Home Recensioni Zombie contro Zombie – One Cut of the Dead, recensione: l’esilarante making of di un horror che si fa commedia

Zombie contro Zombie – One Cut of the Dead, recensione: l’esilarante making of di un horror che si fa commedia

Non solo divertente e sagace, Zombie contro Zombie – One Cut of the Dead è persino un film importante, che alza l’asticella di un genere nel genere come nessun altro in questo periodo

pubblicato 30 Ottobre 2018 aggiornato 27 Agosto 2020 15:18

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Una troupe di poche persone, con mezzi da produzione a basso budget, sta girando un film a tema zombie presso una location particolare, isolata, una sorta di fabbrica abbandonata e immersa nel verde. Pronti via, il regista inveisce contro la protagonista, dicendole di non saper simulare la paura poiché in pratica è una brutta persona; l’altro, anch’egli protagonista, si prende una strigliata perché rema contro già dalle prove. Un manipolo d’improvvisati prestati all’Arte insomma, senonché la realtà è che quelli sono dei mestieranti prestati a qualcos’altro, ossia alla televisione.

Zombie contro Zombie – One Cut of the Dead si basa sostanzialmente su una sola, indovinata intuizione, attorno alla quale viene costruita ogni cosa. Ed è evidente che a suo modo sia un miracolo, a prescindere dai giudizi di valore: chi, a certi livelli, può permettersi di scoraggiare il pubblico a tal punto da sottoporlo ad un pessimo cortometraggio horror in pianosequenza, dedicandogli la prima mezz’ora e passa del proprio film? Nessuno, o per meglio dire, qualche indipendente che però rischia di restare entro una cerchia ristretta, tutto sommato angusta.

Shinichiro Ueda immagino a tal proposito non avesse ulteriori velleità, lui che ha girato questo film con l’equivalente di circa venticinquemila dollari, alle spalle un curriculum di produzioni modeste su questa falsa riga. Poi il caso esplode, in Giappone i numeri sono da capogiro, ed allora si apre la finestra internazionale, che trasforma il suo One Cut of the Dead in un vero e proprio caso. E tocca tornare all’intuizione di cui sopra, sorretta però da un lavoro mica da poco. Quel cortometraggio infatti, bruttino e stupidotto, ironico nel restituirci certi tentativi indipendenti rispetto al genere più bazzicato in quest’ambito, assume un altro spessore allorché il resto del film si preoccupa di illustrarci come si è arrivati a girarlo, partendo dalle premesse, fino alla realizzazione vera e propria.

Esatto, One Cut of the Dead è a conti fatti un making of. Un “dietro le quinte” di finzione, va da sé, intelligente, scritto con criterio, divertente, a tratti persino esilarante. In nuce, il concetto esiste da decenni, Fellini e Truffaut ci hanno tirato fuori due dei loro film migliori, ma questa è l’era dell’home video, dei DVD e Blu-Ray con contenuti speciali, che spesso finiscono con il rivelarsi più importanti del film stesso quando tocca decidere se acquistarli o meno. Ueda si limita ad esplorare le possibilità di un linguaggio meta nelle cui maglie si rischia facilmente di restare imbrigliati; non stavolta, non con questo film, che invece risponde bene a tale sollecitazione, ricostruendo uno spaccato in piena sintonia col suo tempo.

A far la differenza è appunto la scrittura, che dietro quasi ad ogni singolo passaggio del cortometraggio contempla un evento specifico che lo motivi. Operando insomma al contrario rispetto alla norma, il cortometraggio, ossia il prodotto finito, diventa lo spartito della sceneggiatura, non viceversa. Ecco l’intuizione, la trovata, che da sola, effettivamente, non sarebbe stata sufficiente. È bene dire allora che One Cut of the Dead è pure intriso di una comicità in alcuni casi spiccatamente nipponica: l’enfasi di certe uscite, i toni, le espressioni, sono per forza di cose riconducibili ad una cultura diversa, che non di rado trova divertenti cose che dalle nostre parti, per esempio, tendiamo a recepire tiepidamente nel migliore dei casi – al netto di uscite bizzarre, più e più volte ripetute, come «Esciòn!» e «Uan catto», che tendono a rimanere.

La sfida sta anche in questo, e va detto che il film di Ueda, a differenza di altri dal tenore simile, riesce a passare quasi indenne dal vaglio di certe barriere culturali, sempre in virtù dell’operazione di cui sopra, per cui nessun filtro è necessario. L’horror stesso non è che un pretesto, un gancio di cui servirsi per scherzarci su, edificandoci sopra una vera e propria commedia, che di demenziale in senso stretto ha davvero poco. E quello che c’è non è meno realistico, se vogliamo, dato che si limita tutt’al più a ricamare sopra certe dinamiche da set e pre-produzione per definizione sopra le righe, senza bisogno di inventare chissà cosa. Certo è che qualcosa la si vuole dire eccome, consapevolmente o meno, quando sullo schermo campeggiano i credits non alla fine ma a metà film, con tanto di «a film by Shinichiro Ueda».

One Cut of the Dead è l’ennesima dimostrazione che il problema della penuria di mezzi, o della loro modestia, può sempre essere arginato da una o più idee che, anziché alienarsi da questo dato di fatto, si rivelino commisurate proprio a ciò che si ha a disposizione. Christopher Nolan lo descrisse con la consueta sintesi anglosassone in quattro parole: «stick to your guns», ossia attieniti ai tuoi mezzi, lavora con e su quelli. E Ueda questo fa. Le limitazioni ci sono e sono evidenti, ma anziché nasconderle il giovane regista ce le mette in bella mostra, ironizzando, giocandoci, insomma trasformando un potenziale vizio in una virtù.

Per riuscirci si concentra sul linguaggio, senza aspirare a chissà quale rivoluzione, senza stravolgere alcunché, giusto iniettando nella sua scrittura quel briciolo di consapevolezza rispetto ai tempi; tempi in cui la discrezione è un lusso, e lo spettatore vuole sempre vedere cosa c’è dietro, come una cosa è stata fatta o è arrivata ad essere ciò che è, specie nell’Arte, qualunque sia la denominazione. Un circolo vizioso che One Cut of the Dead in fondo evoca persino nei titoli di coda, quando aggiunge un ulteriore livello, un’altra prospettiva, quella di un membro della troupe che con una GoPro riprende le riprese del dietro le quinte. Una spirale che oramai ha superato persino il postmoderno, e che permette al film di Ueda di porsi a buon diritto quale esempio emblematico di ciò che viene dopo, qualunque sarà la definizione che in futuro verrà data a questo fenomeno.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”8″ layout=”left”]

Zombie contro Zombie – One Cut of the Dead (Kamera o tomeru na!, Giappone, 2018) di Shinichiro Ueda. Con Hamatsu Takayuki, Mao, Shuhama Harumi, Nagaya Kazuaki, Hosoi Manabu ed Ichihara Hiroshi. Uscita evento nelle nostre sale, 7/8/9 novembre 2018.