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Machine Gun or Typewriter?: recensione del film in Concorso al Filmmaker 2015

Travis Wilkerson porta al Filmmaker una cupa storia d’amore con echi da noir, in una Los Angeles rotta da un’ingiustizia che è sintomo di declino di un’epoca intera. Cinema duro ma che si fa con pochi mezzi

pubblicato 2 Dicembre 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 10:37

Lui trasmette il suo programma attraverso le frequenze di una radio pirata. La trasmissione è solo per lei, la donna di cui è innamorato, nonché alla spasmodica ricerca. Non si sa bene perché né cosa sia avvenuto, ma il conduttore lestamente comincia a raccontare la sua storia. La loro storia.

Machine Gun or Typewriter? è un’opera fresca, il che è quasi paradossale se si pensa alle vibrazioni da noir anni ’40 reinterpretato, reimpastato attraverso una forma che privilegia la narrazione tout court. Ci stiamo sistematicamente scontrando con quello che, a questo punto, può a ragione essere definito un chiaro indirizzo dell’edizione di quest’anno: l’amore per il racconto duro e puro filtrato da lenti tendenti alla sperimentazione. Qualcuno dirà che questa è la cifra del Filmmaker, e sarà anche così; ma negli ultimi anni non si è assistito a lavori che, a dispetto di strutture e soluzioni articolate, talvolta addirittura spericolate, prediligessero a tal punto il semplice raccontare, senza fronzoli, senza “abbellimenti”.

Il film di Travis Wilkerson, estremamente personale (non solo perché quasi interamente curato da lui), è progetto per certi versi analogo a By Our Selves, ossia quasi un accompagnamento alla lettura di un libro. È forte l’influenza della carta in questa serie di opere, tanto che se ne avverte quasi l’odore; la suadente voce narrante, che è quella dello stesso protagonista, è il fluire di un resoconto letterario, in cui ogni virgola e al proprio posto, le parole e finanche il turpiloquio sono stabiliti a ragion veduta. Insomma, sì, sembra di leggere un libro.

Ma l’intrigante abilità di questi registi sta principalmente nel loro masticare e rimasticare il testo per poi sputarlo per intero in una forma “diversa”, non dico inedita, dalla forte impronta visuale. La “letterarietà”, per così dire, alla quale alludiamo non è in nessun caso “letterarismo”, quasi fosse una corrente che imponga il predominio del testo sull’immagine. No, qui l’immagine si fa veicolo, veicolo forte, indissolubilmente legato al messaggio. Poiché da un lato, è vero, abbiamo questa connaturata tensione alla parola; una parola però che è pensata non come entità a sé stante bensì come elemento, per quanto fondante, di un mosaico più elaborato, in cui l’immagine non si trova gerarchicamente sotto.

So di non aver praticamente risposto a come, in buona sostanza, funzioni il lavoro di Wilkerson, ma mi è parso opportuno partire dalle implicazioni, anche a rischio di allontanarci per un attimo. Tornando a bomba, però, si tratta di una travagliata love story, per certi aspetti maledetta. Sullo sfondo di una Los Angeles in preda al delirio, dove ogni angolo racconta disumanità e declino, questi due s’incontrano, si scontrano, si conoscono e s’innamorano. Il primo bacio appare come una rievocazione semi-adolescenziale, il primo amplesso quasi roba da romanzo sentimentale: il protagonista, l’innamorato, parla praticamente di una rinascita. Quella che, senza la donna che adesso sta disperatamente cercando, non sarebbe stata in alcun modo possibile.

A controbilanciare il tutto vi è però una rabbia, una frustrazione che a conti fatti rappresenta una delle componenti pregnanti di Machine Gun or Typewriter?, dato che la vicenda, basata sul particolare di questa storia d’amore, in realtà affonda nel politico. I riferimenti espliciti sono pochi, eppure si avverte molto chiaramente il doloroso livore di coloro che si sentono impotenti dinanzi a quelle che sono avvertite come palesi ingiustizie. Ad un certo punto c’è un riferimento a Bonnie e Clyde: i due amanti hanno qualcosa di quei due innamorati fuorilegge, se non fosse che a fotterli è un’amara, mortale consapevolezza del mondo che li circonda. Non ci si faccia illusioni: se si ascolta sul serio ciò che il conduttore radiofonico ha da dirci, se ne ricava un pessimismo talmente violento da far paura.

E mentre scorrono queste inquadrature relative a specifici scorci di LA, mentre le stesse sovrimpressioni si avvicendano per tutto il film, ovvero delle grafiche rappresentanti per lo più onde che si espandono; quando vengono passate in rassegna le tombe divelte di un cimitero ebraico; lì, se ci si è davvero lasciati catturare da quella voce calma ma piena di odio, allora ci si ritrova a tu per tu con una parte che è anche in ciascuno di noi. Sperimentando quanto umano sia il racconto di Wilkerson, malgrado ammetterlo costi non poca fatica.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”8″ layout=”left”]

Machine Gun or Typewriter? (USA, 2015) di Travis Wilkerson. In Concorso al Filmmaker International Film Festival 2015.