Home Curiosità Non c’è più Hollywood Babylonia? L’Oscar a Moonlight

Non c’è più Hollywood Babylonia? L’Oscar a Moonlight

La gaffe dello scambio di buste ha fatto parlare male di Hollywood, adesso il film vincitore va in cerca di gloria.

pubblicato 7 Marzo 2017 aggiornato 30 Luglio 2020 01:11

Una volta c’era Hollywood Babylonia che fece la fortuna di uno scrittore-segugio, Kenneth Anger, che andò a spulciare le cronache nere nella Capitale del cinema americano per raccontarne i segreti. Adesso con la vittoria di “Moonlight” di Barry Jenkins forse Hollywood cambierà, grazia a una storia delicata e in cerca di solidarietà, per tenerezza e sensibilità.

La sostituzione della busta è un segno del destino, forse. L’Oscar a “La La Land”, musical moderno garbato come un mazzolino di violette da 8 marzo, festa della donna, dato per errore, è rivelatrice: non è un errore, è un segno del destino compiuto da Warren Beatty, del tutto inconsapevole.

Ma il fascino della vecchia Hollywood, patria dei peccati e dell’amore romantico, dove è finito? Beh, bisogna dire che è finito da tempo e la stessa Mecca del cinema va via col vento nelle direzione dei capricci del cinema che non sa più cosa essere.

Il confronto è curioso e opportuno. “La La Land” è un omaggio al passato liliale e garbato, con pillole di pepe dolce, qualche disturbo nei sentimenti ma tanta fiducia nella musica come tranquillante. “Moonlight” si regge, se reggerà, sulla finezza che aspira a dire molto senza fare molto: sgocciolano umori di commozione, non si scopre qualcosa di nuovo, ma che importa? Le novità non esistono più o meglio il cinema non ce la fa più a tenere il passo.

“La La Land” se ne va in una serata e forse si annida nell’angolino buono del ricordo, “Moonlinght” vuole durare di più perché insegue nella sua scansione temporale allungata- storia di ragazzi che si ritrovano dieci anni dopo, dieci anni dopo, un’ eternità- una struggente risorsa; ovvero, l’amore non muore mai, si addormenta, va in letargo e poi si sveglia, urla in silenzio la sua perentorietà , la sua urgenza.

“Moonlight”, come dice il protagonista quando è ragazzo, ci fa scoprire qualcosa di molto particolare, ovvero “al chiaro di luna i ragazzi neri sembrano blu”. Parole bellissime, che chiamano simpatia, solidarietà, vanno al di là del territorio America First! di Donald Trump; diventa una morbida bandiera colorata di notte e di dolore, nel razzismo che non muore.

Ma anche “Moonlight”, come “La La Land”, se ne va lentamente verso un destino d’archivio che lo condanna a separarsi dal mondo dei conflitti atroci-non solo del razzismo- in cui tutti, tutti noi, viviamo in questa terra maledetta visitata dalla violenza e dalla morte.

Non c’è più la Hollywood Babylonia, non c’è più la Hollywood affarista, c’è una Hollywood che vive la precarietà, la nostra precarietà, e con un similmusical (volete mettere “La La Land” con “Cantando sotto la pioggia”?) e un piccolo grande film (volete mettere “Moonlight” con i potenti film antirazzisti della Hollywood, quelli di maestri colme Robert Altman e tanti altri?) va avanti a casaccio. Hollywood a tentoni nella sala buia, consolatoria, impotente di fronte allo spettacolo d’orrore della quotidianità televisiva e pubblicitaria. Atrocità, dolore, resa(?).