Home Recensioni Courmayeur 2012: Tulpa – la recensione (Concorso)

Courmayeur 2012: Tulpa – la recensione (Concorso)

Federico Zampaglione torna al Giallo anni ’70. Ecco a voi la recensione in anteprima di Tulpa.

pubblicato 15 Dicembre 2012 aggiornato 31 Luglio 2020 19:20

Terzo ed ultimo film italiano in Concorso, Tulpa ci porta indietro di una quarantina d’anni circa. Se di Berberian Sound Studio ne avevamo parlato come di un’opera a suo modo nostalgica, un omaggio più che altro, quello di Federico Zampaglione è un vero e proprio attestato di amore. Estremo, a tratti sconfinato. Ecco allora che per tentare di decifrare Tulpa non si può prescindere da quella stagione in cui gente come Argento e Bava (ma anche Martino, seppur in misura inferiore rispetto ai due appena citati) diedero vita ad un genere che lanciarono e che lanciò loro a sua volta: il Giallo.

È indispensabile partire da tale premessa, perché l’errata percezione rispetto a dove si voglia andare a parare con Tulpa implicherebbe un pressoché totale smarrimento. Tuttavia, pur inserito nel contesto al quale appartiene, parecchie cose lasciano perplessi. Film che si colloca dalle parti di Torso (I corpi presentano tracce di violenza, in italiano), la cui influenza sul lavoro del regista italiano è palese, ed in più punti, senza però riuscire ad amalgamare in maniera altrettanto efficace i tanti elementi di genere da cui è composto.

Lisa Boeri (Claudia Gerini) è la classica e stereotipata donna in carriera contemporanea: cinica, indipendente e largamente disinibita. Tale schematica descrizione ci permette di cogliere più chiavi di lettura, anzitutto introducendoci alla doppia vita condotta da Lisa, di giorno professionista impeccabile, di notte sfrenata frequentatrice di un club privato dove può appagare ogni sua fantasia sessuale. Il club, manca a dirlo, è il Tulpa.

L’episodio che apre le danze, dando inizio alla seppur corta catena di brutali omicidi, ci informa in maniera piuttosto chiara riguardo a ciò a cui assisteremo di lì a breve. In una camera di uno squallido motel, un uomo e una donna vengono malamente uccisi mentre praticano del sesso sadomaso (o almeno, questa era la loro intenzione). Sangue e sesso, sono questi i due imprenscindibili leitmotiv di Tulpa. Ed è esattamente in questo punto della nostra analisi che è bene approntare un discorso al quale implicitamente ci riallacceremo a breve, quando tireremo le somme.

Perché Tulpa offre una gamma di articoli estremamente appetibili per gli amanti del genere, partendo da alcune ispirate sequenze incentrate sugli spietati omicidi commessi dal killer, per finire con alcuni brani decisamente d’atmosfera. Il problema è che è tutto qui; e no, nonostante tutto, non è abbastanza. Sia chiaro, non ci persuade più di tanto la critica mossa all’estero da alcuni colleghi, inerente ad una recitazione come minimo approssimativa: questa nicchia ha sempre fatto a meno di grandi interpretazioni, a tutto vantaggio di un mood specifico e di scene estreme.

D’altronde, dato il carattere vagamente pittoresco di certe produzioni, ciò che ha sempre contato in simili contesti non è tanto la reazione di chi viene efferatamente assassinato, quanto le modalità attraverso cui si porta a termine la cosa. Quindi soprassediamo su interpretazioni che in alcuni casi rasentano il ridicolo, voluto o meno che sia, come quella di Joanna, l’amica di Lisa, o del proprietario del Tulpa; quest’ultimo messo lì apparentemente con lo scopo preciso di farci ridere. Discorso a parte per la Gerini, tolta qualche uscita davvero infelice, e per Placido, gli unici a prodursi in una buona prova.

Nondimeno, il limite più evidente di Tulpa risiede esattamente in questa sua ossessiva rincorsa al genere, finendo con lo sfociare nell’involontaria parodia in alcune delle sue componenti. Eppure non sembra che il film faccia a meno di prendersi abbastanza sul serio, anzi. A più riprese si ride, o quantomeno si sorride, ma in nessun caso per una battuta di spirito o un episodio comico – se non quello in cui l’usciere transessuale del club impugna una katana per braccare un intruso.

Il risultato è un tono velatamente grottesco che si insinua sotto la pelle della pellicola, sformandola. Quelle scene oltremodo violente, riprese con una certa abilità ed una discreta padronanza del genere, tendono tristemente a perdersi in una struttura che vanifica qualche interessante rimando ad opere che in questo settore contano: i guanti neri, le soggettive estreme, l’ottimo make-up artigianale, il plateale esibizionismo di sesso e violenza, e via discorrendo. Tutto viene inghiottito non tanto da una trama comprensibilmente ridotta all’osso, quanto da un intreccio che, pur depistandoci ad un certo punto, lascia sin troppo tiepidi.

Il finale, poi, con quel suo abbandonarsi al mistico andante, rappresenta il degno epilogo di un film paradosso. Perché Tulpa è un prodotto piuttosto discreto per essere un normale b-movie, ma almeno altrettanto mediocre per non esserlo. In questa sua crisi d’identità giacciono buona parte delle ragioni per cui un film crudo come questo potrebbe far storcere il naso anche ai più navigati del genere. E no, non aspettavi qualcosa di trash. Splatter magari, ma non trash. Anche se a chi scrive, in fin dei conti, non sarebbe dispiaciuto affatto.

Voto di Antonio: 4,5

Tulpa (Italia, 2012). Di Federico Zampaglione, con Michele Placido, Claudia Gerini, Michela Cescon, Ivan Franec, Laurence Belgrave, Piero Maggiò, Federica Vincenti e Crisula Stafida.