenforder, la direttrice del casting, mi ha fatto incontrare tra 60 e 80 ragazze. Cercavamo un’attrice adolescente che sapesse cantare. Sfortunatamente quella che mi piaceva di più aveva la voce peggiore! All’inizio ho pensato che avremmo potuto doppiarla, ma poi mi sono reso conto che sarebbe stato improponibile. Avevo bisogno di cogliere l’emozione della sua voce dal vivo sul set, volevo filmare il corpo mentre canta. L’emozione passa anche attraverso l’epidermide: una canzone è qualcosa che si incarna.
Un mio amico mi ha consigliato di seguire la trasmissione «The Voice» per guardare due giovani cantanti. Ed è stato così che ho scoperto Louane e mi sono sciolto! La cosa che mi è piaciuta in lei è stata la sua fragilità contenuta, come se fosse sul punto di crollare alla fine della prima strofa. Con lei hai sempre la sensazione che tutto si regga su un filo sottile, eppure lei c’è, è presente, è al tempo stesso ancorata e solida. E va fino in fondo, diventa una frase infinita. È Louane. Adoro tanto la sua grazia quanto la sua goffaggine che è quella tipica dell’adolescenza. È molto matura e possiede il senso dell’istante. Non è in grado di calcolare perché non è consapevole di quello che sprigiona. Spero che conserverà questa freschezza il più a lungo possibile. E ha l’eleganza di non cercare mai la macchina da presa. Potevo trovarmi a destra, dietro o a sinistra: lei non si preoccupava mai dello strumento. Non appena l’ho vista provare e l’ho scoperta nel visore della piccola videocamera, mi sono detto che era unica. Ha rivolto uno sguardo particolare nei confronti di Chloé, l’assistente del casting che le dava la battuta e quello sguardo è stato determinante: era Paula. È curioso come una scelta dipenda da poche cose.

E GLI ATTORI CHE INTERPRETANO I RUOLI DEGLI ADULTI?
Ci sono attori sordi straordinari che avrebbero potuto incarnare i genitori di Paula, ma era da molto tempo che avevo un grande desiderio di lavorare con Karin Viard e François Damiens e li ho visti nei panni dei personaggi fin dalla prima lettura della sceneggiatura. L’idea non era di fare un documentario sui sordi. E la tipicità di un attore risiede nella sua capacità di fondersi in un personaggio, di creare insieme a lui un carattere, una singolarità, un mestiere, un atteggiamento. L’arte della composizione del personaggio è intrinseca nel mestiere stesso di attore.
Ho pensato subito a Karin Viard perché volevo fare di Gigi un personaggio esuberante, pieno di fantasia, ma anche autoritario e invadente. Volevo che fosse straripante e sapevo che Karin possedeva la capacità di renderla tale: è in grado di mostrare ogni sorta di eccesso, una dote che io trovo molto seducente. E poi avevo bisogno di una donna che fosse credibile nei panni di una che vende formaggi, che non fosse solamente sofisticata e che avesse conservato un pizzico di provincia. In ogni caso, è quello che io vedo in lei e che, a mio giudizio, le permette di incarnare anche personaggi popolari. Karin possiede questo ventaglio interpretativo. È la sua forza.
François Damiens ha la folle e geniale capacità di essere e non essere. È un uomo che strabocca energia e vitalità. Vive sempre nel presente, a volte con agio disinvolto, altre volte del tutto a disagio, ma riuscendo a sparigliare le carte. Perché è in primo luogo un individuo di una generosità rara. È tutto d’un pezzo. È pieno di vita.
Éric Elmosnino è intenso, dedito alla sua arte. È un ragazzo di una potenza straordinaria che ama scoprire e quindi ascoltare, disfare e rifare al contrario con altrettanto convincimento. Non ha preconcetti, è libero. È magico.
Sono tutti e tre degli attori molto professionali e funzionano in modo estremamente diverso uno dall’altro: ciascuno ha la sua tonalità e rimanda un’energia alquanto diversa, ma sentivo che insieme avrebbero composto un quadro vivo, di grande rilievo, che si sarebbe mosso con affetto attorno a Paula.

