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Point Break: Recensione in Anteprima del remake

Point Break torna al cinema 25 anni dopo il titolo originale con il più evitabile (e costoso) dei remake.

pubblicato 22 Gennaio 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 09:16

25 anni dopo il cult di Kathryn Bigelow, reso di fatto indimenticabile dalla bromance omo-erotica firmata Patrick Swayze e Keanu Reeves, ad Hollywood hanno ben pensato di resuscitarre un classico degli anni ’90. Point Break. Un riavvio improvviso, inatteso e onestamente tutt’altro che necessario, tanto da suscitare dubbi sin dal suo annuncio, avvenuto nel lontano 2011. Da allora di acqua ne è passata sotto i ponti, e insieme a lei anche un centinaio di milioni di dollari, spesi dalla Alcon Entertainment e da quella Warner che negli ultimi 12 mesi aveva già cannato Pan e Jupiter Ascending. E anche qui, vuoi o non vuoi, il risultato è stato una strage. Appena 28 milioni di dollari incassati negli Usa, che diventano 108 worldwide, per un titolo girato tra Austria, Italia, Svizzera, Francia, Messico, Venezuela, Polinesia Francese, India e Stati Uniti d’America. Praticamente il giro del mondo per provare a lanciare un franchise ‘alla Fast and Furious’, sostituendo le auto Universal con gli sport estremi.

Idea lontanamente allettante ma risultato spaventosamente deludente per il regista Ericson Core, a lungo direttore della fotografia per poi esordire dietro la macchina da presa nel 2008 con il tutt’altro che indimenticabile Imbattibile. Il poliziesco di un tempo, che ruotava attorno a quattro rapinatori surfisti ‘cacciati’ dall’infiltrato agente dell’FBI, si è infatti tramutato in un action-movie tanto visivamente spettacolare quando disastroso nella sua narrazione, a causa di una sceneggiatura che definire ‘estrema’ è dire poco. Sono proprio gli sport ‘estremi’, infatti, a dominare la scena.

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Johnny Utah (Luke Bracey), giovane agente dell’FBI un tempo motociclista senza paura, si infiltra all’interno di un gruppo itinerante di atleti amanti del brivido, capeggiati dal carismatico Bodhi (Edgar Ramirez). Il perchè è semplice. Gli atleti sono sospettati di alcuni crimini perpetrati in maniera estremamente inusuale. Il primo a 100 piani d’altezza e in fuga con delle moto dotate di paracadute; il secondo a bordo di un aereo con presunto schianto sul suolo. Solo Utah riuscirà a capire ‘cosa’ i rapinatori folli vogliano, ovvero completare le mitiche otto prove di Ono Ozaki, ideate da un amante degli sport estremi che attraverso queste aveva predetto il raggiungimento del Nirvana. Prove mai completate da nessuno, Ozaki in testa. Fino ad oggi…

Perché affidare un budget da 105 milioni di dollari ad un quasi debuttante alla regia e ad una sceneggiatura tanto povera nei suoi dialoghi, nel suo sviluppo e nella costruzione dei suoi protagonisti? Domande da un milione di dollari che qualche produttore, dinanzi al flop a cui è andato incontro Point Break, si starà ponendo da settimane. Se dal punto di vista visivo il film di Core è un piacere per gli occhi, tra corse in moto, voli a planare tra le Alpi, onde gigantesce da surfare, montagne da scalare a mani nude, scazzottate e nuotate infinite in totale apnea da sopportare, ciò che lo affonda è la glacialità con cui il tutto è stato confezionato. L’ovvietà disarmante, la pochezza della trama poliziesca che entra ed esce a suo piacimento (i crimini si susseguono senza una vera logica), i deboli rapporti tra i protagonisti, l’esagerato prendersi sul serio, la totale mancanza di auto-ironia, l’assurdità di alcune scene esageratamente estreme, il gratuito filosofeggiare tra ambientalismo spinto e riequilibrio sociale. Limiti realmente ‘estremi’ che cancellano di fatto le tute alari per un base jumping da record, gli snowboard lanciati a mille all’ora, le valanghe di sassi da cui fuggire, il free climbing, il motor cycling, i surf chiamati a scalare onde gigantesche e quegli incredibili atleti rastrellati in mezzo mondo per rendere credibili e concrete scene al limite dell’inimmaginabile.

Immancabile, poi, il paragone con il cult del 1991 diretto con maestria dalla Bigelow ed interpretato da due attori che un tempo sprigionavano magnetismo, vedi il compianto Swayze e Reeves. Luke Bracey, qui biondo agente FBI, e il venezuelano Edgar Ramirez, protagonista di Carlos (mini-serie diretta da Assayas), non hanno un’unghia dell’alchimia condivisa dai predecesorri un quarto di secolo fa, ovviamente anche a causa di uno script infarcito di frasi fatte e involontariamente comico in alcuni momenti topici (vedi un ‘funerale vichingo’ con festone a seguire). Quel che ne resta è una gigantesca occasione sprecata, una montagna di denaro buttato e un classico oltraggiato, con una serie di incredibili scene forzatamente appiccicate da una trama flebile e priva di mordente. Tanto valeva realizzare un (meno costoso) documentario sugli sport più estremi del mondo, senza dover per forza di cose resuscitare Utah e Bodhi. Tutti, ma proprio tutti, ne avrebbero guadagnato.

[rating title=” Voto di Federico” value=”4″]

Point Break (Usa, 2015, action) di Ericson Core. Con Edgar Ramirez, Luke Bracey, Teresa Palmer, Ray Winstone, Delroy Lindo, Matias Varela, Clemens Schick, Tobias Santelmann – uscita mercoledì 27 gennaio 2016.