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Venezia 2017, Foxtrot di Samuel Maoz: Recensione in Anteprima

Un dramma bellico che si fa famigliare tra il metafisico e il grottesco. Applausi a Venezia 74 per Foxtrot di Samuel Maoz.

pubblicato 2 Settembre 2017 aggiornato 28 Agosto 2020 02:42

Otto anni dopo il trionfo di Lebanon, Leone d’Oro nel 2009, l’israeliano Samuel Maoz torna al Lido con Foxtrot, schizofrenica opera seconda dagli echi vagamente felliniani che ha raccolto sentiti applausi al termine della proiezione ufficiale con la stampa. Una pellicola in 3 atti che prende immediatamente vita con un dramma: l’annuncio del decesso di un figlio ai propri genitori.

L’esistenza di Michael e Dafna viene di fatto sconvolta. Se la donna viene sedata con dei tranquillanti dagli ufficiali dell’esercito, l’uomo vive la notizia con crescente rabbia, fino a quando un’incredibile comunicazione non giunge inattesa in casa…

E’ un film a più facce, questo Foxtrot targato Maoz, autore di una sceneggiatura che si fa parabola filosofica attraverso il rapporto a distanza tra un padre e un figlio. Due entità che incrociano i propri destini nel corso di una pellicola che non è mai quel che sembra, tra voluta ironia, smaccata drammaticità, intermezzi animati in salsa erotica e improvvisi passi di danza nel bel mezzo del nulla. Un ballo, il foxtrot, in cui non a caso si torna sempre al punto di partenza, ovunque voi siate andati nel mentre.

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Maoz si concentra sugli sguardi dei suoi protagonisti inseguendoli nel dolore, nella noia, nella compassione, nella rabbia, nella paura, nell’amore. Un trionfo di idee, per il regista israeliano, autore di un’opera di difficile classificazione perché in grado di mutare più e più volte nel corso del suo svolgimento.

Registicamente impeccabile, con momenti di grandissimo cinema tanto visionario quanto grottesco, Foxtrot vive di metafore alternando lacrime e risate (con un cammello in grado di racchiudere entrambe), tra elaborazione del lutto e casualità, (in)dimenticati aneddoti dal passato e indelebili ricordi bellici. Non a caso lo stesso Maoz prese parte all’invasione di Israele in Libano, nel 1982. All’epoca soldato appena 20enne, il regista è rimasto evidentemente segnato da un’adolescenza militare prima raccontata nell’acclamato Lebanon ed ora nuovamente ripresa con questa opera seconda, che vede quattro giovani soldati annoiati co-protagonisti.

Viaggiando liberamente tra spazio e tempo Maoz spiazza, con uno stile avvolgente, elegante, mai scontato ed uno sguardo ancor più affinato, rispetto all’esordio del 2009. Eccellente nella gestione dell’emozioni Lior Ashkenazi, padre travolto dalla perdita di un figlio, così come la splendida Sarah Adler, mamma che fatica a perdonare l’amaro destino a cui è andata incontro la sua famiglia, e il giovane Yonatan Shiray, 20enne più vicino alla penna da disegno che al fucile, purtroppo per lui imbracciato giorno e notte in uno sperduto posto di blocco.

Intenso e originale nella sua struttura, con una sceneggiatura che tiene meravigliosamente persino dinanzi a cotante stranezze, Foxtrot potrebbe vedere Maoz trionfare per la 2° volta al Lido, per poi volare agli Oscar come miglior film straniero. L’undicesima eventuale nomination per Israele, sfortunato primatista tra i Paesi più candidati ma mai usciti vincitori.

[rating title=”Voto di Federico” value=”8″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Antonio” value=”8″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Gabriele” value=”6″ layout=”left”]

Foxtrot (Israele, Germania, Francia, Svizzera, drammatico, 2017) di Samuel Maoz; con Lior Ashkenazi, Sarah Adler, Yonatan Shiray – In Concorso