Home Recensioni Venezia 2016, Les Beaux Jours d’Aranjuez: recensione del film di Wim Wenders

Venezia 2016, Les Beaux Jours d’Aranjuez: recensione del film di Wim Wenders

Festival di Venezia 2016: tutt’altro che conciliante il Wim Wenders de Les Beaux Jours d’Aranjuez, lungo dialogo a due voci tratto da una pièce teatrale

pubblicato 2 Settembre 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 06:15

Dalla stanza di uno scrittore si scorge un tavolo nel bel mezzo di un giardino bellissimo. È estate, di quelle dal clima temperato però, come fosse una primavera lievemente più calda. Il tepore di quell’ambiente lo si avverte, sebbene il 3D faccia poco in tal senso. Mentre le note di Perfect Day giungono al termine, lo scrittore comincia a dar vita ai suoi personaggi; uomo e donna, siedono lì, in quel giardino, e parlano d’amore, del tempo che passa, di vita.

Il Wim Wenders di Les Beaux Jours d’Aranjuez è un Wenders maturo, che non intende retrocedere di un centimetro rispetto al sentiero tracciato. Questo suo ultimo lavoro è in parte un ritorno alle origini, in parte una tappa del suo percorso di cineasta e perciò anche di uomo. Questo Wenders sa di contemplare un appeal alquanto limitato, non può essere altrimenti. Ma lui va avanti comunque; nel 2015 fu un rigurgito di Neorealismo con Ritorno alla vita, ora, se vogliamo, si avvertono echi di Nouvelle Vague. Da notare che Les Beaux Jours d’Aranjuez è tratto da una pièce teatrale e dire che si nota è dire poco; sullo schermo questo dialogo tra i due protagonisti, un rimbalzare di esternazioni tra il colto e l’enigmatico, contraddistinto da qualche gemito che spezza un ritmo a tratti insostenibile, semplicemente non regge. Salvo forse non venire catturati dallo scambio di battute dei due protagonisti, che è poi l’unico modo per non restare estromessi del tutto.

Eppure Wenders non lesina di offrire dei momenti segnati da un certo humor, come quando introduce l’azione facendola richiamare dall’uomo, mentre la donna se ne lamenta in quanto «si era detto solo dialoghi». Un gioco insomma, sembra averlo condotto in questi termini il regista tedesco, che non a caso si diverte pure ad introdurre un delizioso cameo di Nick Cave. Muovendosi per tutto il tempo lungo questa linea di confine tra il serioso e il leggero: ora i due protagonisti sono delle maschere, ora delle persone in carne ed ossa; ora metafore, ora semplici amanti.

Les Beaux Jours d’Aranjuez è un po’ come dell’ottimo vino servito nel più consono dei calici. Ma se non si è ancora pronti (né è detto che mai lo si sarà) per apprezzarlo, beh, non resta che gentilmente declinare aggiungendo che i vini non sono il nostro forte. Wenders ha preso la sua strada, che già dal prossimo film magari cambierà. O magari no. Intanto va preso atto del punto in cui si è, e quest’ultimo lavoro rappresenta del materiale alquanto ostico, e non perché di difficile lettura. Il jukebox però ce le si tiene volentieri.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”4″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”3″ layout=”left”]

Les Beaux Jours d’Aranjuez (Germania/Francia, 2016) di Wim Wenders. Con Reda Kateb, Sophie Semin, Nick Cave e Peter Handke. Concorso