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Midway, recensione, lo spettacolare guscio vuoto di Roland Emmerich

Ricco cast per l’ultimo film di Roland Emmerich, che con Midway rievoca la nota battaglia nel Pacifico relativa alla Seconda Guerra Mondiale. Leggete la nostra recensione

pubblicato 13 Novembre 2019 aggiornato 29 Luglio 2020 15:38


(Clicca sull’immagine per guardare il trailer)

Molte delle ondate, dei fenomeni, che investono il cinema sono non di rado figli del proprio tempo. E quando non lo sono, si tratta magari di rielaborazioni, tentativi di aggrapparsi a certi elementi, per nostalgia o perché un determinato filone, che per un dato periodo si è dimostrato inadatto a tirare fuori certe cose, sia dovuto alla saturazione o all’usura, improvvisamente torna ad avere una sua utilità. Un processo non semplice, che può essere proposto e poi condotto solo da chi vede qualcosa che a tanti altri sfugge. Midway rientra in quel novero di film che appunto rimandano ad un altro periodo, tanto da poter dire che film così non se ne fanno più. A questo punto tocca appurare se Roland Emmerich sia o meno quel visionario che, nel far rivivere una stagione, c’illustra non solo il perché, ma in che termini tutto ciò abbia un senso oggi.

Parliamo di una pagina di Storia estremamente significativa, che ha deciso le sorti della battaglia nel Pacifico nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Ma siccome non intendo sostituirmi agli storici di professione, tanto sufficit. Basti sapere, per completezza, che questo evento fu la conseguenza dell’attacco a Pearl Harbour, in pratica la risposta degli USA. Un passaggio delicato, perciò, contrassegnato da atti di eroismo e genio militare non da poco, che ha contribuito a plasmare il mondo così per come lo conosciamo. Un trionfo di americanismo, incarnato non solo da certi uomini e certe azioni, ma soprattutto da quella incrollabile fiducia nella propria missione, nell’essere dalla parte giusta, consapevolezza che ha dato adito alle più grandi impresse così come alle peggiori catastrofi.

Insomma, oggi Emmerich ci vuole raccontare questo. Come mai? Di norma certe domande si potrebbero (in alcuni casi forse addirittura si dovrebbero) bypassare, eppure qui si rivelano ineludibili. Se, per dire, il regista tedesco avesse voluto raccontarci la tragedia di uno o più singoli dietro un accadimento di questa portata, attingendo perciò all’universalità di una condizione così estrema quale è quella del combattere e in generale vivere in guerra, Midway avrebbe avuto un impatto diverso, ma si sarebbe altresì trattato di un altro film. Il lavoro invece è un altro e conferma la dimensione di questo regista: bravo come pochi a dirigere scene d’azione su larga scala, di cui conosce i tempi e il ritmo; meno versato pressoché su tutti gli altri fronti.

A conti fatti Midway è la spettacolare telecronaca dell’attacco americano alle portaerei giapponesi, inframmezzato da alcuni inserti in cui certi dialoghi servono più a dare contesto, sempre in attesa dell’unica vera pietanza, che è appunto l’azione. Ed limitatamente a tale aspetto ha senz’altro i suoi meriti, perché quei frangenti, ancorché isolati, quasi slegati da tutto il resto, si vivono con una discreta intensità. La trascuratezza della scrittura, tuttavia, il suo essere così raffazzonata, limitandosi a proporre profili che ci dicono poco o nulla rispetto a quanto non emerga in superficie, azzoppano il film in un duplice senso: il primo è che, di per sé, nessuno di questi personaggi e delle micro-vicende che li coinvolgono, risultano davvero interessanti; il secondo è che, alla luce di quanto appena evidenziato, il soffermarsi su questa pagina di Storia sia allora tutt’al più un pretesto per elevare del materiale da cui non c’è granché da prendere – la qual cosa si pone come un difetto ulteriore, perché alla rievocazione si vuole affidare tutto ciò che manca al di là dello spettacolo. A poco serve il mostrarsi un po’ più equilibrati, se non addirittura rispettosi nei riguardi del nemico, i giapponesi, qui messi sul medesimo livello, tanto che il film si apre su una nota quasi amicale, il cordiale rapporto tra un americano e un giapponese; elemento, questo, che distingue Midway da operazioni simili risalenti ad altra epoca.

Sia chiaro, ché in tempi come questi è facile a contrariarsi: nessuno condanna lo spettacolo per lo spettacolo, sebbene s’ha da comprendere la scelta di orientarsi altrove, di avere insomma altre preferenze. Ma in un periodo storico che vede noi spettatori così abituati all’esibizione di certa forza bruta, dunque d’immagini cariche di computer grafica più o meno performante, insistere su tale tendenza non può che avere delle controindicazioni, in primis l’abitudine: un tempo certe produzioni miravano anche, se non soprattutto, a questo, ossia spingere un po’ più in là la soglia dello sguardo, il farci vedere cose che la maggior parte non era nemmeno in grado di pensare.

A fronte tuttavia di un immaginario così saturo, con certo cinema che non si limita più a prendere spunto, ma che va sempre più esasperando quel meccanismo che sta dietro alla dicitura «citazione», cosa dovremmo trattenere dall’ennesimo film che reitera tali immagini (il che è di per sé accettabile) senza però curarsi d’integrare altro quale che sia? Probabilmente non sarebbe del tutto corretto definire opere come Midway delle tech demo più elaborate e con un’impronta narrativa, ma di certo non ci si discosterebbe così tanto dalla verità. Una ricostruzione così artificiosamente documentaristica di pregi non può che averne pressoché nessuno, perché in fondo si tratta di meravigliosi gusci vuoti – belli insomma, nel senso di divertenti (almeno fino a un certo punto) ma nondimeno privi di ciò che più conta al loro interno. A poco servono le oltre due ore, dettate da un impeto vagamente epico che rischia semmai di remare contro.

Ed è come se, un tassello dopo l’altro, questa sempre più onnipervasiva tendenza all’immaterialità d’immagini (ri)costruite quasi da zero, se non proprio da zero, stesse tentando di far perdere consistenza al cinema, risucchiandolo verso questo stato dove la sua materia viene via via sempre meno. Mi rendo conto che in un mondo così polarizzato certe considerazioni possano suonare anti-aggiungete voi cosa. Tuttavia da questa parte nessuno è contrario all’intrattenimento per partito preso, alla gioia di darsi ad un film che non necessariamente impegni la nostra facoltà di riflessione all’inverosimile; ma è vero pure che non si può sistematicamente acconsentire ad una china che ci vuole meri consumatori d’immagini che conosciamo a tal punto d’averci nauseato, anche quando non ce ne rendiamo conto. Non è più interessante, se non addirittura lodevole, servirsi della spettacolarizzazione di qualsiasi cosa si presti ad essere spettacolarizzata per dirci pure qualcos’altro, per farci vedere (non solo pensare) certe fattispecie in un modo che non avremmo diversamente nemmeno preso in considerazione?

[rating title=”Voto di Antonio” value=”5″ layout=”left”]

Midway (USA, 2019) di Roland Emmerich. Con Ed Skrein, Patrick Wilson, Woody Harrelson, Luke Evans, Mandy Moore, Luke Kleintank, Dennis Quaid, Aaron Eckhart, Keean Johnson, Jake Manley, Darren Criss, Alexander Ludwig, Nick Jonas, Jake Weber, Cameron Brodeur, James Carpinello, Tadanobu Asano, Matthew MacCaull e Ellen Dubin. Nelle nostre sale da mercoledì 27 novembre 2019.