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La mafia uccide solo d’estate: recensione in anteprima del film di Pif

Torino Film Festival 2013: sorprende per qualità della tecnica e del contenuto l’esordio nel lungometraggio di Pif. La mafia uccide solo d’estate riesce ad unire ad un ribaltamento sarcastico del Potere della mafia un forte valore civile. In concorso.

pubblicato 26 Novembre 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 06:56

La ridicolizzazione del “mito”. La mafia uccide solo d’estate è un’operazione molto diversa da quella fatta da Paolo Sorrentino con Il Divo, anche se la “presenza” di Giulio Andreotti potrebbe condurre a fare paragoni, soprattutto per il tono scelto. Ma se per Sorrentino la maschera era un mezzo per rileggere attraverso il grottesco la figura del “Mito”, la maschera nel film di Pif è usata per mettere alla berlina la figura dell’inquietante Potente. Come commedia vuole.

Pif con il suo primo lungometraggio punta più in basso, ma la sua è un’operazione consapevole. Quanti film sulla mafia abbiamo avuto in Italia? Quante critiche si leggono in giro sull’impossibilità del mezzo cinematografico di fare i conti una volta per tutte con una delle piaghe che prova a distruggere il paese da anni e anni? Ecco: Pif tenta nel suo piccolo di mettere una pietra tombale, sia (de)ridendo gli inquietanti Potenti che firmando un’opera di vero impegno civile.

Sarcastico, pungente ma anche toccante, La mafia uccide solo due volte è davvero un esordio sorpredente. Chi non conosce il Pif televisivo, quello de Le Iene e soprattutto Il Testimone, ne resterà stupito per la qualità tecnica e per la direzione piuttosto sicura, anche se non priva di qualche scelta acerba tipica forse dell’opera prima. Chi invece conosce il personaggio tv poteva anche aspettarsi una pellicola che di sicuro non fosse sciocca e volesse impegnarsi per andare oltre la media del panorama italiano. Effettivamente così è.

La mafia ha sempre influenzato la vita di tutti a Palermo, in un modo onell’altro. Il giorno in cui il noto mafioso Vito Ciancimino viene eletto sindaco nel 1969 è anche quello in cui nasce Arturo, e questa coincidenza avrà nella sua vita molte più conseguenze di quanto ci si potrebbe aspettare. Il ragazzo nutrirà infatti due ossessioni, ugualmente totalizzanti: l’amore tormentato per Flora, la compagna di banco di cui è innamorato sin dalle elementari, e quella per lo spaventoso legame tra la sua città e la mafia…

Quella che Pif mette in scena è una città in cui la “cultura della mafia” si va formando pian piano ma in modo esponenziale, senza che nemmeno i cittadini se ne rendano ben conto. Dal “mito” di Andreotti ad oggi, passando per tutte le tappe che hanno costruito una delle pagine più tristi della storia italiana contemporanea, Pif si prende gioco di una Storia che ormai non può che essere presa in giro: perché, dopo tutto ciò che è stato detto e tutto il cinema che ha calpestato l’argomento, è finalmente giunto il momento di riderne per davvero.


Per una volta gli stereotipi e i modi di vivere di un’epoca e di una città vengono usati con cognizione di causa. Pure il mito di Andreotti assume allo stesso tempo dei toni che potrebbero al solito essere inquietanti ma qui innanzitutto sono esilaranti. Arturo, da piccolo, lo prende quasi come un modello da seguire, una figura che indirettamente gli dà delle risposte su come agire nella vita quotidiana. Ad una festa in maschera si traveste persino da lui, scatenando l’ilarità dei compagni (ma non del prete, per il quale “è un grande uomo”).

“La mafia è come i cani: basta non gli si dia fastidio”. La mafia uccide solo d’estate descrive un paese che viene costretto a fare i conti col suo cancro di fronte all’evidenza. Perché dopo anni di stragi, anni di lutti terribili e improvvisi, funerali di stato, dichiarazioni (“la mafia c’è solo in Campania e Calabria”) e quant’altro, ma soprattutto dopo anni di omertà, non si può più far finta di nulla: anche se la mafia non ti tocca direttamente, influenza la tua vita comunque.

Pif usa in modo coraggioso anche il materiale di repertorio, che è vasto, ricco e doloroso nel suo essere mostrato in modo cronologico. Lo usa in modo originale e “rischioso” perché inserisce i personaggi all’interno di questi “documenti” come farebbe addirittura un Zemeckis. Ma l’effetto non è di lesa maestà, anzi: Pif sembra dire che di quella Storia ne abbiamo fatto parte, e che ci appartiene. Quando poi inserisce un bacio ad un funerale, capisci pure che ha delle intuizioni politiche.

Se la storia d’amore fra Arturo e Flora (interpretata nella versione adulta da Cristiana Capotondi) sembra più debole rispetto a tutto il resto, è perché è il contorno ad essere così importante e “di peso”. Invece Pif ha seriamente il dono della leggerezza: oltre a far ridere in moltissime scene, integra la storia d’amore impossibile e ventennale nella Storia facendola diventare un sottile filo conduttore.

Così facendo, l’autore regala a questa storia d’amore che parte con l’innocenza dei bambini e finisce con la coscienza e l’impegno dell’età adulta il compito non facile di trascinare narrativamente il film verso la sua conclusione di alto valore civile. Questo finale, pesantissimo a livello emotivo, potrà anche sembrare un’operazione da “dibattito post-proiezione”; invece racchiude il senso di tutto il film. Che serve per aprire bene gli occhi una volta per tutte, ma soprattutto serve da monito perché non ci sia più bisogno di eroi.

Voto di Gabriele: 7

La mafia uccide solo d’estate (Italia 2013, commedia 90′) di Pierfrancesco Diliberto; con Pierfrancesco Diliberto, Cristiana Capotondi, Claudio Gioè, Ninni Bruschetta, Alex Bisconti, Ginevra Antona, Barbara Tabita, Rosario Lisma. Qui il trailer italiano. Dal 28 novembre 2013 in sala.

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