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Il racconto dei racconti: recensione del film di Matteo Garrone

Matteo Garrone approda al Fantasy, e assieme a lui il cinema italiano. Artigianalità e spettacolo rappresentano l’importante cifra di questo racconto fiabesco tratto dall’opera di Giambattista Basile

pubblicato 8 Maggio 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 16:02

Tre Regni. Una regina e due re. Tre fiabe. L’ultimo lungometraggio di Matteo Garrone passa dal realismo magico, se così possiamo chiamarlo, di Reality, al territorio estremamente eterogeneo, oscuro e misterioso delle fiabe. Com’è noto, dal Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, letterato campano del ‘600. Nella sua trasposizione cinematografica, Il racconto dei racconti, le tre vicende si svolgono nel medesimo mondo, pur non essendo necessariamente legate l’una all’altra.

Anzitutto va dato atto a Garrone di aver ripescato, decisamente controcorrente, un genere da tempo in disuso, e che forse dalle nostre parti non ha mai avuto modo di consolidarsi sul serio. Una scommessa agevolata dal ricorso alla lingua inglese, perché in fondo il fantasy (o ciò che gli si avvicina) oggi questa lingua parla, quantomeno tra TV e grande schermo. Resta però che pur sempre di una co-produzione nostrana, con un regista italiano e finanche un’ambientazione che non varca i confini si tratta.

Sembra un po’ di essere tornati a quel tempo in cui fare film di genere (ma non solo) significava anzitutto fare fondo alle maestranze: altro merito de Il racconto dei racconti, che è un film il quale, al di là della visione tutt’altro che invasiva del regista, è un’opera che più di altre si regge sui vari dipartimenti. Saranno due/tre le scene in cui la computer grafica si nota; per il resto il recupero dell’artigianalità sul set a scapito della post-produzione dura e pura rappresenta una delle componenti cardine del film. Il che ha un senso non soltanto in relazione al percorso di Garrone, per cui una scelta del genere è pressoché naturale, ma anche internamente al racconto. Ai racconti.

Si tratta di fiabe in presa diretta, le cui trame si dipanano sotto i nostri occhi senza accorgimenti “esterni”, intromissioni che finiscono con l’incidere sulla verosimiglianza della vicenda. Tutto o quasi sembra vivo come quel cuore che il Re di Selvascura (John C. Reilly) deve strappare dal petto di un drago marino per far sì che la Regina (Salma Hayek) rimanga incinta. E quando il Negromante (Franco Pistoni) illustra la procedura, chiarendo che sarà una vergine a cucinare quel cuore, eccoci entrare sotto quel dominio dove causa ed effetto si mescolano, si confondono, talvolta addirittura si scambiano di posto.

Domande del tipo «come fa una pulce a diventare grande quanto un cane di media statura?» sono destinate a rimanere irrisolte, perché come recita un vecchio adagio «fiaba oscura, nespola dura / la paglia e il tempo te le matura». Perciò Garrone fa quello che un film dovrebbe fare, ossia mostrare. Abbiamo citato le parole del Negromante, ma non vorremmo mettervi fuori strada: in nessun altro caso vengono fornite spiegazioni altrettanto dirette, il che può apparire disorientante. Il regista romano crede non solo nel potere delle fiabe, ma anche in quello del cinema, facendo qualcosa a cui parecchi nostri cineasti sono poco abituati, ovvero fidarsi delle immagini.

E come nelle fiabe, non tutto sarà chiaro all’inizio. Come nelle fiabe, l’apparente impenetrabilità è una risorsa, la risorsa. Non complessità inutile, complicazione che cela invece l’incapacità degli autori nel dare vita a qualcosa di sensato; d’altra parte qui la fonte è l’opera di Basile, per così dire ben “rodata” proprio nella sua mancata immediatezza. Cosa resta perciò? Resta un cast che funziona principalmente perché non si espone mai più del dovuto, una cura nel ricreare certe situazioni che è difficile trovare un po’ dovunque, e al tempo stesso una capacità di tenere tutti i vari elementi insieme come non si riscontra nemmeno in tanti blockbuster ben più blasonati.

Non si parla perciò di divertimento, bensì di spettacolo. Quello che si (ri)costruisce davanti alla macchina da presa, sul posto. Insomma, qualcosa in cui la peculiarità visiva, l’eccentricità, per finire appunto con la magia è parte integrante di ciò che la macchina si limita a registrare. E sappiamo che non è tutto così semplice, ma per Il racconto dei racconti si rivela utile la stessa regola non scritta della sopracitata computer grafica al cinema: se non si vede vuol dire che funziona. A suo modo, anche questa è magia.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”8″]
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Il racconto dei racconti (Tale of Tales, Italia-Francia-Regno Unito, 2015) di Matteo Garrone. Con Salma Hayek, John C. Reilly, Christian Lees, Jonah Lees, Alba Rohrwacher, Massimo Ceccherini, Laura Pizzirani, Franco Pistoni, Giselda Volodi, Giuseppina Cervizzi, Jessie Cave, Toby Jones, Bebe Cave, Guillaume Delaunay, Eric MacLennan, Nicola Sloane, Vincenzo Nemolato, Giulio Beranek, Davide Campagna, Vincent Cassel, Shirley Henderson, Hayley Carmichael, Stacy Martin, Kathryn Hunter, Ryan McParland, Kenneth Collard e Renato Scarpa. Nelle nostre sale da giovedì 14 maggio.

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