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I Am Mother: recensione e spiegazione finale

I Am Mother di Grant Sputore dimostra che c’è ancora vita, nel genere sci-fi.

pubblicato 14 Dicembre 2019 aggiornato 29 Luglio 2020 15:02

È un esordio alla regia che non lascia indifferenti, quello firmato dall’australiano Grant Sputore con I Am Mother, sci-fi originale Netflix dal taglio distopico che ci porta in un futuro segnato dall’estinzione di massa dell’umanità. Unico apparente umano in vita è un’adolescente, cresciuta da un droide materno all’interno di un bunker ipet-tecnologico sotterraneo. Impossibile uscire all’aria aperta, Madre e Figlia passano quasi due decenni in totale solitudine, quando dall’esterno, improvvisamente, piomba una donna, che farà esplodere il caos.

Co-prodotto e scritto da Michael Lloyd Green, con tanto di inclusione nell’ambitissima e celebre Black List di Hollywood del 2016, ovvero il listone delle migliori sceneggiature su piazza ancora non prodotte, I Am Mother è un thriller sci-fi ansiogeno e misterioso, nel suo sviluppo, che intelligentemente semina indizi senza mai esplicitarli, evitando fastidiosi spiegoni solitamente tipici di un certo tipo di cinema americano. Ma I Am Mother non guarda necessariamente alla spettacolarizzazione, anzi.

Potendo fuggire dalle dinamiche del box office, non avendo l’ansia degli incassi, Sputore e Lloyd Green hanno dato vita ad un fanta-minimal movie, quasi interamente ambientato in un unico spazio, freddo e claustrofobico, con appena tre personaggi al centro della scena. Un robot dalla voce dolce e materna, una ragazzina cresciuta in totale solitudine e un’estranea ferita, armata, che insinua il dubbio sulle reali condizioni presenti all’esterno della struttura. Il rapporto madre-figlia, centrale all’interno dell’opera, viene aggredito e messo improvvisamente in discussione, in un’escalation di eventi che con il passare dei minuti si fanno sempre più criptici e dalle molteplici letture.

Poco meno di un anno fa presentato in anteprima mondiale al Sundance Film Festival, I Am Mother guarda a classici del genere del passato come Alien, Terminator e Moon, grazie a quel robot realizzato dalla neozelandese Weta Workshop. Un’armatura di quasi 100 libbre indossata sul set da Luke Hawker, supervisore del progetto, ma con la voce di Rose Byrne.

Madre, come ci viene svelato sin dall’inizio, si trova all’interno di quel bunker per portare a termine un’unica missione: ripopolare la Terra, ridare vita alla razza umana, addestrando uomini e donne che lei stessa dovrà far nascere e crescere, attingendo dai 16.000 embrioni che custodisce in laboratorio. Figlia, interpretata da Clara Rugaard, è il suo orgoglio. Intelligente, forte, scaltra, ma soprattutto in grado di prendere decisioni importanti, anche difficili, per il bene superiore. L’arrivo dell’estranea Donna, interpretata da Hilary Swank, sconvolge la giovane e fa emergere quella verità su Madre che fino a quel momento non aveva mai preso in considerazione. Ed è proprio nel finale che I Am Mother stupisce, perché travolto dagli eventi e dai non detti.

[accordion content=”SPOILER” title=”Spiegazione del Finale”]

Fuggita con Donna, Figlia scopre che l’umanità si è realmente estinta. Non esistono più esseri umani sul Pianeta, se non loro due e il fratellino che Madre ha appena fatto nascere. Torna così nel bunker per salvarlo, ma è qui che va in scena il confronto finale con colei che l’ha cresciuta. E’ stata proprio Madre, a capo di tutti i droidi del mondo, a causare l’estinzione dell’umanità intera, perché desiderosa di far ripartire il Pianeta da zero, da un Eden abitato da esseri umani perfetti, pacifici, inattaccabili. A quel punto Figlia, sconvolta, le chiede di consegnarle suo fratello appena nato, e di abbandonarli, perché ormai in grado di farcela senza la sua presenza. Madre, convinta dalle sue parole, accetta, facendosi sparare.

L’intero progetto di ripopolamento finisce così sulle spalle di Figlia, unico essere umano ancora vivo al mondo, insieme al piccolo che tiene tra le braccia. Questo perché Donna, rimasta fuori dal bunker, viene rintracciata proprio da Madre, che lascia intendere all’estranea una realtà fino a quel momento mai venuta a galla. E’ stata proprio lei, molto probabilmente, a crescerla in laboratorio. E sarà proprio lei, ora, ad ucciderla. Tutto questo, però, avviene dopo la morte di Madre, che potrebbe aver preso il comando di un altro droide all’esterno della struttura, per portare a compimento il suo piano, o forse tutto quel che vediamo è una scena parallela all’uccisione di Madre, in grado di essere in due posti differenti nello stesso istante, in quanto intelligenza onnicomprensiva, dall’alto della sua predominanza assoluta sul mondo.

Quesiti a cui Sputore e Lloyd Green non rispondono del tutto, lasciando a noi spettatori la possibilità di scelta, di costruzione di un finale dalle molteplici letture, intrigante e stratificato, grazie ad uno script che astutamente diffonde tracce, apparentemente impercettibili, su quanto accaduto in passato, tanto all’esterno del buker quanto all’interno. Il genocidio, la quantità di Figli cresciuti e uccisi da Madre, il suo diabolico piano di sterminio e di successiva rinascita dell’umanità, l’aver plasmato un’adolescente a sua immagine e somiglianza, in modo che potesse portare a compimento il progetto. Complessivamente, un’opera prima dall’indubbio fascino, mai scontata e in grado di gestire la complessità di una sceneggiatura a più livelli, che attinge dal genere per dargli ulteriore linfa vitale.

[rating title=”Voto di Federico” value=”7″ layout=”left”]

I Am Mother di Grant Sputore (Sci-fi, 2019) di Grant Sputore; con Clara Rugaard, Hilary Swank, Luke Hawker, Rose Byrne, Tahlia Sturzaker, Jacob Nolan – su Netflix