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The Happy Prince: Recensione in Anteprima

Dal 12 aprile al cinema, l’omaggio definitivo di Rupert Everett ad Oscar Wilde. The Happy Prince.

pubblicato 11 Aprile 2018 aggiornato 27 Agosto 2020 21:24

Ci sono voluti più di 10 anni, prima che Rupert Everett riuscisse a portare in sala il ‘suo’ Oscar Wilde. Da lui sceneggiato, interpretato e diretto, The Happy Prince segna l’esordio alla regia di un 58enne che dopo aver fatto coming out, negli anni ’90, è andato incontro ad un clamoroso rifiuto hollywoodiano.

Una carriera compromessa (per non dire finita) a causa della sua dichiarata omosessualità, quella del divo britannico, che si è di fatto scritto su misura il ruolo di una vita, trovandosi inoltre quasi obbligato a dirigersi perché nessuno dei registi da lui interpellati aveva avallato il progetto. E il risultato, va detto, è sorprendentemente positivo.

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Everett, 25 anni fa indimenticato Dellamorte Dellamore per Michele Soavi, è un cultore di Wilde. Ha letto tutto quel che ha scritto, lettere private comprese, e l’ha più volte adattato in teatro. Questo biopic sugli ultimi tragici anni dello scrittore e poeta irlandese è un autentico e sentito omaggio nei confronti di un uomo che in pochi anni, a fine ‘800, passò dall’acclamazione popolare alla gogna pubblica solo e soltanto perché gay. L’uomo più famoso di Londra, idolatrato da una società intera, crocifisso in piazza.

Una via crucis, quella disegnata dal regista/protagonista, che ci mostra con commovente malinconia il declino di un uomo umiliato, condannato e dimenticato perché omosessuale. Sbattuto in galera per due anni, Wilde venne costretto a lavorare sei ore al giorno ad un mulino a ruota. Privato di qualsiasi diritto, conobbe fame, insonnia e malattia. Qui, in queste anguste celle e senza neanche un materasso dove dormire, scrisse il celebre De Profundis, lettera che spedì al suo amante Alfred Douglas. Attraverso un marcato uso del montaggio, che vede Wilde tra passato e presente, Everett si concentra sulla ‘resurrezione’ del suo protagonista, rinato dopo l’esperienza carceraria. Povero, senza più un soldo in tasca, una moglie che lo detesta, due figli che mai più ha visto, un pubblico che lo guarda ora con disgusto dopo averlo travolto di fiori e applausi e pochissimi amici, Oscar si barcamena tra lo storico amato Douglas (Colin Morgan), con cui fugge a Napoli, l’amico Reggie Turner (Colin Firth), il fedele Robbie Ross (Edwin Thomas), innamorato ma da lui mai esplicitamente ricambiato, e due ragazzini di strada che pendono dalle sue labbra mentre lo ascoltano raccontare fiabe. Dai teatri stracolmi del West End alle pensioni scadenti di Parigi, passando per le fatiscenti case del sud Italia.

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The Happy Prince, co-prodotto dall’italiana Palomar, poggia le proprie fondamenta sul volto sciatto, slabbrato e appesantito di un Rupert quasi irriconoscibile. Un uomo distrutto dalla vita e dall’odio altrui, stritolato dai ricordi passati, dai rimorsi e dal proprio smisurato ego. Un Wilde così mai rappresentato, perché troppo spesso dimenticato nella sua agonia finale. Cristologico nelle sue esplicite metafore, The Happy Prince trasuda amore nei confronti del suo protagonista, Wilde per l’appunto, rimarcando l’insensatezza e la pericolosità di quell’omofobia ancora oggi, 118 anni dopo la morte del poeta, all’ordine del giorno.

Dal punto di vista registico Everett dimostra eleganza e un’attenzione particolare nei confronti della messa in scena, con Giovanni Casalnuovo e Maurizio Millenotti ai costumi, Luca Mazzoccoli al trucco e Francesco Pegoretti al parrucco. Calda e avvolgente la fotografia di John Conroy, che Rupert ritroverà nella serie tv tratta da Il nome della Rosa di Umberto Eco, con Nicolas Gaster chiamato a montare di fino i tanti e a tratti impavidi salti temporali, coraggiosamente pensati in fase di scrittura.

Vero è che con il passare dei minuti la pellicola vira verso il dramma romantico, perdendo quella folgorante malinconia che inizialmente travolge lo spettatore, ma The Happy Prince non cede mai al facile compromesso, seguendo la linea dettata da un autore mai tanto ispirato e coinvolto. Chiara, e riuscita, anche la marcata differenza nella rappresentazione dell’omosessualità tra nord e sud Europa, con Napoli capitale di libertà omoerotica se paragonata a quella Londra trasgressiva nei salotti ma repressa e ipocrita nelle piazze.

Una commossa e decadente celebrazione di un’artista ‘perdonato’ dal Regno Unito solo nel 2017, quando la Regina Elisabetta II ha ‘graziato’ gli oltre 75.000 omosessuali condannati fino alla fine degli anni ’60 del secolo scorso, tra i quali proprio Wilde e Alan Turing. Fare di più, considerando l’assoluta inesperienza registica, era forse impossibile da chiedere, al rinato Rupert, come l’alter-ego Oscar resuscitato al termine di una ‘passione’ troppo a lungo, e ignobilmente, durata.

[rating title=”Voto di Federico” value=”7″ layout=”left”]

The Happy Prince (Uk, Francia, 2018, biopic) di Rupert Everett; con Rupert Everett, Colin Firth, Colin Morgan, Edwin Thomas, Emily Watson, Tom Wilkinson, Béatrice Dalle, John Standing, Edward Fox, Miranda Richardson, Daniel Weyman, André Penvern – uscita giovedì 12 aprile 2018.

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