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LongTake Interactive Film Festival a Milano: al via domani la seconda edizione

Tra passato e presente, si rinnova per il secondo anno consecutivo l’appuntamento milanese con il LongTake Interactive Film Festival

pubblicato 19 Giugno 2018 aggiornato 27 Agosto 2020 19:10

Giunto alla seconda edizione, il perciò giovanissimo LongTake Interactive Film Festival è ai nastri di partenza. Da domani, 20 giugno, fino a domenica 24 si tiene una cinque giorni ricca di film, appuntamenti e omaggi. La cornice è quella prettamente milanese dello Spazio Oberdan, nei pressi di Porta Venezia. Nello specifico, di cosa si tratta?

Anzitutto sguardo al Concorso, otto film in tutto, e di rilievo, tra cui Cell Block 99 – Nessuno può fermarmi di S.Craig Zahler, Storia di un fantasma di David Lowery, American Honey di Andrea Arnold e Zama di Lucrecia Martel. Ospite d’eccezione Luga Bigazzi, uno dei direttori della fotografia più attivi e rinomati del nostro cinema, che da anni collabora, tra gli altri, con Paolo Sorrentino. Spazio anche ai film scelti dal pubblico, in omaggio a maestri come Miloš Forman a pochi mesi dalla scomparsa, Ingmar Bergman per via del centenario della nascita, ed a Isao Takahata, anch’egli venuto a mancare di recente.

Ad aprire l’evento, domani sera alle 21, sarà la proiezione de Il vento (The Wind,1928) di Victor Sjöström, per i novant’anni del film. A chiudere il Festival, domenica 24 giugno alle 21:00, sarà invece La donna che visse due volte (Vertigo, 1958) di Alfred Hitchcock in pellicola 35 mm, in versione originale con sottotitoli in italiano. Di seguito tutti i titoli in Concorso, con relativa sinossi.

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CONCORSO

Cell Block 99 – Nessuno può fermarmi (Brawl in Cell Block 99, 2017) di S.Craig Zahler
Bradley Thomas (Vince Vaughn) viene licenziato ed è a un passo dal fallimento matrimoniale. In cerca di denaro, accetta un lavoro sporco per conto di una vecchia conoscenza, ma qualcosa va storto e la sua corsa finisce in galera: qui rimarrà intrappolato in un vortice di brutalità senza fine. Dal regista di Bone Tomahawk, Cell Block 99 ha scosso l’ultima Mostra del cinema di Venezia, dove era stato presentato come “uno dei film più violenti degli ultimi anni”:prison movie folle e scanzonato, è stato in grado di mettere a dura prova lo stomaco degli spettatori. Le scene destinate a diventare cult non si contano e il fascino dei personaggi (un Vince Vaughn luciferino e mai così arrabbiato, accompagnato dalle icone Don Johnson e Udo Kier) lo rende uno dei film irrinunciabili dell’annata cinematografica 2017.

Raw – una cruda verità (Grave, 2016) di Julia Ducornau
Il film che ha sconvolto i Festival di Cannes e di Toronto: Raw – Una cruda verità ha come protagonista una timida adolescente, vegetariana come tutta la sua famiglia, che si è appena iscritta alla facoltà di veterinaria. Quando assaggerà la carne per la prima volta, le conseguenze del suo gesto saranno imprevedibili. Uno degli horror più intelligenti e osannati dalla critica negli ultimi anni, Raw – Una cruda verità è una pellicola fortemente politica e capace di proporre riflessioni di grande spessore. Dopo aver vinto il premio FIPRESCI all’interno della Semaine de la Critique del Festival di Cannes 2016, il film ha destato scandalo al Festival di Toronto, dove alcuni spettatori hanno abbandonato la sala o sono svenuti nel corso della proiezione, poiché inorriditi dall’atrocità di alcune scene. Nessuna violenza gratuita, tuttavia: tutte le sequenze sono una profonda metafora dei numerosi spunti offerti da questo imperdibile lungometraggio scritto e diretto dalla regista francese Julia Ducornau.

I racconti dell’orso (2015) di Samuele Sestieri e Olmo Amato
Una bambina sogna: un monaco meccanico insegue uno strano omino rosso attraverso diversi paesaggi naturali in un mondo magico e desolato, tra città in disarmo e terre deserte. Quando i due trovano un orsacchiotto di peluche rotto, si alleano nel tentativo di ripararlo. Esordio alla regia dei due giovani registi romani Samuele Sestieri e Olmo Amato, I racconti dell’orso è un curioso, piccolo film dalle tonalità naïf che, a partire da un viaggio realizzato in terra scandinava dai due autori, dà vita a una sorta di favola straniante e fanciullesca, imberbe e coraggiosa, sospesa tra sogno ed evocazione, tra spiritualità accecante e mistero indecifrabile. Finanziato attraverso crowdfunding, I racconti dell’Orso è, nel panorama del cinema italiano contemporaneo, un vero e proprio “ufo” che riempie gli occhi di fantasia e sperimentalismo. Un film fiabesco e giocoso, al contempo infantile e profondo, alieno e umanissimo.

