Home Festa del Cinema di Roma Roma 2019, Viola Davis premio alla carriera: “non posso accontentarmi, io voglio tutto”

Roma 2019, Viola Davis premio alla carriera: “non posso accontentarmi, io voglio tutto”

Una lezione di cinema di un’ora per Viola Davis, mattatrice assoluta alla Festa del Cinema di Roma 2019.

pubblicato 26 Ottobre 2019 aggiornato 29 Luglio 2020 15:58

54enne vincitrice di un premio Oscar, un Golden Globe, un Emmy, un BAFTA e 5 SAG, Viola Davis è sbarcata nella Capitale al fianco del marito Julius Tennon per ritirare il premio alla Carriera nel corso della 14esima edizione della Festa del Cinema di Roma. La Davis ha incontrato il pubblico in una gremita sala Petrassi, regalando ai presenti uno degli incontri più interessanti, pieni di umanità, intelligenti, vibranti e appassionati della storia della manifestazione.

Un’ora di aneddoti e riflessioni sul cinema, sulla vita e sui diritti che hanno suscitato il meritato entusiasmo dei presenti, e di un emozionato Pierfrancesco Favino, suo fan, che ha avuto il piacere di premiarla. Tra tv, teatro e cinema, Viola ha confessato di amare soprattutto il secondo, perché “mi diverto di più sul palcoscenico, dove è iniziata la mia carriera. Ho studiato teatro, arte drammatica. Mi sono da subito innamorata del fatto che a teatro nessuno pensa agli incassi, al sex appeal, bensì all’esperienza umana. E questo mi piace. E’ la mia vita“.

La prima clip legata alla sua straordinaria ma tardiva carriera cinematografica ha riguardato Doubt, del 2008, film di John Patrick Shanley, con la Davis che sgomitò pur di ottenere quella parte che le ha cambiato l’esistenza.

Non c’è mai stata improvvisazione nel film. Abbiamo fatto 3 settimane e mezzo di prove, con Amy Adams e Philip Seymour Hoffman. Ho fatto il provino di mrs. Miller, c’erano 5 attrici che volevano quel ruolo. Eravamo tutte vestite uguali, e ad ogni provino delle altre sentivo gli applausi scroscianti, i complimenti. Poi sono entrata io e non riuscivo a crederci, perché avevo ottenuto quella parte. Doubt è stato tutto preparato come se fosse una rappresentazione teatrale, cosa rara nel mondo del cinema. Di solito arrivi sul set e giri. Questo è stato invece un processo. Meryl Streep, ad esempio, faceva la maglia, è un cosa che l’appassiona, faceva la calza durante le prove.

Proprio la Streep, a sorpresa, ha inviato una clip di congratulazioni per Viola, inondandola di apprezzamenti.

Viola è l’artista più incredibile con cui abbia mai lavorato. Ha un talento straordinario, ma al di là di questo le sue qualità come donna sono immense. Ha un’empatia enorme, un’eneriga, una forza che riesce a trasmettere a tutti. Sei un vero portento come artista, ma anche come donna, madre, sorella, moglie, figlia e per mia fortuna come amica. Sei la migliore, nessuno può metterlo in dubbio e siamo noi a dover ringraziare te. Grazie Viola per tutto quello che fai e che sei, congratulazione.

Viola ha poi ricordato August Wilson, autore di quel Barriere che l’ha riempita di soddisfazioni.

E’ stato importantissimo per me. C’è da dire che con noi persone di colore, anche quando si lavora sul palcoscenico, non si coglie mai la nostra patologia, lo studio dei tumori, la fonte dei tumori. E io parlo di patologia psicologica dei personaggi. Quando ci sono grandi film, quel che si vede sono degli studi precisi sui personaggi, cercare di capire cosa abbiano dentro, cosa siano. Tu sei lì con loro. Quando abbiamo a che fare con personaggi di colore, invece, raramente abbiamo a che fare questo. Spesso vediamo solo versioni annacquate, per compiacere. Troppo arrabbiati, troppo forti, troppo tutto, delle metafore e mai loro stessi. August Wilson, invece, ci rappresenta come persone. Non c’è apologia, e così deve essere il teatro. Bisognerebbe entrare a teatro e vedere se stessi. L’eredità più straordinaria di August è il fatto che ci ha consentito di parlare, e a chi lo critica perché si parla troppo rispondo “e quindi?”. Lui mi ha dato mio padre, mia madre, me stessa. In tutti i suoi personaggi, lui ci ha dato la vita.

Ragionamento centrale, quello del ‘black power’ in ambito recitativo in quel di Hollywood, che ovviamente si allaccia ai pochi registi di colore fino a poco tempo fa su piazza. Come Spike Lee. “E’ un dono poter far parte di un progetto con un regista di colore, che capisce la specificità culturale. Da artista, bisogna avere il coraggio di dire la verità. Ci sono persone che non ce l’hanno, che indossano delle maschere. Abbiamo una versione filtrata perché abbiamo paura di essere giudicati, e noi artisti dobbiamo subentrare a questi limiti, dando a voi una visione priva di filtri. Questo deve fare l’artista“.

A due anni appena la Davis venne arrestata insieme a sua madre, scesa in piazza per chiedere diritti.

