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Pulp Sound: il cinema sonoro di Quentin Tarantino – Intervista all’autore Riccardo Sampino Mattarelli

Un viaggio nelle colonne sonore di Tarantino

di carla
pubblicato 16 Febbraio 2017 aggiornato 30 Luglio 2020 01:53

Oggi vi propongo un’intervista a Riccardo Sampino Mattarelli, autore dell’interessante libro Pulp Sound. Il cinema sonoro di Quentin Tarantino.

Chi è Riccardo Sampino Mattarelli?
Sono un trentenne palermitano, classe ’86, laureato in Discipline della Musica all’Università degli Studi di Palermo. La mia tesi di laurea su David Lynch, pubblicata su un sito internet, attirò l’attenzione della casa editrice Crac Edizioni e, di conseguenza, divenne il mio primo libro. Mi piace definirmi “cinefilo”, anche se ho potuto constatare che il termine è adoperato in modo troppo semplicistico da chi guarda un film in più di chiunque altro. Dunque, cerco di essere un cultore cinematografico. Nel 2016 ho pubblicato Pulp Sound – Il cinema sonoro di Quentin Tarantino.

Come nasce l’idea del libro?
Nutro una grande passione per la cinematografia di Quentin Tarantino. Lo considero un artista poliedrico, in grado di scavare affondo all’audiovisivo, facendone emergere punti fondamentali per uno studio approfondito. C’è una moltitudine di registi capaci di rivoluzionare il concetto di fare cinema con la propria opera, e Quentin Tarantino è un perfetto esempio. Il suono tarantiniano non è semplicemente musica e rumore. Molti film mainstream fondano il proprio successo sulla piattezza dell’impiego audio-video, i due principi vengono saldati senza stimolare profondamente i sensi, assorbendosi nella percezione dello spettatore senza troppa fatica. Il cinema di Quentin Tarantino, invece, può essere fruito sia dal pubblico “commerciale”, quello che vuole vedere semplicemente un film, sia dal pubblico “cultore”, quello attento al particolare e ai tecnicismi. Se la prima parte di pubblico è facilmente accontentabile con una recensione o un giudizio di gradimento, la seconda parte vuole scavare in profondità. Ho voluto scrivere questo libro per farlo diventare un badile.

Per ogni film viene presentata l’analisi diacronica e sincronica. Vuoi spiegare ai nostri lettori di cosa si tratta?
Generalmente, il film è strutturato in due parti: la macrostruttura e la microstruttura. L’analisi diacronica racchiude la macrostruttura filmica, ovvero la teoria, la premessa. Viceversa, l’analisi sincronica racchiude la microstruttura filmica, dunque la pratica, lo svolgimento. Se da una parte è giusto sviscerare il film in modo ampio, tenendo conto delle influenze e vicissitudini artistiche e umane che hanno portato alla sua creazione; altrettanto importante è indagare nel profondo della diegesi, vivisezionando le sequenze per studiarne il risultato.

Quale film di Tarantino preferisci dal punto di vista musicale?
Tutte le opere di Quentin Tarantino hanno una costruzione musicale più o meno accurata. Direi che l’opera totale per eccellenza è sicuramente Kill Bill, perché è strutturata in due volumi musicalmente ricchi. Ovviamente, The Hateful Eight raggiunge il vertice, finora, della maturità sonora tarantiniana, in quanto la musica originale di Ennio Morricone mette da parte il citazionismo dei precedenti film, per costruire immagini sonore uniche.

E, per te, il peggiore?
My Best Friend’s Birthday, ma soltanto per una questione di “immaturità” stilistica.

Sei l’autore anche di “David Lynch sound designer”: cosa ti aspetti dalla nuova stagione di Twin Peaks?
Non credo che possa ritornare alla dimensione audiovisiva delle due precedenti stagioni. Sono passati troppi anni. Serie come True Detective, American Horror Story o Narcos hanno gettato nuove basi per la fruizione televisiva. Mi auguro che Twin Peaks possa rivoluzionare il concetto di crime series come fece in passato. Dal punto di vista prettamente sonoro, dovrà fare i conti con una nuova generazione di spettatori spiazzati dalla desolante musica ambientale di True Detective, che bene plasma l’imprevedibile Lousiana; o con i ritmi dell’America meridionale di Narcos, pieni di evocazioni rurali ed etnici. Comunque, stiamo parlando di David Lynch. E lui sa il fatto suo.

Come esperto musicale: cosa ne pensi del successo di La La Land? Sei rimasto affascinato anche tu?
La La Land è un gioiello. Adoro i piani sequenza dell’incipit e come la musica riesce a seguire la fluidità della macchina da presa. La scelta della musica jazz è stata molto caparbia e costruire una diegesi spaziotemporale sospesa tra la contemporaneità e gli anni Cinquanta riesce a spiazzare perfettamente il pubblico. Il leitmotiv, continuamente accennato da Sebastian al pianoforte, rende l’idea di come certe volte la musica riesce a evocare immagini di infinita dolcezza o malinconia, come quando sentiamo un brano che ha significato qualcosa nella nostra vita. Credo che il successo di La La Land sia assolutamente meritato.