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Premonitions: recensione in anteprima

Premonizioni e scontri all’insegna del paranormale in Premonitions, secondo film del brasiliano Afonso Poyart. Thriller asettico che evoca l’attualità lasciando inesplorate certe significative potenzialità, dando per lo più l’idea di buone premesse ma sprecate

pubblicato 11 Novembre 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 11:09

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Non importa quanto tu sia bravo o particolarmente versato in qualcosa, qualunque cosa… ci sarà sempre qualcuno più in gamba di te. Volendo con leggerezza cogliere un messaggio in Premonitions, questo è senz’altro il più quotato. Un thriller paranormale dalle implicazioni tutt’altro che aleatorie, dato che il film tratta una tematica “calda”, decisamente attuale, di cui però non facciamo nemmeno cenno onde evitare di anticiparvi in qualsivoglia forma le implicazioni.

Sceneggiatura rimasta chiusa in un cassetto per ben tredici anni, finché non è arrivato il semaforo verde. Ed è ancora una volta un brasiliano, dopo il RoboCop di José Padilha (che, malgrado tutto, chi scrive continua a difendere), ad essere stato scelto per quest’ennesimo sci-fi dal carico ben più leggero rispetto al remake del film di Verhoeven. Al centro l’agente in pensione John Clancy (Anthony Hopkins), chiamato in causa da uno che all’FBI ci lavora ancora, ossia il vecchio amico Joe Merriwether (Jeffrey Dean Morgan). Il motivo è presto detto: John dispone di abilità paranormali.

Un must per chi si trova a dover risolvere il caso di un killer che va inanellando una serie di omicidi con una pulizia ed una disciplina fuori parametro, apponendo tanto di firma sulle vittime. Il legame tra le vittime emerge dopo non molto, ed allora cominciano a venire fuori i primi veri sospetti. Nel frattempo John lavora a stretto contatto con il partner di Joe, Katherine (Abbie Cornish), la quale instaura con l’anziano agente un rapporto particolare.

La traccia paranormale in Premonitions è talmente connaturata al progetto che pensarlo altrimenti non è semplicemente possibile, va detto. Tuttavia c’è comunque un prima e un dopo: prima che venga chiarito esplicitamente quale sia il “dono” di John e dopo tale chiarimento. E le impressioni a riguardo tendono ad una certa ambivalenza. Da un lato la prima parte, da ordinario thriller in cui si cerca di ricavare notizie come modus operandi e possibile movente; dall’altro la seconda metà, diviso a sua volta in due atti, che sono poi gli stessi su cui Bailey e Griffin, i due sceneggiatori, lavorano con maggiore “libertà”. La prima decisamente canonica, a tal punto da tendere pericolosamente all’appiattimento. Meglio la seconda, se non altro più interessante, specie a cavallo tra il secondo ed il terzo atto, quando emerge la tematica di cui sopra.

Ci rendiamo conto che il tema in questione appare un po’ come un Convitato di Pietra in questo scritto, ma va evocato e nulla più. Perché lì giace il potenziale di un film che invece si adagia su qualche bella immagine ed una confezione impeccabile, tralasciando le opportunità che un progetto come questo tende ad offrire. Qualcosa va infatti storto nel tentativo di conciliare la natura spiccatamente mainstream di Premonitions con la sua propensione ad approfondire in maniera intelligente argomenti che ci riguardano tutti da vicino. Tanto che quel suo prendere posizione alla fine appare fuori posto, non tanto per la parte scelta quanto per il processo che porta a schierarsi da tale parte.

È in questa fase che il film accumula intensità senza però lasciare che se ne avverta più di tanto; alternando presente e sprazzi di futuro non scritto, escamotage che apre voragini sul fronte speculativo oltre che di narrazione, offrendo soluzioni le più disparate. Ma anche grattacapi, in cui gli sceneggiatori non si raccapezzano nel migliore dei modi per via essenzialmente della natura di cui sopra, quella votata al prodotto commerciale. Non fatichiamo infatti ad immaginare l’alto coefficiente di difficoltà nel mantenere l’equilibrio tra una trama estremamente complessa, che faccia ragionare se non addirittura pensare, ed una oltremodo accessibile. Il che, ancora una volta, dovrebbe consentire ai vari detrattori di Nolan di riconoscere quanto sia arduo veicolare argomenti alti mediante generi ben codificati e “popolari” nell’accezione più nobile del termine.

È questa la procedura che tende a vanificare l’intero film, che ad un certo punto si ritrova a dover registrare delle impennate rese in maniera nient’affatto impeccabile, lasciando peraltro che il suo vigore ne risenta, scemando anziché subire un incremento. Non può nulla nemmeno sir Hopkins, che in una scena finisce addirittura con l’autocitarsi (il dottor Lecter). Lascia perciò l’amaro in bocca il servirsi di un discorso su cui si potrebbe dire parecchio, al cinema soprattutto, ché di chiacchiere sterili su carta o meno se ne ha abbastanza; uno al quale ci si aggrappa giusto per farci vivere come si deve appena una scena, salvo poi infilarla nuovamente nel cassetto e tornare ad essere ciò che Premonitions è stato sin dall’inizio, ovvero un regolare thriller, ahinoi prevedibile, ma che voleva essere pure qualcosina di più. Senza però provarci davvero.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”5″ layout=”left”]

Premonitions (Solace, USA, 2015) di Afonso Poyart. Con Anthony Hopkins, Jeffrey Dean Morgan, Abbie Cornish, Colin Farrell, Matt Gerald, Jose Pablo Cantillo, Marley Shelton, Xander Berkeley, Kenny Johnson, Josh Close e Sharon Lawrence. Nelle nostre sale da giovedì 12 novembre.