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L’arbitro: Recensione in Anteprima

È L’arbitro di Paolo Zucca a dare ufficialmente il via all’edizione numero 70 della Mostra del Cinema di Venezia. Presentato nell’ambito delle Giornate degli Autori, ecco la nostra recensione

pubblicato 26 Agosto 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 10:36

Calcio come sport. Calcio come passione. Calcio come esercizio alla vita. Non bastasse la citazione di Albert Camus in apertura, L’arbitro di Paolo Zucca non prende affatto le distanze da simili considerazioni, nemmeno alla lunga. Il film del regista esordiente, tuttavia, non anela ad un ritratto anche solo vago di questa così controversa professione: si serve di essa per raccontare qualcosa su di noi, sulla sua Sardegna. O almeno, questa è l’impressione.

Perché in fondo ne L’arbitro non c’è quasi nulla che tende a prendersi sul serio, se non proprio quel ritratto di fondo che, grottescamente agghindato, tratteggia realtà su cui probabilmente non si vuole ridere poi molto. Una commedia, dunque, di quelle che non disdegnano personaggi ed episodi sopra le righe, come può esserlo ad esempio uno sbruffone di paese che entra nel bar dei “rivali” direttamente in sella al proprio cavallo.

Protagonista uno Stefano Accorsi che a conti fatti non ruba la scena a nessuno, sia perché le sue apparizioni davanti alla macchina da presa sono ben dosate, sia perché i cosiddetti comprimari finiscono col reggere il vigore della pellicola tanto quanto. Non a caso la storia segue da un lato gli sviluppi della carriera dell’arbitro Cruciani (Accorsi, per l’appunto), ad un passo dalla vetta professionale nel settore, dall’altro, invece, la spigolosa rivalità di due squadre dell’ultima categoria dilettantistica della Sardegna, quella tra il Montecrastu e l’Atletico Pabarile. Vicende vissute alternativamente, in attesa di quel climax narrativo che funge un po’ da punto di non ritorno, e per gli uni e per gli altri.

Per comprendere l’impronta scavata da Zucca in questo suo primo film, basta già la prima, a suo modo esilarante sequenza: una terna arbitrale si prepara ad entrare il campo prima di una partita che si direbbe importante (o magari no) osservando una liturgia che sa di rito di religioso antico, e dove infatti, per enfatizzare tale mistico carattere, non mancano Crocifissi e Santi Rosari. Un inizio che è tutto un programma, e che appunto si rivela emblematico di un film intero.

Per chi non lo sapesse, L’arbitro è il titolo omonimo di un precedente cortometraggio di Paolo Zucca, qui ampiamente trasposto nella misura in cui è stato possibile. Coloro che l’avessero visto non faticheranno a scorgere certe trovate, come l’agnello in croce, la vecchia che picchia il direttore di gara, o la faida interna alla squadra del Montecrastu. Qui ovviamente il regista sardo ha avuto modo di ampliare tale scenario, dotandolo più che altro di un ampio prologo. Attraverso il film veniamo messi a conoscenza degli eventi che hanno condotto a quella strana ma sentitissima partita tra Pabarile e Montecrastu, nonché di come il principe Cruciani sia finito ad arbitrarla.

Ma come già accennato, sono altri i personaggi a farla da padrone. Su tutti l’allenatore Prospero (Benito Urgu), tecnico non vedente del Pabarile che si presenta al pubblico con una sua intrigante teoria in merito alla definizione, se non addirittura al concetto, di «pallone da calcio». Uno che dice sempre (o quasi) la cosa sbagliata al momento giusto, e per cui quindi non si può fare a meno di simpatizzare. Sarà lui a chiudere tutto. Notevole, perché in linea col carattere bizzarro e stralunato del film, anche il personaggio di Matzutzi (Jacopo Cullin), il cui profilo è già a priori un ribaltamento del concetto di straniero in ambito calcistico: nato da quelle parti, ad un certo punto il padre Sventura (immancabile soprannome dei piccoli centri) porta lui e la sua famiglia in Argentina per far soldi, chiaramente non riuscendoci. Tornato in Italia, quel che resta all’anacronistico Matzutzi è un taglio da pornodivo anni ’70 e l’accento ispanico da sudamericano. Si dà il caso, però, che sappia anche giocare bene a pallone, quindi risorsa provvidenziale per un Pabarile a secco di punti fino all’ultima giornata.

Altra componente di rilievo è la figlia di Prospero, Miranda (Geppi Cucciari), alla quale vengono affidate non troppe battute ma tutte riuscite. Chi però a questo punto ipotizzasse una fotografia di certa parte dell’entroterra sardo dovrà ricredersi. Poiché tutto è funzionale a quel match che di fatto chiude le danze, l’approfondimento di quella che potremmo definire la “vita di paese”, nella migliore delle ipotesi, si percepisce e basta più; d’altronde non è un ennesimo Amarcord quello a cui evidentemente tendevano Zucca e la collega sceneggiatrice Barbara Alberti.

Nondimeno l’affresco è impietoso, sopra le righe. Sembra di stare assistendo a due momenti storici, tale è la forbice tra il mondo dell’arbitro Cruciani e quello delle due sgangherate squadrette di provincia. Già solo le divise ci parlano di un contesto che si è fermato a cinquant’anni fa, con quelle classiche casacche che non si vedevano dai tempi di Rivera e Mazzola. Ma poi la vecchia di nero vestita, costantemente velata come si usava un tempo per indicare l’amaro ed irrimediabile lutto del marito; il sacerdote con i paramenti che la Chiesa “rinnovata” del post-concilio ha pensato bene di riporre in polverosi cassetti per non più aprirli; contadini e bracconieri che sembrano usciti da una di quelle foto che risalgono ai tempi della lotta per i latifondi. A tutto ciò fa il paio la freschezza della classe arbitrale nostrana, che in un assolato campo da calcio si produce in un coreografico allenamento, argutamente canzonatorio, per poi discutere di “cose serie” all’interno di una piscina da terme vere e proprie. Dalle stelle alle stalle insomma… letteralmente.

Ciò detto, L’arbitro è un’opera interessante, che intrattiene, ed anche fatta con criterio rispetto a quanto siamo soliti assistere in giro dalle nostre parti. Non vorremmo battere ancora una volta sul dente che duole, ma in fondo stavolta la critica giova a mettere in evidenza la resa del film in esame – anche se in maniera appena un po’ perversa, lo concediamo. Dietro la scorza oltremodo bizzarra de L’arbitro, si cela l’immancabile trasposizione di una realtà che, stringi stringi, non è poi tanto differente da quella proposta. Stavolta, però, filtrata in maniera spassosa, raramente banale, sulla falsa riga di un Sorrentino, al quale Zucca si accoda senza nemmeno nasconderlo troppo. Non solo i personaggi, come già ravvisato, ma certi movimenti di camera ed uscite estemporanee ricordano il cinema dell’affermato regista partenopeo ne L’arbitro. Non è tutto lì, ci mancherebbe, ma per dare una vaga idea ci può anche stare.

Voto di Antonio: 6,5

L’arbitro (Commedia, Italia, 2013) di Paolo Zucca. Con Geppi Cucciari, Stefano Accorsi, Marco Messeri, Francesco Pannofino, Benito Urgu e Jacopo Cullin. Nelle nostre sale dal 12 Settembre.