IL FRATELLO DI PAULA È INCARNATO DA UN GIOVANE SORDO.
Nella vita reale, Luca è un sordo profondo. Non aveva alcuna esperienza con la macchina da presa. Ha vissuto quest’avventura con grande vitalità e curiosità di scoperta. È un ragazzo gioioso e brillante. Sta sempre al gioco e sullo schermo ha una naturalezza che è molto affascinante. Questa nuova esperienza di vita ha buttato all’aria i suoi codici e i suoi punti di riferimento di bambino ne sono usciti scombussolati. C’è stato un Luca prima delle riprese e un Luca dopo le riprese. È stato incantevole vederlo crescere con noi. Ha un bello sguardo.

I TRE ATTORI UDENTI HANNO PROVATO CON UN COACH SPECIALIZZATO PER ACCOSTARSI ALLA LINGUA DEI SEGNI?
Per un attore, incarnare un audioleso è una sfida appassionante, a maggior ragione considerando che Karin e François sono due attori estremamente chiacchieroni! E in questo caso non hanno avuto una sola battuta di dialogo da pronunciare. Tutta la recitazione doveva essere improntata sui loro gesti e i loro corpi. Un lavoro straordinario.
Abbiamo avuto la fortuna di incontrare le persone giuste: Alexeï Coïca e Jennifer Tederri. Il primo è sordo e professore di LSF, la seconda è un’interprete. Due energie in carne ed ossa a servizio del film. Hanno svolto un ruolo determinante per la strutturazione dell’intera storia. Alexeï è di origine moldava e vive in Francia solo da cinque anni: è incredibilmente determinato e tenace considerando che ha dovuto imparare il francese e la lingua dei segni che si pratica in Francia, visto che ciascun paese ha la sua lingua dei segni. È stato lui a insegnare a Karin e Louane con una pazienza, un’energia e una gioia contagiose. Per quanto riguarda François, in Belgio ha avuto una professoressa sorda, Fabienne Leunis, poiché i sordi sono gli unici a poter insegnare la lingua dei segni a degli udenti. Le lezioni si sono protratte per quattro o cinque mesi, al ritmo intensivo di quattro ore al giorno. Gli attori sono stati al gioco. Del resto, non avevo lasciato loro altra scelta: dovevano imparare a memoria ogni sequenza, senza poter contare sul fatto che avrei potuto artificiosamente cancellare con una piroetta al montaggio eventuali segni sbagliati. E infatti, una volta sul set, il fatto che conoscessero a menadito i dialoghi ha reso loro la vita più facile. Erano pronti a recitare e a farsi dirigere.

È UN’ESPERIENZA INEDITA PER DEGLI ATTORI E ANCOR PIÙ PER UNA GIOVANE ATTRICE ESORDIENTE COME LOUANE…
La lingua dei segni è ultra rapida, molto complessa e di una grande ricchezza. Il volto deve essere in accordo con il segno che si intende esprimere: a seconda dell’espressione facciale, il segno viene compreso in modo diverso. Ma poiché ogni persona è unica, ciascuno ha una propria gestualità che gli si confà. È un’avventura per un attore a cui vengono forniti strumenti diversi da quelli che ha a disposizione normalmente e attraverso i quali il corpo deve sostituire la voce. Per Louane, si è trattato di un esercizio particolarmente complesso poiché il suo personaggio deve tradurre verbalmente quello che dicono i suoi genitori e al tempo stesso usare i segni, E parlare e «segnare» simultaneamente è molto complicato poiché la sintassi delle due lingue è molto diversa. Quindi Louane ha accettato di fare una scommessa straordinaria.

