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American Life: Recensione in Anteprima

American Life (Away We Go, USA/Gran Bretagna 2009) è un film di Sam Mendes con John Krasinski, Maya Rudolph, Maggie Gyllenhaal, Jeff Daniels, Carmen Ejogo, Jim Gaffigan, Josh Hamilton, Cheryl Hines, Melanie Lynskey, Allison Janney, Chris Messina, Catherine O’Hara, Paul Schneider.E’ stato questo, lo scorso anno, il ritorno in pompa magna di Sam Mendes alla

pubblicato 17 Dicembre 2010 aggiornato 1 Agosto 2020 17:00

American Life (Away We Go, USA/Gran Bretagna 2009) è un film di Sam Mendes con John Krasinski, Maya Rudolph, Maggie Gyllenhaal, Jeff Daniels, Carmen Ejogo, Jim Gaffigan, Josh Hamilton, Cheryl Hines, Melanie Lynskey, Allison Janney, Chris Messina, Catherine O’Hara, Paul Schneider.

E’ stato questo, lo scorso anno, il ritorno in pompa magna di Sam Mendes alla regia. Sì perché, ahinoi, il film giunge nelle nostre sale a distanza di un anno e mezzo circa, con in più una modifica apportata al titolo. Forse per un semplice e comprensibile rimando vagamente omonimico al suo ben noto American Beauty (che gli valse un Oscar come miglior regista), questa commedia dal sapore agrodolce è passata da un più calzante Away We Go, ad American Life. Inutile sottolineare come a nostro avviso il titolo originale renda ampiamente meglio il tenore dell’opera.

Ma torniamo a noi. Dinanzi a un film capita a volte di riflettere, rimuginare per ore e ore, se non addirittura giorni. Spesso avere dei tempi comprensibilmente e giustamente serrati, è una di quelle cose che non ti permette di assaporare il vero lascito di un film. Come col buon vino, anche in tale contesto necessitano dei giusti tempi per gustare a pieno. Ci rendiamo conto che il paragone potrebbe non risultare poi così felice, tuttavia passatecelo, visto che non siamo degli enologi. Ma su una cosa crediamo di non aver torto: assimilare una pellicola implica una gestazione più o meno lunga, e non di rado capita che le primissime sensazioni siano delle infami bugiarde.

Non tanto il voto – “oro degli sciocchi“, come direbbe qualcuno – quanto il processo che ti porta a trasmettere cosa a tua volta sei riuscito a ricavare da quel determinato film funge da discriminante fondamentale. Per questo, se ragionevolmente motivati, non esistono commenti “sbagliati”. Certo, ci sono quelli più oggettivi e quelli più soggettivi, quelli che più si avvicinano alla realtà e quelli che invece prendono un po’ più di distanza da essa. Ma in linea di massima, salvo degli insormontabili criteri universalmente riconosciuti e riconoscibili, il bello di un qualsiasi film è questo: ognuno ci trova un po’ quello che vuole.

Chiedo scusa ai nostri lettori se mi sono prodigato in questa premessa, e tengo a sottolineare che non si tratta di un mero “mettere le mani avanti”. Sono considerazioni che da parecchio tempo sostengo, ma a cui ultimamente ho dovuto ridare una sistemazione. E chissà che quanto appena evidenziato non torni utile pure a voi, che con tanto calore ci seguite da parecchio tempo a questa parte.

Nonostante tutto, però, quanto appena rilevato risulta funzionale alla nostra trattazione. Sì, è così che mi piace definirla: una trattazione. Non una semplice “recensione”, laddove tale termine implica una pletora di significati sostanzialmente negativi. Non uno scritto, quindi, teso a “giudicare” un’opera, cosa di cui davvero si può fare a meno. Sembrano cose scontate, banali addirittura, ma sento che ci sia bisogno di sottoporre certe elucubrazioni anche a chi ci legge.

Partiamo da questo allora: American Life, a nostro parere, poteva semplicemente intitolarsi Life. Sì perché, se proprio si vuole fare a meno del simpatico titolo originale, ci pare fuorviante presentarci questo lavoro come il percorso di due persone le cui esistenze orbitano attorno a quello spicchio di mondo soltanto, per quanto considerevole. Anche se a conti fatti è di questo che si tratta, un viaggio on the road di un uomo e una donna che si amano, ma che intendono riscoprirsi, sia in quanto singoli che come coppia.

Ma è di “vita” che parla il film di Mendes, quella che non conosce confini, quella che ci accomuna tutti: alti e bassi, belli e brutti, poveri e ricchi etc. Burt (John Krasinski) e Verona (Maya Rudolph) hanno oramai raggiunto una fase della loro vita in cui si cominciano a tirare timidamente le primissime somme. Dante, per altri motivi, lo definiva il “mezzo del cammin di nostra vita“, ossia quel periodo che si colloca più o meno tra i 30 e i 35 anni. Ed è proprio entro questo piccolo ventaglio che le vite dei due protagonisti sono approdate.

