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Dunkirk: la morale, i sentimenti e il tempo nel film di Christopher Nolan

Una settimana vissuta a terra, un giorno vissuto in mare, un’ora vissuta in aria. Tutto e tutti corrono contro il tempo in Dunkirk, il nuovo, ambizioso film di Christopher Nolan. Un film di guerra senza un vero protagonista, un film quasi muto il cui ritmo è dettato dalla musica di Hans Zimmer. Una riflessione anche morale su un’esperienza infernale, da un regista al suo massimo.

pubblicato 21 Agosto 2017 aggiornato 28 Agosto 2020 03:49

L’articolo si basa su una proiezione in 70mm.

C’è ancora chi critica Christopher Nolan di usare il tempo come giochetto fine a sé stesso. Era successo sin da Memento, per poi continuare con Inception e Interstellar. I suoi film, dicono, sono perfette macchine da spettacolo in cui i pezzi del puzzle si rimettono assieme. Dei personaggi, nessuna o pochissima traccia. In questo caso, potrebbero quindi essere solo pedine nelle mani del regista per imbastire le sue ‘solite’ bellissime geometrie visive, di cui la prima vede i soldati allineati in fila sulla spiaggia.

Premesso che l’amato e odiato Interstellar, piaccia o meno, è una risposta a queste critiche, Dunrkirk sin dalla premessa rischia di nuovo grosso. Per il suo primo film ‘storico,’ o se preferite basato su fatti realmente accaduti, Nolan sceglie di raccontare la vicenda di Dunkirk come un ensemble movie. Molti personaggi hanno nomi (Tommy, George, Farrier…), ma è quasi come se non li avessero. Di alcuni non viene mai specificato (vedi Cillian Murphy), di altri il nome viene bofonchiato nei pochi dialoghi.

Siamo nella città portuale francese di Dunkerque, tra il 26 maggio e il 3 giugno 1940. Le truppe inglesi e alleate sono circondate dai tedeschi. In questa settimana, che cambiò le sorti della Seconda Guerra Mondiale nonostante la sconfitta della singola battaglia, quattrocentomila soldati riescono ad arrivare sulla spiaggia per attendere soccorsi. Piano piano vengono portati per 50 miglia via mare verso casa: ma le navi e le risorse non sono abbastanza, e il nemico continua a colpire.

Sin dal nome, Dunkirk è un film su un evento avvenuto in un luogo ben specifico, che dà l’unità al racconto. La vicenda dal punto di vista temporale è invece divisa in tre parti. C’è la settimana vissuta dai soldati, per lo più giovanissimi, che attendono soccorsi e cercano via di scampo a terra. C’è la giornata vissuta da un padre di famiglia e un figlio che decidono di percorrere cinquanta miglia di mare per dare il loro contributo. E c’è l’ora di un pilota di un caccia Spitfire che difende i soldati sorvolando con un collega la spiaggia.

Dunkirk è un film sull’orrore della guerra in cui i personaggi vivono lo stesso evento da punti di vista differenti. È un film sulla percezione della guerra con un minimo comune denominatore per tutti: il volto del nemico è invisibile. Per chi sta a terra e in acqua è persino incontrollabile. Il nemico non si vede quasi mai così come la violenza è quasi completamente assente. Ciò non toglie al film la sua carica di orrore e costante pericolo.

Evitando il torture porn alla Mel Gibson, anche per strategie di marketing (Nolan è regista da PG-13, nonostante l’intensità dei contenuti dei suoi film), Nolan si può permettere di lavorare su altro. Vedere la guerra e la violenza non è sinonimo di viverla. Per Nolan l’esperienza del film arriva dal suono, da quello che in realtà non si vede proprio (ci sono anche personaggi ciechi, in Dunkirk). L’esperienza arriva persino dalla grana della materia, a cui solo il 70mm rende totale giustizia.

In questo film in cui non c’è un vero protagonista, non c’è nemico visibile e non c’è violenza on screen, a dettare il ritmo è il tappeto sonoro. Dunkirk è un film praticamente muto soprattutto per gli standard del regista inglese, altrove assai più abituato a lasciar parlare i suoi personaggi, facendogli spiegare gran parte della storia e dell’azione attraverso domande rivolte ad altri personaggi. Se i critici di Nolan apprezzeranno la scelta, saranno spaventati all’idea che il film invece sia quasi completamente coperto dalla musica del fido Hans Zimmer.

Non è la sua colonna sonora più bella in senso stretto, premio che chi scrive darebbe alle sinfonie alla Glass di Interstellar. Ma è il lavoro di Zimmer che più detta il montaggio del film e che riesce a fondersi con le immagini. Si porta dentro di sé anche l’idea principale del film, attraverso il suo ticchettio: quella appunto del tempo che passa. Una settimana, un giorno, un’ora. Se il tempo è la nostra percezione del reale, un’ora in volo può essere tanto pericolosa e terrificante quanto una settimana a terra.

Così facendo, Nolan sfrutta l’idea di tempo per definire l’esperienza della guerra come inferno totale, riportando il discorso – che paradosso! – ai sentimenti umani. Altro che mezzuccio per giocare con la confezione o orchestrare sequenze alternate, che pure non mancano (e sì, sono orchestrare benissimo). Avere la sensazione di poter idealmente tornare a casa equivale all’idea di poter finalmente toccare il suolo (attenzione al personaggio di Hardy, vicinissimo a quello della Hathaway di Interstellar).

Non è mai stato politico, Nolan, nonostante il terrorismo e le influenze di Occupuy Wall Street dei due ultimi capitoli di The Dark Knight, e l’approccio razionale e scientifico di Inception e Interstellar. Però è regista morale, e moralmente agiscono da sempre i suoi personaggi. L’episodio di Dunkerque è morale: centinaia di cittadini inglesi si mobilitarono con le proprie barche per navigare in soccorso verso la spiaggia francese. Il film trasmette l’idea di coesione di un popolo di fronte alla sconfitta imminente con una forza che non ti permette di staccargli mai gli occhi di dosso.

Un’esperienza in realtà virtuale senza headset, come l’ha definita con arguzia lo stesso regista. Che, come sempre, lavora con il minimo di CGI, credendo ancora nella forza dell’immagine pura, non artefatta dal digitale. Le navi che si vedono sono vere, gli aerei che si vedono sono veri. Ed è per questo che quando Tommy si getta per terra coprendosi le orecchie, e lo spettatore vede le bombe e le esplosioni avvicinarsi a lui, ci si crede per davvero. È una tra le molte idee visive del regista, che gioca con inquadrature sghembe e prospettive (l’acqua che riempie la nave ‘in verticale’), e dettagli che fanno la differenza (la schiuma sul bagnasciuga, il petrolio in acqua, un soldato che si dà per vinto e si abbandona alle acque del mare).

Forse il senso di un film come Dunkirk sta tra due personaggi, il comandante Bolton interpretato da Kenneth Branagh e il soldato senza nome di Murphy. Il personaggio morale e il personaggio traumatizzato dagli orrori, e le cui scelte sono forzate dagli eventi che ha vissuto. E proprio rispetto al personaggio di Murphy un altro giovane personaggio fa una delle scelte più inaspettate e, appunto, morali del film. Per Nolan, il regista ‘razionalista,’ è sempre e comunque una questione di empatia, di sentimenti. We shall never surrender: solo così si può sperare di fermare il ticchettio del tempo.

Dunkirk esce in sala il 31 agosto 2017. Qui la nostra recensione.