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Soldado: recensione in anteprima del film di Stefano Sollima

Un sequel da principio forzato che invece si pone in continuità con Sicario, Soldado è opera liminale a più livelli, speculando sul concetto di confine ed allargandolo

pubblicato 13 Settembre 2018 aggiornato 27 Agosto 2020 16:38

Storia di confine, o per meglio dire «confini», il primo Sicario non doveva ancora scontrarsi con una tematica sì esistente, sì pressante, ma non al centro di uno pseudo-dibattito come lo è diventato da fine 2016 in poi. Soldado perciò, come il predecessore, opera nell’ambito di questo quadro, in cui, di nuovo, a farla da padrone è lo sfumare la linea che separa i buoni dai cattivi; per un confine reale, tangibile, quello politico/geografico, ve n’è uno che non si coglie nemmeno sulla carta, ossia quello morale.

Lotta tra cartelli, indotta, pilotata, ché è solo un pretesto, un appiglio per raccontare un’altra storia ancora, sulla quale già il lavoro Villeneuve si era affacciato, lasciandolo però lì, siccome i riferimenti erano altri, il fulcro nel personaggio di Emily Blunt, ed in certi contesti meglio sempre non sovraccaricare. In Sicario era l’inadeguatezza, le ricadute su un’agente donna dell’FBI nel barcamenarsi all’interno di un mondo ostile per chiunque, a maggior ragione per lei, Kate (la Blunt appunto), consapevole, senz’altro, ma fino a un certo punto. Lei quella vitaccia in fondo se l’è scelta, anche se simili scenari mica puoi metterli in contro; cosa dire tuttavia di quegli altri che un ambiente del genere lo subiscono loro malgrado?

Parliamo dei giovani, ragazzi e ragazze a malapena adolescenti che hanno la ventura di nascere in un determinato luogo, regolato da determinate dinamiche. Come già ravvisato, pure il prequel di questo Soldado accennava qualcosa: se non altro, bastassero le sequenze conclusive, che hanno per protagonisti proprio dei ragazzini, uno in particolare. Nel sequel diretto da Stefano Sollima e scritto da Taylor Sheridan tale componente viene maggiormente approfondita, quanto basta per costruirci sopra un’altra storia possibile, un arco narrativo che c’illumina, come altri film hanno fatto, sullo stato delle cose, partendo da un’altra prospettiva.

Parte della bravura di Sheridan sta nel rifuggire le sparate semplici, quelle sentenze senz’appello su un dato fenomeno o su dei personaggi che spesso e volentieri, specie ad Hollywood, ci vengono messi davanti con una faciloneria disarmante. Nessuno viene giustificato ma neanche bacchettato: i racconti di questo sceneggiatore partono dal dato di fatto e lo esplorano, per quanto possibile alla luce delle esigenze di un thriller di due ore. Così è in Soldado, che è un ritratto duro, pesante circa un microcosmo specifico, che coinvolge non solo una branca della criminalità: sia esso lo smercio di droga o il traffico di persone tra il Messico e gli USA, la radice è la stessa, sebbene in queste forme, sembra confermarci il film, la si possa ritrovare solo ed esclusivamente in quell’area.

C’è Isabela (Isabela Moner), la figlia di Reyes, quest’ultimo a capo di un cartello; e poi c’è Miguel (Elijah Rodriguez), aspirante coyote, ossia coloro che vengono ingaggiati dalla malavita per accompagnare gli immigrati oltre il confine. Il segmento trattato in Soldado riporta la parabola che segna il passaggio di questi due ragazzini, in una sorta di coming of age atipico, per cui li si prende “innocenti”, ancora alle prese con quelle fattispecie tipiche della loro età, per poi lasciarli in panni totalmente diversi o quasi. La vicenda, insomma, è la cronaca ridotta di questo step, che si sostanzia appunto in questo sconfinare dei due, da una fase all’altra della loro vita anziché da un Paese a un altro.

Le loro peripezie rimangono sullo sfondo, eppure sono centrali, anche in ottica narrativa, non solo in relazione ai temi o ai sentimenti evocati. Si era scettici su questo sequel, poiché sembrava davvero che Sicario bastasse a sé stesso, che quel brutale percorso che porta Gillick (Benicio Del Toro) a trovare soddisfazione non solo fosse sufficiente ma che addirittura andare a riprenderlo, quel personaggio, sarebbe stato deleterio. Niente di tutto questo, visto che Soldado si regge sulle proprie gambe, ponendosi al contempo come variante ma in continuità con chi l’ha preceduto.

Si potrebbe ravvisare forse un certo schematismo nell’affondare i denti in talune tematiche che non potevano essere sviscerate in questa sede, né sinceramente se ne sente il bisogno. Si punta più all’azione, ad un tipo di spettacolo che non si risolve mai nella confusione, nella congestione di elementi posti a casaccio, anche in questo recuperando e preservando quel tono minimalista che in fondo impreziosisce Sicario. Sollima, in tal senso, si dimostra un affidabile traghettatore; al primo lavoro importante fuori dall’Italia ha assimilato i tempi e i toni di questo genere di produzioni, a conferma del respiro internazionale al quale aspiravano già i suoi progetti “italiani”.

Il resto lo fanno un’atmosfera implacabile, merito pure dell’ottima fotografia del veterano Dariusz Wolski, ed un Del Toro ancora una volta appropriato. Insomma, Soldado è stato in buone mani sin dall’inizio, solo che è come se avessimo preferito non accorgercene. È bello sbagliare, bello essere contraddetti se i risultati sono questi, ossia un thriller materico, fatto di strati apposti l’uno sopra l’altro mediante quell’artigianalità che è sempre piacevole cogliere, senza che ci venga imposta. Lasciare che a chiudere sia proprio Jóhann Jóhannsson, infine, ci pare quasi una delicatezza che ha però parecchio senso.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”7.5″ layout=”left”]

Soldado (Sicario: Day of the Soldado, USA/Italia, 2018) di Stefano Sollima. Con Benicio Del Toro, Josh Brolin, Isabela Moner, Jeffrey Donovan, Catherine Keener, Manuel Garcia-Rulfo, Matthew Modine, Shea Whigham, Elijah Rodriguez, Howard Ferguson Jr., David Castaneda, Catherine Haun, Rob Franco e Chris Adams. Nelle nostre sale da giovedì 18 ottobre 2018.