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Shine a Light: il trailer italiano, foto e curiosità

Shine A Light ossia Martin Scorsese che racconta i Rolling Stones. Potrei finire qui questo post, avrei detto tutto. Il documentario esce l’11 aprile ma noi vi proponiamo la recensione in anteprima e dopo il salto trovate anche il trailer italiano.Ma addentriamoci di più in Shine a Light. Il concerto filmato si è tenuto al

di carla
8 Aprile 2008 14:40

Shine a Light: Martin Scorsese racconta i Rolling Stones

Shine A Light ossia Martin Scorsese che racconta i Rolling Stones. Potrei finire qui questo post, avrei detto tutto. Il documentario esce l’11 aprile ma noi vi proponiamo la recensione in anteprima e dopo il salto trovate anche il trailer italiano.

Ma addentriamoci di più in Shine a Light. Il concerto filmato si è tenuto al Beacon Theatre di New York nell’autunno del 2006 e Scorsese ha riunito una troupe di professionisti: il direttore della fotografia premio Oscar Robert Richardson ha guidato una squadra di grandi direttori della fotografia, tra cui il premio Oscar John Toll, il premio Oscar Andrew Lesnie, il candidato agli Oscar Stuart Dryburgh, il premio Oscar Robert Elswith, il candidato agli Oscar Emmanuel Lubezki ed Ellen Kuras. Il montaggio finale è stato curato da David Tedeschi che ha da poco ultimato con Scorsese il documentario su Bob Dylan No Direction Home: Bob Dylan.

L’idea del film è venuta a Mick Jagger durante il tour mondiale Bigger Bang. Inizialmente, l’idea era quella di girare un film sul tour. Il progetto iniziale di Jagger era quello di riprendere il più grande concerto che il gruppo avesse mai fatto.

Shine a Light: Martin Scorsese racconta i Rolling Stones
Shine a Light: Martin Scorsese racconta i Rolling Stones
Shine a Light: Martin Scorsese racconta i Rolling Stones
Shine a Light: Martin Scorsese racconta i Rolling Stones

“All’inizio pensavo che avremmo realizzato un film del tour. E dal momento che stavamo facendo questo grande concerto sulla spiaggia a Rio de Janeiro, ho cominciato a pensare che sarebbe stato un concerto diverso dal solito. Sarebbe stato un grande evento, un milione di persone sulla spiaggia, una platea immensa, una grande occasione. Ci sarebbe stato molto materiale da riprendere. Avevamo anche preventivato un budget per girare un film.”

“Abbiamo iniziato a pensare: se lo facciamo, dobbiamo farlo con il regista numero uno. E’ importante iniziare al massimo. Martin Scorsese è forse il più grande regista americano, e i Rolling Stones, sai, un buon gruppo rock, con una grande esperienza, da questa combinazione potrebbero venire fuori un paio d’ore interessanti.”

Una volta che Scorsese ha accettato, i produttori lo hanno seguito. Poi ci sono state varie riunioni per discutere sui dettagli delle riprese. Ricorda Jagger:

“Abbiamo avuto un incontro incredibile nella mia camera d’albergo. C’era una tempesta, il vento che soffiava, una finestra che non voleva chiudersi, le tende che volavano ed i lampadari che oscillavano e tutti ridevamo. Abbiamo parlato di girare in formato IMAX o 3-D, perché si trattava davvero di un evento di notevole portata. Ero concentrato su questo grande evento, perché pensavo che si trattasse di qualcosa di diverso. Marty sembrava molto eccitato da quest’idea”.

Jagger ha quindi invitato il regista a vedere gli Stones in tour, e lui l’ha fatto. Poi, però, l’idea di girare un grande film-concerto ha cominciato a cedere il passo ad un approccio diverso. Spiega Scorsese:

“Ogni volta che li vedevo esibirsi, a volte più da lontano, altre, addirittura, sul palco, sentivo sempre di più l’impulso di farne un film. Si era parlato di fare un film ufficiale sul tour ma, ad un certo punto, mi sono reso conto che fare qualcosa di più intimo sarebbe stato più adatto a me come regista e avrebbe anche aiutato a creare un rapporto più personale tra il pubblico e la band. In più un concerto degli Stones è già di per sè un grande spettacolo, quindi ho pensato che farli esibire in un ambiente più raccolto, avrebbe potuto offrire una diversa visione di questa band leggendaria. Sono andato a vederli di nuovo, sono seduto lì e la band sembra così piccola sullo schermo, hanno già 50 macchine da presa addosso. Cosa posso aggiungere a tutto questo? Così ho pensato: che succederebbe se li convincessi a suonare su un palco più piccolo, al Beacon Theatre di New York, con i migliori direttori della fotografia del mondo…?”

shine a light locandina italiana Ed è riuscito a convincerli. Scorsese ha catturato l’elettricità dello show con l’aiuto di più di diciotto macchine da presa grazie alle quali la performance è stata sezionata al microscopio. Le camere erano azionate da alcuni dei più grandi direttori della fotografia dell’ambiente cinematografico. Robert Richardson, vincitore di due premi Oscar (uno per “The Aviator” di Scorsese, e l’altro per “JFK” di Oliver Stone) e candidato in altre tre occasioni, ha ideato un sistema di illuminazione di grandissimo effetto, che consisteva in un “muro di luce” che Jagger sfonda entrando attraverso una porta sul retro del teatro.

Un’entrata di grande effetto, e Jagger ne riconosce il merito a Scorsese e al suo polso fermo nel mantenere lo stretto controllo degli elementi in un ambiente così piccolo. E Scorsese spiega:

“Avevo preparato tutto meticolosamente ma già sapevo che al 75% le cose non sarebbero andate come previsto, d’altra parte, per catturare la loro spontaneità, non era possibile seguire il programma, però al tempo stesso, volevamo che tutto andasse bene. Le macchine da presa dovevano trovarsi nella giusta posizione. In definitiva, erano previsti determinati movimenti del dolly che dovevano accompagnare determinati brani, e ce l’abbiamo fatta”

Si era anche “preparato” per l’impulsività degli Stones sul palco con un attento impiego della sua miriade di famosi cineasti e delle molteplici cineprese.

“Una volta deciso quale direttore della fotografia doveva concentrarsi su quale degli Stones e una volta deciso, per esempio, che Mick si sarebbe precipitato sul palco e che lo avremmo ripreso da sinistra, a quel punto abbiamo capito chi poteva riprendere cosa. Sapevo che se fosse uscito dalla portata della camera di John Toll, un’altra camera avrebbe potuto riprenderlo. Avevo un grande monitor davanti a me e se qualcosa non funzionava, potevo dire alla camera numero 15 di riprendere da dove la camera numero 12 aveva lasciato. Soprattutto, però, conoscere i parametri di movimento – l’azione, l’inclinazione e chi potevamo inquadrare e dove –era diventato il nostro punto di partenza. Tutte quelle macchine da presa ci hanno anche aiutato nel nostro obbiettivo principale, perchè gli Stones sono così vivaci ed estremamente spontanei che sarebbe stato un peccato se avessimo potuto cogliere il movimento senza, però, la messa a fuoco adeguata. Quindi, se ogni macchina da presa avesse avuto una precisa posizione, direbbe Richardson, ‘Mettiamone una di scorta giusto sopra’, e la doppia camera serviva principalmente per mettere a fuoco. Le immagini principali venivano da sette o otto macchine da presa, mentre le altre servivano per riempire, aiutare, e provare a ottenere le migliori composizioni possibili in situazioni impossibili”.

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