E’ un periodo in cui sono messi a dura prova, in cui il loro amore è messo a dura prova. Lei è incinta, in maniera tutto sommato accidentale, ma non se ne lagnano. Pensare a come mantenere questa creatura è un discorso troppo “adulto”, nonché secondario rispetto all’amore di cui già pervadono quel piccolissimo essere che sguazza nel grembo di Verona.

Tutto cambia non appena i genitori di lui decidono di fare il viaggio della vita, trasferendosi in Belgio ed abdicando, di fatto, al ruolo di nonni affettuosi. Brutta storia per i due, che, a dispetto dell’età, sentono di non aver raggiunto quel grado di maturazione che si confà a chi ha sul groppone un certo numero di primavere nonché un potenziale militante di questo mondo pronto ad essere arruolato.

Ma come spesso accade, anche quelle che noi avvertiamo come piccole disgrazie, in realtà sono Grazie travestite dal loro opposto. Come ogni medicina che si rispetti, il dolore provato all’inizio non è che prodromo alla guarigione finale. Vale la pena quindi stringere i denti, soffrire quanto basta in previsione di quella sanità raggiunta?

E che i due si sentano inadatti non solo al mondo, ma anche alla loro contingente situazione, ne è prova il tenero, comprensibile sconforto al quale si lascia andare Verona, quando, tra le braccia del suo uomo, chiede retoricamente: “Siamo dei falliti, vero?“. Un’implicita affermazione assolutamente lecita, ma che estremizza il dolore di un momento, fotografando lo stato d’animo di un istante. Difficile, da parte nostra, rispondere a quella così ingenua domanda – ammesso che lo si voglia fare. Ed il dipanarsi degli eventi non ci dà certo modo di configurare meglio le loro condizioni in tal senso.

Sì perché il viaggio che ne segue, suddiviso sostanzialmente in sei atti, è un iter attraverso il quale i nostri protagonisti sembrano scendere dal palco e sedersi accanto a noi spettatori. Anche loro osservano, scrutano le strambe routine delle persone che, di volta in volta, si trovano dinanzi al loro cammino. Non si tratta certo di un tipo di osservazione “passiva” nella stessa misura in cui lo è la nostra, questo è certo, ma è chiaro che Burt e Verona siano ignari quanto noi di ciò che li aspetta, così come al tempo stesso sono curiosi quanto noi di conoscere chi e cosa abbiano davanti.

Ed è bravo Mendes a sottolineare questo legame, quei silenzi che rendono più di tanti discorsi. Così come quando, più e più volte, vengono alternate delle inquadrature a scalare, soffermandosi su degli evocativi ed espressivi campi medi, passando poi a figure intere e mezze figure. E’ il linguaggio filmico, che di certe misure è arricchito all’inverosimile. E’ parlare con le immagini, le stesse che in questo contesto isolano i due amanti rispetto a tutto il resto – come dire che non importa dove si trovino, basta che stiano insieme. Non è un caso, con ogni probabilità, che lo stesso nome dato alla donna, ossia Verona, sembri velatamente alludere alla location dove si consuma la celeberrima tragedia shakespeariana di Romeo e Giulietta. Il tutto condito da alcuni piacevoli brani musicali di sfondo, tipici da viaggio on the road, per l’appunto.

Tra momenti grotteschi ed esilaranti – il cui apice è senza dubbio rappresentato dalla scena in cui Burt si serve di un semplicissimo passeggino quale forma di dissenso massimo – i due si amano e imparano ad amarsi sempre più, con quella piccola creatura che ha già sconvolto così bruscamente, nell’accezione più positiva del termine, le loro esistenze. Quest’ultime, un tempo vuote e forse sin troppo ancorate ad un passato che non esiste più – se non nei ricordi -, vengono adesso riempite dall’invisibile presenza di un feto che, senza avere ancora messo piede sulla terra ferma, ha già scosso di un amore indescrivibile il suolo indigeno che a breve calpesterà.

Destino vuole che ad attendere su quella spiaggia lo “straniero” venuto da lontano, siano proprio Burt e Verona. Chi lo sa che quello “straniero” non sia venuto apposta per insegnare a quei due come stare in quel mondo, aiutandoli ad abbandonare le loro abitudini pressoché tribali e dal retrogusto arcaico… Non lo vediamo, certo, ma magari dall’interno di quel pancione il piccolo se la ride anche lui di gusto osservando le vicende di tutti quei goffi personaggi…

Il film esce oggi, venerdì 17 Dicembre, nelle nostre sale. Qui trovate il trailer italiano.

Voto Antonio: 8
Voto Gabriele: 8