HA AVUTO LA SENSAZIONE DI DIRIGERE GLI ATTORI IN MODO DIVERSO RISPETTO AI SUOI FILM PRECEDENTI?
Curiosamente non c’è una reale differenza nella direzione degli attori rispetto agli interpreti che devono recitare un testo parlato. L’espressione è di per sé un linguaggio. Per lo stesso motivo per cui un campo lungo di paesaggio, senza dialoghi, «parla» ugualmente allo spettatore. «Segnando» gli attori si esprimono in una maniera diversa ma trasmettono comunque le loro riflessioni al mondo esterno. È quello che amo nei coniugi Bélier: il loro handicap non è un impedimento. Il padre vuole presentarsi alle elezioni perché non è d’accordo con il sindaco in carica. Chiunque direbbe che è un inetto e si fermerebbe con questa affermazione. Rodolphe no: prende posizione, decide di candidarsi e si mette in moto. Con grande disperazione di Paula che si vede aggiungere un ulteriore compito.
Per quanto riguarda l’identità e la personalità di ciascun personaggio, mi sono fatto un’idea piuttosto precisa di ognuno degli attori. La madre è una donna un po’ invadente, molto presente, ma in grado di generare un’energia fisica interessante. Al suo fianco il padre, che sta più in disparte ed più burbero: a volte mette il broncio e non lo nasconde. Il loro figlio Quentin, al centro di questa famiglia, incarna il ragazzino che sta scoprendo se stesso. Con la troupe, vivevamo le scene in modo naturale: il principio era lo stesso di qualsiasi altro film. Alla fine di una ripresa, sapevo intuitivamente in quale direzione dovevamo andare. Invece, esigevo una grande precisione sugli spostamenti per rispettare quella «musica» che si esprime attraverso la lingua dei segni. Nello spazio, il segno costituisce un vantaggio: impone una sorta di coreografia, è visivo e dunque di fatto ideale per l’immagine. La differenza rispetto a un set tradizionale stava nel fatto che alla fine di ogni ripresa avevo bisogno di avere l’avvallo di Alexeï e di Jennifer che dovevano confermarmi la giustezza dei segni. Durante il montaggio, insieme a Jennifer Augé, ho molto seguito questo ritmo imposto. Avevo assimilato la lingua dei segni solo da pochi mesi, ma tuttavia era ormai parte integrante della narrazione. E ha trovato la sua collocazione con grande naturalezza.

QUALI SONO STATE LE SUE PRIORITÀ PER QUANTO RIGUARDA LA REGIA?
Detesto fare uno storyboard. Al contrario, preparo la scansione delle scene la sera per l’indomani. All’inizio non voglio costringermi a entrare in uno schema preciso in cui tutto è stato fissato per iscritto. Certo, durante la scrittura, mi annoto delle idee di inquadratura sul mio copione. Preferisco lavorare sugli spostamenti e suoi movimenti di macchina scrivendomi degli appunti e aspettare di fatto di scoprire le scene sul set. Poi, una volta che mi sono immerso nei luoghi, idealmente almeno una settimana prima che arrivi il reparto logistica del set, lavoro con l’ambiente spoglio, senza cavi, proiettori e macchine da presa che riempiono troppo in fretta lo spazio che io e lo scenografo ci siamo creati. È stimolante lavorare su una scena con una persona come Olivier Radot. Tra noi c’è uno scambio di idee molto vivace.
La fotografia e l’inquadratura sono sempre stati importanti per me. In passato mi sono dedicato a lungo alla fotografia e per un certo periodo ho lavorato circondato da quadri, poiché ho fatto l’assistente una casa d’aste. L’arte affina lo sguardo.
Anche se tutto è perfettamente scritto e ho il film bene in mente, l’esperienza mi ha insegnato a privilegiare il momento e la verità del set. L’idea di una scena non vale nulla al confronto del presente. Voglio rendermi disponibile a quello che vedo, così come voglio che i miei attori siano disponibili verso quello che avviene tra loro. Sono i limiti della preparazione.
E per di più, al montaggio, il film diventa un altro.

PERCHÉ HA SCELTO MICHEL SARDOU PER IL REPERTORIO DI PAULA?
È stata un’idea di Victoria Bedos nella sceneggiatura iniziale. Se si passano in rassegna i più grandi cantanti popolari viventi presenti nell’inconscio collettivo, la risposta si impone da sola. E per di più, le canzoni di Michel Sardou raccontavano la storia di Paula.

CHE INTENZIONI AVEVA PER LE MUSICHE ORIGINALI?
Sono state composte da Evgueni e Sacha Galperine, con cui avevo già lavorato per SCATTI RUBATI. Mi piace molto il loro universo e adoro lavorare con loro perché creano una musica che ha un certo sfasamento, pur sprigionando l’emozione in modo giusto, senza mai enfatizzare. Quando inseriscono un accordo di violino, risuona in maniera curiosa, pur restando sottile e puro. Al tempo stesso, ogni movimento è di una grande complessità e originalità che sono le loro cifre stilistiche. Non sono mai demagogici. Hanno un universo che è contemporaneamente ricco e umile.


Via | BIM