American Honey (2016) di Andrea Arnold
Vincitore del Premio della Giuria al Festival di Cannes 2016. Con uno stile frenetico e graffiante, equamente diviso tra amori passionali, feste notturne e tafferugli, l’acclamata regista britannica Andrea Arnold racconta la storia di Star, un’adolescente americana dalla vita poco regolare, che un giorno si imbatte in un gruppo di ragazzi altrettanto precari e randagi che battono il Midwest americano palmo a palmo vendendo riviste. Scatterà la scintilla tra Star e il più attivo del gruppo, interpretato da Shia LaBeouf. Un’opera potentissima e fluviale, generosa e travolgente, ma anche una viscerale, epidermica immersione suburbana nei meandri del sogno americano, in ciò che ne rimane, nei fuochi fatui che investono la giovinezza e le periferie dell’America di oggi e di ieri. Una riflessione schietta e spietata sugli Stati Uniti contemporanei, sui loro luoghi desolati frequentati da giovani privi di qualsiasi bussola e sulla facile trappola di una vita senza responsabilità, in cui poter godere di ogni giorno come se fosse l’ultimo.

L’empire de la perfection (2018) di Julien Faraut
Molti appassionati di tennis ricordano la finale degli Open di Francia del 1984, quando John McEnroe e Ivan Lendl si sfidarono in un match straordinariamente appassionante ed estenuante. Nascosto tra il pubblico di quella gara, vi era anche Gil de Kermadec, un cineoperatore che ha ripreso l’intero match concentrando le sue macchine da presa su John McEnroe. A distanza di anni, Julien Faraut ha messo mano al materiale firmando un documentario che è un omaggio appassionato e sincero al cinema e al tennis. L’empire de la perfection immerge il pubblico in un viaggio costituito da immagini sublimi e magiche, movimenti sinuosi e perfetti in grado di restituire la bellezza di uno sport e di un’icona senza tempo. Presentato all’ultima Berlinale. La voce narrante è di Mathieu Amalric.

Death in Sarajevo (Mort à Sarajevo, 2016) di Danis Tanović
Vincitore del Gran premio della Giuria alla Berlinale 2016, Death in Sarajevo è un lungometraggio folgorante, diretto con mano esperta e sicura da Danis Tanović. Sovrapponendo teatro e cinema, il regista dà vita a un vorticoso thriller capace di (ri)leggere la Storia. Sarajevo, 28 giugno 2014: nel giorno del centenario dell’attentato che scatenò la Prima guerra mondiale, il lussuoso Hotel Europa deve ospitare una delegazione di diplomatici e politici arrivati in città per commemorare lo storico evento. Il film cala lo spettatore in un parallelismo storico di notevole fascino, attraverso un gioco al massacro che sancisce la “morte dell’Europa”, in un mondo dove il ricordo del passato e il presente sono spesso filtrati dagli schermi digitali.

Zama (2017) di Lucrecia Martel
Nel XVII secolo l’ufficiale sudamericano Don Diego Zama (Daniel Giménez Cacho), per volere della Corona Spagnola, si ritrova confinato in Paraguay. Vive isolato dal resto del mondo, lontano dagli affetti, a caccia di una promozione che tarda ad arrivare: per mettere fine a quella che è a conti fatti una prigionia forzata, Zama si avventurerà in una pericolosa missione nelle terre abitate dagli indiani. Lucrecia Martel, la regista de La Ciénaga (2001) e La niña santa (2004), racconta di una stasi vissuta in prima persona in questo dramma coloniale dai contorni misteriosi ed elusivi e permeato da un disarmante senso di impotenza, in cui le pulsioni del protagonista si inabissano nei meandri di una messa in scena rigorosa, minuziosa, tutta in sottrazione. Un film dal tono realistico ma dalle implicazioni illusorie, quasi oniriche, che guarda alla lezione di maestri come Manoel De Oliveira e Raoul Ruiz. Prodotto da Pedro Almodóvar, Gael García Bernal e Danny Glover.

Storia di un fantasma (A Ghost Story, 2017) di David Lowery
Dopo essere rimasto vittima di un incidente automobilistico, un uomo (Casey Affleck) fa ritorno come fantasma nella casa in cui ha abitato, provando a instaurare una nuova connessione con la sua amata compagna (Rooney Mara). David Lowery lavora nuovamente con la coppia Affleck-Mara dopo Senza santi in paradiso e firma un lungometraggio orgogliosamente indipendente, che punta in alto e affronta in maniera originale e coraggiosa il tema dell’elaborazione del lutto, dell’universo dei fantasmi e della ciclicità dell’esistenza. Una sorta di ghost story ai tempi di Instagram, esistenziale e seducente, che azzarda un mélo impossibile facendolo roteare intorno a una storia, indissolubile e universale, di spettri e di sentimenti: ogni storia d’amore è una storia di fantasmi.