Eisenstein in Messico: recensione del film di Peter Greenaway in concorso a Berlino 2015

Nel 1931, il grande regista Sergei Eisenstein va a Guanajuato, in Messico, per girare il suo nuovo film ¡Que Viva Mexico!. Incontra una nuova cultura, anche della morte, e comincia la scoperta del proprio corpo e finalmente del sesso (a 33 anni era ancora vergine). Ma una volta in loco comincia ad avere problemi con il suo fianziatore americano, il romanziere Upton Sinclair…

Eisenstein in Guanajato è il film più gioioso di Peter Greenaway. Assurdo dirlo di un regista che, sin dagli esordi, di gioioso ha avuto poco o nulla. Però resta pur sempre un film di Peter Greenaway, con il suo stile, le sue tematiche e le sue ossessioni: tutte quelle che porta avanti più o meno da I misteri del giardino di Compton House.

Greenaway ha spesso fatto film basati su artisti, reali o fittizi proprio come nell’esordio. Lo ha fatto anche con uno dei suoi ultimi film, Nightwatching, che l’ha visto ritornare a un cinema più ‘lineare’ e meno enciclopedico dopo anni. Certo, il regista non ha mai perso il vezzo dell’estetica abbondante a tutti i costi, ma è innegabile che dopo il faticoso progetto su Tulse Luper il film su Rembrandt abbia rimesso a posto le coordinate del suo cinema.

Eisenstein in Guanajato forse è proprio l’altro lato di Nightwatching. Se quest’ultimo si rifaceva direttamente a I misteri del giardino di Compton House e raggiungeva un clima claustrofobico, il primo è un lavoro di pura superficie teorica. È da ormai molto tempo che non ci sono più le straordinarie musiche di Michael Nyman a fare da contraltare emotivo alla freddezza calcolata del regista, ma appunto Nightwatching aveva dimostrato che era ancora possibile uscire sconvolti da un film di Greenaway.

Questo è invece un film che non raggiunge mai lo stomaco, anche perché un pugno vero allo spettatore non lo tira davvero mai. A livello estetico ci sono momenti stilistici e scene uscite direttamente da Lo zoo di Venere e La Tempesta, ovvero il periodo migliore del cinema del regista inglese. Tutto viene mescolato a quell’apparato di split screen e manipolazione digitale dell’immagine che lo ossessiona da ormai più di 10 anni.

L’Eisenstein di Greenaway è invece un personaggio piuttosto inedito nel suo cinema: è una pura macchietta, un uomo che si autodefinisce clown. Capelli sparati in aria, energia da cocaina, un fiume in piena di parole gesti movimenti. A Guanajuato incontra Palomino, che sarà la sua guida durante tutta la sua permanenza, e se ne invaghisce subito. Ovvio che gli piaccia così tanto questo caldo Messico, con tutte le sue stranezze e la sua vitalità…

La relazione sessuale tra Eisenstein e Palomino è forse quella più esplicita sessualmente e pure tenera che Greenaway porta su grande schermo da I racconti del cuscino. La scena in cui il messicano svergina il regista ha un minutaggio elevatissimo, risparmia ben poco a livello grafico, ed ha l’intuizione giusta di stemperare il tutto con una buona dose di battute divertentissime sullo Stato Sovietico e non solo (e quella bandierina finale…!).

Però appunto, nonostante si instauri questa relazione che per Eisenstein sicuramente sfocia in qualcosa più che di carnale, non si viene mai coinvolti a livello emotivo. Qui mi pare però che il film abbia una sua grande coerenza. Eisenstein in Guanajato è un film in cui l’artista si riscopre innanzitutto uomo: scopre i piaceri della vita, scopre il sesso, scopre persino la siesta, e gode di tutto questo fino all’ultimo momento.

Sta in questa gioia – appunto – il senso del film, e Greenaway comunque mica dà tutta la colpa al tempo perso da Eisenstein se ¡Que Viva Mexico! alla fine non riuscì a finirlo. Il regista inglese si diverte a omaggiare il cinema precedente di Eisenstein (quello di Sciopero, La corazzata Potemkin e Ottobre!) e a inserire momenti, idee e oggetti (gli scheletri!) che si vedono proprio in ¡Que Viva Mexico!, uscito alla fine nel 1979 e riassemblato da Grigori Aleksandrov.

Certo, poi il ‘sistema’ entra con tutta la sua ferocia a complicare le carte. Eisenstein è caduto in disgrazia presso Stalin, i finanziatori vogliono che chiuda il prima possibile le riprese e gli stanno alle calcagna, il suo visto per restare in Messico ha una durata limitata. Ma quel che conta in Eisenstein in Guanajato sono proprio i momenti di scoperta della vita.

Ecco perché il film è così ‘vuoto’: Greenaway è convinto che Eisenstein avesse già detto tutto delle regole cinematografiche. Il cinema è morto, continua a ripetere da un sacco di tempo a questa parte. E in fondo questo suo ultimo lavoro è anche un film sulla ‘morte’ del cinema nei confronti della vita: Eisenstein dopo questa esperienza non sarà più lo stesso. Però oggi si continuano a fare film, e noi andiamo a vederli. Quindi perché non godere del puro linguaggio del mezzo anche in modo fine a sé stesso?

Voto di Gabriele: 7
Voto di Antonio: 5

Eisenstein in Guanajato (Messico / Finlandia / Belgio / Francia / Paesi Bass 2015, biopic 108′) di Peter Greenaway; con Elmer Bäck, Alan Del Castillo, Lisa Owen, Stelio Savante, Maya Zapata.