Home Recensioni King Arthur – Il potere della spada di Guy Ritchie: Recensione in Anteprima

King Arthur – Il potere della spada di Guy Ritchie: Recensione in Anteprima

Charlie Hunnam e Jude Law protagonisti di un Re Artù inedito, tutto action e fantasy.

pubblicato 9 Maggio 2017 aggiornato 28 Agosto 2020 06:36

Oltre mezzo secolo dopo la sua pubblicazione, il leggendario Re Artù di Thomas Mallory torna al cinema con il primo film di una saga che sulla carta dovrebbe regalare tra i 5 e i 7 capitoli. King Arthur – Il potere della spada, kolossal Warner diretto da Guy Ritchie costato poco più di 100 milioni di dollari e dalla lunga e faticosa produzione. Annunciato inizialmente in sala per il 22 giugno del 2016, il film, le cui riprese sono iniziate addirittura nel marzo del 2015, riscrive la storia di Camelot vista decine e decine di volte su grande e piccolo schermo.

Ad indossare l’armatura di Artù, dopo Boris Karloff, Sean Connery, Malcolm McDowell, Martin Sheen, Clive Owen e Jamie Campbell Bower, il biondo e aitante Charlie Hunnam, esploso grazie a Pacific Rim di Guillermo Del Toro e qui indiscusso protagonista di un action/adventure che prende la strada del puro fantasy. Ritchie guarda a film come Il Signore degli Anelli e Robin Hood per il suo principe dei ladri in salsa peplum in una Londra romana con tanto di anfiteatro chiamata Londinium.

king-arthur-il-potere-della-spada-foto-e-locandine-37.jpg

Quando Uther Pendragon, Re d’Inghilterra, viene assassinato dal perfido fratello Vortigern (Jude Law), il primogenito nonchè erede al trono designato sparisce nel nulla, mentre una misteriosa spada magica, l’Excalibur, finisce conficcata dentro una roccia. Derubato dei diritti che gli spetterebbero per nascita e senza sapere chi sia realmente, il giovane Artù cresce in un bordello, tra prostitute e malfattori, imparando a sopravvivere tra i pericolosi vicoli della città. Ma il folle zio è alla disperata ricerca della sua testa, perché senza la sua vita non potrà estrarre la spada dalla roccia, obbligando tutti i ragazzi del Regno a tentare la sorte. Quando scoccherà la sua ora Artù si ritroverà la spada tra le mani, con la sua esistenza pronta a cambiare per sempre. Perché ci sarà un’eredità da accettare, volente o nolente.

13 anni fa furono Antoine Fuqua, Clive Owen e Keira Knightley ad inciampare sulla tavola rotonda di Artù, con un kolossal da 120 milioni che ne incassò appena 52 sul suolo americano, rivelandosi un flop per la Disney. Eppure in casa Warner non hanno badato a spese per riportare a galla il mito, affidandosi a colui che aveva già resuscitato Sherlock Holmes con enorme successo di critica e di pubblico. Idea intrigante quella di delineare i lineamenti di un Artù inedito, perché sbruffone e criminale, tutto muscoli, arroganza e fascino, eroe per caso e tutt’altro che nobile, almeno nell’animo, tanto da ritrovarsi ‘costretto’ a brandire la mitica Excalibur. Peccato che Ritchie e i suoi due co-sceneggiatori, Joby Harold e Lionel Wigram, abbiano poi voluto esagerare nell’ampliare la portata a disposizione, deragliando sul fantasy spinto.

Una scelta forzata e poco oculata, perché sin dai primi minuti in cui giganteschi eleganti assaltano Camelot guidati da un potente stregone, la pellicola assume toni esageratamente occulti, tra effetti speciali tutt’altro che straordinari (occhi e spade che si illuminano) e animali formato XXL da fronteggiare. Il ‘nero’ Law da una parte, il ‘bianco’ Hunnam dall’altra. Persino nelle tonalità degli abiti Ritchie rimarca senza troppe sottigliezze le forze del male e quelle del bene, tra Torri fiammeggianti alla Saruman da abbattere e Terre oscure alla Harry Potter da attraversare, con Jude versione dittatore inebriato dal terrore altrui e Charlie in modalità canaglia redenta. Lo stile di Ritchie, celebre e da sempre riconoscibile, trova fortunatamente spazio anche in un simile isterico frullato di generi, con slow motion e improvvise accelerazioni che danno ritmo ad un’opera dal montaggio abilmente frenetico. E’ proprio nella parte centrale, quella in cui si abbandona Camelot per ritrovarsi a Londinium, che King Arthur dà il meglio di sè, perché Ritchie dipinge con toni irriverenti la ‘Sherwood’ cittadina del protagonista, tra aneddoti da raccontare tramite ellissi e un percorso, quello dell’eroe classico di Christopher Vogler, che va incontro a strade alternative.

Dimenticato o quasi Merlino, che potrebbe trovare spazio negli annunciati sequel (se mai si faranno), King Arthur assume sempre più ormoni con il passare dei minuti, tanto da trasformarsi nella parte conclusiva in un trionfo testosteronico di poca qualità e sostanza. L’esoterismo prende inspiegabilmente il sopravvento, cedendo ad un muscoloso scontro finale fastidiosamente tutto realizzato in CG e smaccatamente videoludico, zavorrando un progetto che guarda ad un pubblico teen cresciuto a pane, Game of Thrones, Lo Hobbit e Warcraft, da conquistare attraverso i rielaborati passaggi di una storia nata nel 1485.

[rating title=”Voto di Federico” value=”5″ layout=”left”]

King Arthur (Usa, 2017, Fantasy) di Guy Ritchie; con Charlie Hunnam, Jude Law, Katie McGrath, Annabelle Wallis, Eric Bana, Aidan Gillen, Djimon Hounsou, Astrid Berges-Frisbey, Hermione Corfield, Mikael Persbrandt, David Beckham, Georgina Campbell, Freddie Fox, Poppy Delevingne – uscita mercoledì 10 maggio 2017.