Home Recensioni Annecy 2020, Ginger’s Tale, recensione, un principe da salvare

Annecy 2020, Ginger’s Tale, recensione, un principe da salvare

Una strega, un vasaio ed un’aspirante pompiere nel racconto in salsa fiabesca di Konstantin Shchekin

pubblicato 22 Giugno 2020 aggiornato 29 Luglio 2020 10:33

Una strega, chiusa nella sua torre ai margini del paesino che le si staglia davanti, ha a disposizione un acciarino magico: basta una piccola fiamma per evocare un cane in armatura, il quale, girando attorno a colei che l’ha richiamato, lascia dietro di sé svariate monete d’oro. La procedura non è del tutto esente da pericoli, tanto che alla strega e al suo aiutante Ups accade di perdere questo acciarino, volato nello stagno che si trova sotto il castello. Anni dopo lo recupera un giovane, Potter, un vasaio con ambizioni da grande architetto; non appena capisce cos’ha tra le mani, la sua frustrazione metterà sé stesso e che gli sta attorno.

Ginger’s Tale tuttavia ha come protagonista, o quantomeno fulcro di questo racconto fiabesco, Ginger, una ragazzina coi capelli rossi dal cuore grande ma al contempo oltremodo maldestra. Nel tentativo di fare del bene, sempre in maniera del tutto disinteressata, la giovane non fa altro che combinare danno, attirando su di sé le ire degli abitanti del paesino, che vorrebbero semplicemente trascorrere in tranquillità le loro giornate.

Malgrado si tratti di una produzione russa, mi pare che, per ambientazione e rimandi, Ginger’s Tale abbia parecchio d’occidentale. Lungi dal sottoscritto sostituirsi a chi di certe cose se ne intende, ma, lingua a parte, è tutto molto familiare, dall’ambientazione al tratto dei disegni, piacevole oltre che, appunto, d’ispirazione europea – so che quest’ultimo appunto andrebbe sviluppato; per il momento basti dire che lo stile si discosta molto da certi stilemi orientali, per dirne uno, frutto di quella mediazione tra tecnologia e disegno a mano che nell’ultimo decennio soprattutto ha spopolato in ambito videoludico relativamente a svariate produzioni in 2D soprattutto.

Ritmo discreto, Ginger’s Tale si uniforma a certi canoni senza pretendere di aggiungere alcunché, rivelandosi di fatto una delle tante, possibili iterazioni rispetto a uno script rodato, che fa leva su tematiche specifiche, mediante espedienti specifici. Non si può negare una certa grazia, che a tratti emerge, specie in relazione proprio al personaggio ed alle peripezie di Ginger, che per certi versi rappresenta forse l’unico elemento davvero “sovversivo”, o più semplicemente moderno: è a lei che tocca salvare il principe di questa vicenda e non viceversa; ed è sempre lei a manifestare quella virilità che ha poco a che vedere coi generi, essendo in larga parte espressione di certi valori e qualità universali, che però, saggiamente, gli autori declinano al femminile, senza glissare sulle differenze.

Un’eroina insomma, donna e non femmina, volendo filtrare il tutto attraverso queste sempre più precarie categorie, che si distingue per la sua risolutezza, quella che Cristina Campo chiamava sprezzatura, in un contesto ostile anche se non violento, che non tollera questo il porsi di questa giovane al di là del senso comune. Ginger vuole di più e non lo pretende dagli altri, bensì lei per prima s’impegna a conseguire quel che ritiene giusto, di volta in volta, che si tratti di salvare un porcello caduto in un pozzo o tenere alto lo spirito di un amico che si sta sempre più smarrendo davanti ai suoi occhi.

Temi universali, lo si dice sempre in questi casi, perché in fondo storie simili girano attorno a discorsi simili, che sempre e da sempre c’incalzano: la liberalità e il sacrificio opposti all’avarizia e l’arroganza; ma anche il trionfo del cuore (componente archetipicamente femminile) sull’intelletto (al contrario, maschile), non dei sentimenti o delle suggestioni. E tutto ciò non poteva che essere conseguito attraverso un personaggio di questo tipo, una ragazza ordinaria ma che sa dov’è il giusto, e non perché si è scervellata nel rintracciarlo.

Certo, a Ginger’s Tale manca forse quella brillantezza di produzioni più piacione, o semplicemente più blasonate, sebbene cerchi al contempo di smarcarsi dal puro ripiegamento in forme di racconto troppo avulse da una sensibilità diffusa. Lo vediamo, per esempio, in quel suo ricorso al musical, che in due/tre occasioni irrompe, quasi a voler far salire i giri, dare una scossa ad uno sviluppo che di per sé procede in maniera abbastanza placida, se non in alcuni frangenti prevedibile. Però, appunto, come detto, c’è questo personaggio, Ginger, che infonde al tutto un che di aggraziato, finanche consolatorio verrebbe da dire. E sono storie e profili di cui, insomma, si ha alquanto bisogno.