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Storia d’Inverno: Recensione in anteprima

Akiva Goldsman alla regia di Storia d’Inverno, fantasy dai contorni romantici con protagonista Colin Farrell

pubblicato 11 Febbraio 2014 aggiornato 31 Luglio 2020 04:21

30 anni dopo aver preso vita in libreria, Storia d’Inverno di Mark Helprin è diventato cinema per volere della Warner, che ha coraggiosamente affidato 75 milioni di dollari allo sceneggiatore nonché produttore Akiva Goldsman, qui al suo debutto registico dopo 20 anni di cinema. Premio Oscar grazie allo script di A Beautiful Mind, ma in passato autore di ‘orrori’ come Batman Forever, Batman & Robin, Lost in Space, Constantine, Il Codice Da Vinci ed Angeli e demoni, Goldsman ha provato a far risorgere un genere da tanto, troppo tempo in letargo, ovvero quello fantasy con svolte romantiche che negli anni 80 fece furore.

Titoli come Legend, La Storia Fantastica, Ladyhawke o la stessa Storia Infinita, pronti ad accogliere un nuovo arrivato grazie a questo Winter’s Tale. Solo nelle intenzioni, purtroppo, perché Storia d’Inverno di Akiva Goldsman si candida da subito al titolo di peggior film del 2014, involontariamente comico e di fatto già ‘scult’, tanto da deragliare così malamente nel corso dei 113 minuti di durata da lasciare basiti. Perché è l’intero impianto produttivo ad essere sfacciatamente errato, andando a stuprare un romanzo di fatto adattato senza un minimo di logica, tra verità mai dette e buchi di sceneggiatura clamorosi, resi ancor più ridicoli da discutibili scelte di regia ed ‘effetti speciali’ al limite dell’imbarazzo. Chiunque non abbia mai letto lo scritto di Helprin, e qui sta la colpa principale di Goldsman, non capirà niente di quanto visto sul grande schermo.

Tutto ha origine nella Manhattan di inizio 1900, con protagonista Peter Lake, orfano, esperto meccanico nonché ladro di professione che tenta di svaligiare un palazzo-fortezza nell’Upper West Side. Sebbene creda che la residenza sia vuota, la figlia dei proprietari è invece in casa, perché gravemente malata. Inizia così l’amore tra Peter, scassinatore irlandese di mezza età e Beverly Penn, una giovane ragazza che sta pian piano morendo. Nel mezzo, incredibile ma vero, un misterioso cavallo bianco di nome Anthansor che salverà Peter Lake dal folle gangster Pearly Soames, diventando il suo angelo custode.

E’ evidente, dinanzi alle 800 pagine originali del romanzo di Helprin, che Goldsman abbia inspiegabilmente tagliato ricchi capitoli per poter condensare il tutto in 120 pagine di sceneggiatura. Una scelta da una parte condivisibile vista l’impossibilità di realizzare un film dalle 5 ore di durata ma dall’altra suicida, visto il modo in cui Akiva ha scatenato il machete, finendo così per troncare una storia il più delle volte insensata causa proprio mancanza di chiarezza. Quel che avviene non ha quasi mai spiegazione, con tutti i protagonisti del film che danno per scontato ciò che scontato non può essere per lo spettatore, perché in nessun caso ‘condotto’ alla visione. All’interno della trama non batte una semplice storia d’amore, bensì anche, se non soprattutto, un racconto che parla di miracoli, destini incrociati e dell’antica battaglia tra bene e male, con angeli, mostri, demoni e Lucifero in carne ed ossa (con tanto di clamorosa comparsata che non staremo qui a svelarvi) a contrastare l’amore del giovane Peter, interpretato da un Colin Farrell ringiovanito grazie al ‘magico’ ciuffo accuratamente tagliato.

Dovendo pennellare una storia lunga un secolo, il regista ha deliberatamente scelto di omettere talmente tante informazioni da rendere la trama un pot-pourri di non-sense, tra dialoghi sconvolgenti, voci off totalmente gratuite che parlano senza una concreta motivazione, arzille centenarie, raggelanti pseudo verità interstellari e una perenne nonché assai fastidiosa sensazione di ‘caos narrativo’ che con il passare dei minuti si fa incredibilmente sempre più pressante, finendo così per tramutare un fantasy dai tratti romantici in una involontaria parodia del genere. Le risate di scherno prendono agevolmente il sopravvento, soprattutto negli ultimi folli 40 minuti in cui ‘l’azione’ si sposta ai giorni nostri, divorando attori del calibro di Jennifer Connelly, William Hurt e quel Russell Crowe le cui illogiche battute vengono giustamente etichettate dallo stesso Colin Farrell come ‘inspiegabili’ in un ‘memorabile’ scontro in sella a due cavalli. Uno bianco, anche se in realtà ‘cane’, ed uno nero, in quanto ‘bene’ e ‘male’.

Tra errori pacchiani nella gestione temporale della storia (fate attenzione ad un cioccolatino), tracce ‘mistiche’ che entrano ed escono a loro piacimento e l’eccessiva nonché gratuita enfasi recitativa di tutti i protagonisti, Storia d’Inverno è uno di quei rari film in cui niente funziona e tutto si sgretola, causa sfacciata incapacità dell’uso del mezzo cinematografico, qui tramutato in un enorme punto interrogativo che accompagna, marchia, stritola e ammazza l’intera opera. Perché proprio nulla ha realmente senso in Winter’s Tale. Se non la sua clamorosa e ingiustificata inconsistenza filmica.

Voto di Federico: 1
Voto di Gabriele: 1

Storia d’Inverno (Winter’s Tale, Fantasy, Romantico, 2014) di Akiva Goldsman; con Colin Farrell, Jessica Brown Findlay, Jennifer Connelly, Russell Crowe, William Hurt, Eva Marie Saint, Matt Bomer, Kevin Durand, Kevin Corrigan, Lucy Griffiths, Graham Greene, Finn Wittrock, Rob Campbell, Beth Katehis, Norm Lewis, Caitlin Dulany, Alan Doyle, Georgie Lalov – uscita giovedì 13 febbraio 2014.