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Festival Internazionale del Film di Roma: parla Marco Muller, i numeri della rassegna

Prime parole ufficiali da direttore del Festival di Roma per Marco Muller

pubblicato 11 Ottobre 2012 aggiornato 31 Luglio 2020 21:20

59 Lungometraggi in prima mondiale e 5 in prima internazionale, 12 Mediometraggi, 34 Cortometraggi, 13 Film in Concorso in prima mondiale, 5 film gala fuori concorso in prima mondiale e 4 in prima internazionale; 26 paesi partecipanti (Argentina, Australia, Austria, Brasile, Cina, Filippine, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, India, Iran, Israele, Italia, Lettonia, Messico, Moldavia, Nicaragua, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Russia, Spagna, Stati Uniti, Thailandia, Ucraina), 16 lungometraggi italiani, 8 sale per il pubblico del Festival e biglietti in vendita con prezzi che vanno dai 5 euro pomeridiani della sala Lotto ai 30 serali della sala Sinopoli.

Annunciato ieri pomeriggio, il programma ufficiale del Festival Internazionale del Film di Roma ci concede oggi i primi numeri della manifestazione e soprattutto le prime parole di Marco Muller, neo direttore a cui è stato dato il compito di far ‘decollare’ il Festival capitolino, arrivato al settimo anno di vita. Se ‘due’ film sorpresa mancano ancora all’appello (ma non aspettatevi kolossal, ha fatto sapere Muller), l’ex Festa del Cinema mette ora il turbo, a meno di un mese esatto dal via alla manifestazione.

Noi di Cineblog, come avviene da sei anni a questa parte, ci saremo. Nell’attesa, dopo il saltino, le prime parole del Direttore.

Il Festival Internazionale del Film di Roma ha un nuovo direttore. E’ animato, dunque, da una nuova filosofia? In realtà, accanto ad una necessaria precisazione delle linee di forza della programmazione, che ci ha permesso di ricalibrare il numero dei film presentati (esaltando la centralità di tre linee di concorso che ospitano solo prime mondiali), questa edizione 2012 non presenta novità di rilievo sul piano strutturale rispetto a quelle passate. Modifiche e riformulazioni in questo ambito, se verranno, dovranno scaturire da un lavoro di ulteriore ridefinizione.
Chi è chiamato a fabbricare un macroevento di cinema come quello romano deve, tuttavia, interrogare di continuo un orizzonte di questioni. A quelle infrastrutturali e finanziarie, sarà possibile trovare risposte più stabili solo all’interno delle edizioni successive a questa, realizzata in un clima di urgenza. Ad altre, tuttavia, dovevamo provare a fornire delle risposte già da quest’anno: il senso e la necessità di un festival; il rapporto con i gruppi diversi di spettatori; la riapertura di alcuni circuiti di diffusione di un cinema decentrato, indipendente, espressivamente potente; la ricerca di un cinema italiano autentico, libero dentro i propri meccanismi di invenzione.
Il metodo di lavoro non poteva, allora, che essere improntato alla massima apertura. Affrontare rischi necessari; riscoprire soluzioni dimenticate; sperimentare il nuovo senza doverlo spettacolarizzare; immergersi nella singolarità dei film senza proteggersi le spalle con le ideologie; essere sempre disponibili a contraddirsi e contaminarsi, senza perdere la memoria di immagini e pagine. E sbarazzarsi del mito di una lingua “universale” del cinema, così da essere partecipi, invece, del dibattito tra i diversi modi di “fare cinema”, del dialogo tra le diverse culture di produzione di immagini.
Abbiamo – una squadra agguerritissima ed io – avuto poco più di quattro mesi per sperimentare i modi più giusti volti a dinamizzare la nostra relazione con chi il cinema lo fa e con chi lo fa circolare. E per considerare i nostri gruppi di spettatori potenziali non come una risposta scontata, ma come una domanda sempre rinnovata. Ne è scaturito un programma che ci sembra possedere un’identità riconoscibile: la strada che abbiamo percorso è stata quella di un sincretismo ragionato, aperto a ogni possibilità di sollecitare uno sguardo attento, vigile e appassionato.
Abbiamo scelto di scommettere sui nuovi autori e le nuove realtà del continente visivo, ma abbiamo anche voluto trascrivere le originalità che vengono da regni e generi del cinema popolare, celebrando in Walter Hill il cine-narratore consapevole di come il valore della tradizione possa ridefinirsi solo attraverso la ricerca formale, e individuando nella più recente fase della produzione della Dreamworks Animation i presupposti per un continuo rinnovamento del cinema d’animazione. Purezza, omogeneità, assolutezza non ci interessavano, perché improduttive. L’autenticità andava perseguita anche attraverso il suo contrario: la contaminazione di linguaggi, stili, tecniche. A contare, a questo punto, non è stata solo la qualità assoluta (che pure abbiamo ricercato con ostinazione), ma anche la quantità dei fenomeni espressivi, la loro illimitata possibilità di integrazione. Ne è scaturito un festival pluralistico, e quindi in molti casi felicemente contraddittorio. Vivo.
Proprio per la velocità con la quale abbiamo lavorato, non potevamo che confrontarci, sin da subito, con un insieme di priorità. Decidere a quali luoghi del cinema dare visibilità e come. Pensare una mappatura, anche andando a tentoni o procedendo per induzioni successive, del cinema ancora capace di gemmare e immaginare nuove configurazioni visive. Continuare a vagliare nuovi strumenti, nuove modalità di visione: per arrivare a scontornare i vecchi orizzonti e suscitare una nuova linea di concorso (CinemaXXI: cinema del presente, del nostro tempo; ma anche: cinema espanso) in grado di rappresentare ancora un altro versante di proposte.
Abbiamo creduto nella possibilità di un festival romano utile e opportuno, collocato nel periodo giusto per rappresentare la piattaforma che mancava tra i festival di fine estate e quelli di mezzo inverno e calato, tra Auditorium e MAXXI, in un quartiere destinato a ospitare un sempre più completo Parco delle Arti. Ritrovando, nella pur breve memoria storica dell’evento, gli strumenti più adatti a riproporre la straordinaria vitalità della fruizione collettiva di un film e a favorire nuovi modi di aggregazione. Per dimostrare come sia possibile partire da Roma e dal lavoro con il suo pubblico disponibile, curioso, sensibile. E su questa base cominciare a costruire i nuovi orizzonti futuri del festival (e non solo).

Direttore Artistico del Festival Internazionale del Film di Roma
(dal catalogo)

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