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Beach Rats: recensione in anteprima

Harris Dickinson regala un’interpretazione maiuscola in Beach Rats, ritratto complesso di un ragazzo e allo stesso tempo ritratto azzeccatissimo dei sobborghi di Brooklyn. Il primo coming of age per la ‘Grindr generation.’ Vincitore al Sundance 2017 per la miglior regia, in anteprima a Locarno.

pubblicato 29 Luglio 2017 aggiornato 28 Agosto 2020 04:18

Un film di vuoti incolmabili. Come quello che separa Avenue Z, una delle vie più a sud di Brooklyn, dalla città. Per raggiungere Manhattan ci vuole un’ora di metro. Per chi vive in quelle zone, la città è spesso un miraggio, e nonostante la bellezza di Coney Island non si discuta, sembra effettivamente un mondo diverso. Con un’altra cultura, lontana dallo spirito appunto della Grande Mela che conosciamo.

È un vuoto incolmabile anche quello di Frankie, un ragazzo perfetto che potrebbe avere tutto. Eppure quello che vuole, Frankie non può averlo: oppure, detta meglio, non ci prova nemmeno ad averlo. Nella cultura dei bros di South Brooklyn non può neanche pensare che sia giusto provare desiderio per i maschi alla luce del sole.

Frankie è imprigionato in un corpo perfetto che in una città come New York City, o almeno nelle sua zone che ‘contano,’ sarebbe uno strumento per esplorare tutto ciò che vuole. È lì a un passo, ma non può muoversi. Così come vuole direttamente andare in città. ‘Ci sono posti belli anche qui attorno,’ dice alla sua prima ragazza Simone, quella che finalmente presenta alla madre curiosa di conoscere una sua fidanzata. È la sicurezza che in fondo ti può dare il restare imprigionato ma al sicuro.

Con Beach Rats, Eliza Hittman firma un’opera seconda che ha ambizioni enormi, nonostante l’aura da ritratto low-key alla Sundance. Invece si tratta di un ritratto psicologico fatto di pennellate incise con forza. L’insieme forse non parlerà direttamente a molti, ma tra tutti i coming of age, specialmente queer (e ce ne sono in giro anche belli), Beach Rats è quello più urgente.

Strano a dirsi, per un film che comunque sembra ripercorrere il modello dei coming of age che trattano ancora l’abc dell’esplorazione dell’identità sessuale. Ma come film del genere, basico per come possa sembrare, è il primo che parla direttamente alla Grindr generation. Le coordinate del desiderio e del ‘corteggiamento’ si sono trasformate. Quello che Beach Rats mette in mostra è il cruising 2.0, dove la tensione dell’incontro ‘casuale’ si è adattata alla società online.

Frankie non conosce altro modo ‘giusto’ di approcciarsi agli uomini. Non ne ha gli strumenti di vita (quindi sessuali) per farlo. In fondo non usa manco una app, solo un sito Internet con chat e webcam. Frankie si nasconde sempre nel buio, non si fa mai vedere in faccia per primo. Si potrebbe pensare non sia manco consapevole della sua bellezza. E invece lo è, come dimostrano i selfie che si scatta a inizio film. Sa anche di essere di gran lunga il più bello del gruppo. Ha la fortuna di essere sexy, come glielo fa notare senza problemi Simone.

Così, durante le sessioni in chat, individua la ‘preda’ – di solito uomini maturi: forse non sa nemmeno come approcciarsi ai ragazzi della sua età – e sa che gli andrà bene. Basta che quella persona comunque abbia un po’ di droga, che rende gli incontri più rilassati. ‘I don’t know what I like,’ dice sempre quando incontra un uomo al parco o in un motel, mettendo le mani avanti perché in fondo non si sa mai. Frankie si protegge a prescindere, come quando comunque rifiuta gli incontri. Tutti gli incontri, anche se poi alla fine ci va sempre. Si sa mai, infatti.

In un film che fa del corpo del suo giovane protagonista il mezzo primario per l’identificazione del pubblico, Beach Rats evita ogni demonizzazione del sesso. Anzi: Frankie di sesso ne fa tanto, e spesso e volentieri sembra viverselo alla grande. Alla Hittman interessano invece le dinamiche sociali e di gruppo: non è certo un caso che il comportamento del protagonista verso il finale, in tutta la sua fredda confusione, sia un tocco davvero azzeccato.

E se la storia del padre del protagonista sembra essere di troppo, va invece a completare un insieme, un puzzle (attenzione anche a come viene inquadrato il corpo di Frankie) di cui anche la madre e la sorella minore fanno ovviamente parte. Beach Rats parla dell’effetto dei sobborghi su un ragazzo. Proprio nella descrizione dell’imprigionamento dell’identità in luoghi periferici, il film farebbe un perfetto double bill con Moonlight, anche per il suo discorso sulla mascolinità.

L’interpretazione maiuscola di Harris Dickinson cattura lo spirito di un gruppo preciso e che fa parte di una generazione, quella online, che ha a portata di mano la felicità ma non riesce a raggiungerla. Per Frankie la felicità, che corrisponde al semplice iniziare a scoprire sé stesso in tranquillità, è lì a un passo. Però per Frankie i fuochi d’artificio di Coney Island sono sempre uguali da anni, e rischiano di restarlo per sempre.

[rating title=”Voto di Gabriele” value=”8″ layout=”left”]

Beach Rats (USA 2017, drammatico 95′) di Eliza Hittman con Harris Dickinson, Madeline Weinstein, Kate Hodge, Neal Huff. Sconosciuta la data di distribuzione italiana.