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Venezia 2018: Il Primo Uomo, la recensione del film di Damien Chazelle

Sentiti applausi all’anteprima mondiale di First Man, nuovo attesissimo film del regista di La La Land.

pubblicato 29 Agosto 2018 aggiornato 27 Agosto 2020 17:07

Due anni dopo la trionfale apertura di La La Land, Damien Chazelle, più giovane regista premio Oscar della Storia, e Ryan Gosling sono tornati alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia per inaugurare anche la 75esima edizione con l’atteso Il Primo Uomo, intimo e spettacolare resoconto dell’inimmaginabile viaggio sulla Luna compiuto dall’Apollo 11 guidata da Neil Armstrong il 20 luglio del 1969.

Tratto da “First Man: The Life of Neil A. Armstrong” di James R. Hansen, Il Primo Uomo si concentra sugli anni che precedettero lo storico allunaggio, seguendo passo passo la figura del poco più che 30enne Armstrong, padre di tre figli, marito, ufficiale nella United States Navy, pilota collaudatore presso il National Advisory Committee for Aeronautics ma soprattutto astronauta. Entrato nella Nasa nel 1962, Neil ha i lineamenti di un Ryan Gosling algido, introverso e taciturno, dagli occhi sognanti rivolti verso il cielo, genio dei numeri e perfezionista, riservato e interiormente combattuto. L’anno prima, nel 1961, Armstrong e la moglie Janet Elizabeth Shearo, interpretata da una eccelsa Claire Foy, piansero la morte della figlia Karen, deceduta a causa della polmonite dopo che le era stato diagnosticato un tumore maligno nella parte mediana del tronco encefalico.

Chazelle, interessato non solo all’epicità della missione bensì anche all’aspetto più smaccatamente famigliare dell’intera vicenda, tramuta il viaggio spaziale di Neil in una lunga e dolorosa elaborazione paterna del lutto, da metabolizzare a 384.400 km dalla Terra. Prodotto da Steven Spielberg e sceneggiato da Josh Singer, premio Oscar grazie a Il Caso Spotlight, First Man esplicita tanto i sacrifici quanto i costi, economici ed umani, che la folle missione dell’allunaggio comportò.

Miliardi di dollari spesi e non pochi pionieri spaziali deceduti, cullando il sogno di un’avventura semplicemente folle. Quel che affascina, ne Il Primo Uomo, è il perfettamente rappresentato senso del pericolo e di assurdità dell’impresa cavalcata dal governo americano, chiamato a battere sul tempo gli odiati russi nella conquista dello Spazio. Dietro il leggendario sbarco, da tutti conosciuto, si nascondono anni di fallimenti, di indicibili fatiche e di uomini che hanno accettato la più che probabile morte pur di intraprendere un’avventura verso l’ignoto mai visto prima.

Abbandonate le romantiche e iconiche coreografie di La La Land, così come il frenetico montaggio ‘jazz’ di Whiplash, Chazelle cambia completamente registro e realizza il suo film più ‘classico’, ma visivamente solido come una roccia lunare, e al tempo stesso intimamente grandioso, suddiviso tra lo Spazio infinito e la ristrettezza di una qualsiasi cucina americana. Il rapporto tra Neil e sua moglie, fatto di silenzi, flebili gesti d’amore, reciproco rispetto e dolori faticosamente digeriti, si fa centrale, mentre Armstrong e i suoi impavidi colleghi sperimentano sulla propria pelle tentativi di decollo e di atterraggio a bordo di improbabili capsule costruite con lamiere e bulloni. Lavatrici lunari dai rumori sinistri e dalla tecnologia analogica, che Chazelle ammira con fare quasi feticista. Una missione letteralmente suicida, per questi condannati a morte con la tuta spaziale, ideata e cavalcata per condurre l’umanità intera verso un orizzonte sconosciuto.

Eccellente la fotografia di Linus Sandgren, già premio Oscar per La La Land, con il fidato Justin Hurwitz, due volte premio Oscar per il musical del 2016, di nuovo al fianco dell’amico regista ma apparentemente incapace di scrollarsi di dosso le celebri musiche del film con Emma Stone e Ryan Gosling (troppe le assonanze). Quest’ultimo, sulle cui spalle poggia l’intera operazione, lavora perfettamente di sottrazione nell’esplicitare l’incomunicabilità espressiva, e non solo, di colui che è passato alla Storia come il primo uomo ad aver messo piede sulla Luna. La regale Foy, esplosa grazie alla serie Netflix The Crown, tiene eccezionalmente il passo nel dover gestire un tale ambizioso sognatore, scrutandolo con gli occhi pieni di ammirazione e terrore di una moglie innamorata e di una madre protettiva, di una donna decisa e autoritaria. Come già avvenuto in passato (Oscar per J. K. Simmons ed Emma Stone), Chazelle dirige magistralmente i suoi protagonisti osservandoli come se fosse un invisibile testimone, con fare quasi documentaristico, realizzando un film tecnicamente impeccabile (da rimarcare il lavoro sul sonoro) ed emotivamente potente, anche se trattenuto nell’ostentazione della commozione, fatto di eroi dai contorni semplicemente umani. Uomini (e donne) ancor prima che astronauti (e mogli).

Enfatico ma senza mai strabordare (se non nel finale, così sfacciatamente e banalmente simbolico nel dover chiudere una parabola), Il Primo Uomo ribadisce le variegate capacità registiche di un 33enne che a tempo di record ha raggiunto una tale maturità da potersi permettere di raccontare la più epica missione della Storia dell’Uomo, rendendola credibile e spettacolare, tormentata e drammaticamente spaventosa, intima ed esaltante.

[rating title=”Voto di Federico” value=”7.5″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Antonio” value=”6.5″ layout=”left”]

Il Primo Uomo (First Man di Damien Chazelle; con Ryan Gosling, Jason Clarke, Claire Foy, Kyle Chandler, Corey Stoll, Ciaran Hinds, Christopher Abbott, Patrick Fugit, Lukas Haas – dal 31 ottobre al cinema.