Mia mamma mi disse, ‘Viola non siamo state arrestate, ci hanno portato in questa piccola cella’. Quando si è così piccoli si impara quanto sia importante essere pronti a difendere i propri diritti. E’ quello che ho imparato in quell’occasione. E’ sempre una lotta. Io sono diventata un’artista perché mi sono detta, ‘non posso fare un lavoro d’ufficio, arrivo sempre in ritardo e mi licenzieranno’. Volevo essere un’artista nera. Ma anche in questo lavoro è una lotta continua. Combatto per me stessa, per la mia voce. Il ruolo di Annalise Keating è stato una lotta in tutti i sensi, pensavo fosse un buon ruolo e poi quando mi ci son trovato dentro ho detto, ‘e adesso, che caz*o faccio’.

Impossibile non affrontare il problema Oscar So White, esploso anni or sono, quando il 90% dei votanti Academy era bianco. Da allora è stato riformato il sistema del voto e soprattutto dei votanti, ma qualcosa è davvero cambiato?

E’ riduttivo parlare di Me Too o dell’inclusione pensando solo all’Academy. E’ tutto bianco, tolto la NFL e l’NBA. Tutto il resto è bianco. I responsabili degli studios, i dirigenti, i film. Quanto film abbiamo visto con persone di colore negli anni? E i programmi tv, quante donne di colore si vedono? I critici sono bianchi, di solito, e maschi. Se guardiamo solo l’Academy non vediamo tutto il resto. Il potere concede nulla senza una domanda, e le strutture di potere negli Usa sono per lo più bianche e dominate dagli uomini. Dal punto di vista della mia professione, questa è una domanda complicata alla quale rispondere. Non so quanti siano i membri Academy, ma se il 93% fossero di colore e un unico film è stato fatto con persone di colore, cosa cambierebbe? Noi vogliamo lavorare, fare film che rispettino chi siamo. Vogliamo essere pagati esattamente quanto vengono pagati gli attori bianchi. Le cose stanno cambiando perché se ne parla, ma la strada è ancora lunga. Dico sempre a mia figlia, che ha 9 anni: ‘siamo solo il 12.5% della popolazione, ma non significa che vogliamo solo il 12.5% della torta’. Io ho sempre voluto tutto. Voglio il mondo, non voglio rimanere soltanto nella mia corsia. Tu vuoi tutto? Anche io voglio tutto. E’ tutto parte dall’opportunità, l’opportunità di realizzare film di qualità afroamericani.

Immancabile, poi, la polemica del momento lanciata da Martin Scorsese e alimentata da Francis Ford Coppola. I film Marvel sono dei parchi tematici?

Non saprei cosa dire. A me piacciono quei film. Un buon film della Marvel mi piace. Un buon DC Comics mi piace. Amo tutti i film di Scorsese. Einstein ha detto che l’immaginazione vale più della conoscenza, se io non avessi la fantasia che ho sarei ancora la povera Viola di Rhode Island che non era considerata attraente. Io potrei fuggire in un mondo senza fine, che posso creare, un mondo dove posso ridefinirmi. Ecco dove vive l’arte, in quel mondo immaginario. E’ un giardino dove si può giocare, il giardino di Dio, e nessuno deve decidere chi merita di esserci e chi no, cosa includerci e cosa no. Se si vuol far parte di questo luogo, deve essere possibile. Viviamo per questo motivo. C’è posto per tutto. Scorsese ha espresso la sua opinione, che ritengo valida, ma un buon film Marvel a me piace.

Non a caso la Davis ha preso parte a titoli come Suicide Squad, oltre a Widows di Steve McQueen, che l’ha vista maneggiare un’arma: “Io voglio fare tutto, anche gli action. Ci sono tanti diversi generi“. Dopo aver visto una clip di The Help, film che le ha dato la definitiva popolarità, Viola ha specificato come gestisce un personaggio, tra giusta distanza e totale identificazione.

Un personaggio va affrontato come se fossimo degli investigatori. La maggior parte della mia carriera non ha rispecchiato il mio potenziale. Solitamente facevo ruoli a disposizione, per persone come me. Ma se ho un personaggio interessante sento che devo entrare in quel personaggio, identificarmi con quel personaggio. La Rowling disse una volta che Harry Potter si è avvicinato a lei. Ecco un personaggio si deve presentare, ma tu devi poi indagare, tutti i fatti, le circostanze, legate a quel personaggio.

Una vera e propria lezione di cinema, conclusasi con una clip di Fences – Barriere, film diretto e interpretato da Denzel Washington che ha fatto vincere a Viola un Oscar, un Golden Globe, un Bafta, due sag e un Critics’ Choice Award. Un ruolo da lei fortemente voluto.

Fences l’ho interpretato a Broadway per mesi. E’ stato un ruolo perfetto. Era August Wilson, abbiamo girato con lo stesso cast teatrale, lavorare con Denzel, poi, è stato meraviglioso. Ci sono momenti, nel mondo del cinema, in cui ti dicono di fare tutto con toni leggeri, ma a me piace distinguere, perché ci sono momenti in cui devi combattere, devi reagire. Ricordo quando morì mio padre, ricordo l’urlo di mia madre, l’urlo di dolore. E ci sono momenti, sul set, in cui questo va riproposto. A volte si può esagerare anche quando cerchi di rimanere sottotono, e allora perché contenersi?

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