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Lincoln: Recensione in Anteprima del film di Steven Spielberg

In attesa della serata degli Oscar, alla quale si presenta da favorito, eccovi la nostra recensione in anteprima di Lincoln. Steven Spielberg in cabina di regia

pubblicato 15 Gennaio 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 18:33

Attesa a mai finire per quello che, a conti fatti, è il super favorito di fine mese prossimo, quando si terrà il patinato appuntamento con gli Oscar di quest’anno. Sono 12 le nomination per l’ultimo film di Steven Spielberg, che getta nella mischia un’opera che dovrebbe far discutere per via di alcune capitali questioni, ancora “irrisolte” anche a distanza di un secolo e mezzo dagli eventi in esso narrati.

L’iter, abbastanza schematizzato, che condusse all’approvazione di un emendamento storico, che di fatto mutò radicalmente se non la storia sociale, senz’altro l’approccio alla storia politica degli Stati Uniti d’America. Un risultato impensabile per l’epoca, specie alla luce di dodici emendamenti precedenti che avevano costantemente tutelato la schiavitù dei neri.

Operazione, questa di Spielberg, che mette in risalto una delle pagine più controverse della storia americana, dispiegando come al solito un’ingente forza di mezzi al fine di trasportarci là dove tutto avvenne e si consumò. Una sfida non da poco, nonostante tutto condotta con un certo equilibrio, a dispetto di un argomento piuttosto sensibile come la Guerra di Secessione, sfondo ineludibile dell’intera vicenda. Ma anche (e forse soprattutto) alla luce di lui, una delle figure più influenti della storia, ossia Abramo Lincoln.

Non si facciano ingannare coloro che, presa visione del trailer, si aspettano un film dal ritmo serrato. Niente di più sbagliato. Perché la dolorosa disputa tra Nord e Sud, come tante, troppe volte è accaduto e continua ad accadere nell’ambito di questioni che ci sovrastano, non si è decisa tra gli innumerevoli campi di battaglia. Non i cruenti massacri tra le due fazioni hanno reso possibile un cambio di paradigma così radicale per il tempo, bensì la politica. Quella sporca, cerebrale, a tratti ingiusta. Al riparo da baionette e colpi da fuoco assordanti, in stanze sfarzose e ben riscaldate: è in tale cornice che è stata condotta l’unica campagna che contava. Qui si è cimentato il vero protagonista di questa infausta circostanza: l’homo politicus.

L’essenza di Lincoln, inteso come film, filtra mediante la descrizione dei profili di una serie di uomini che, volenti o nolenti, hanno dovuto trasformarsi per darsi alla politica. Da qui le ambivalenze, le idiosincrasie, tratti somatici imprescindibili di chi si getta a capofitto in siffatto agone, cercando disperatamente di restare in piedi fino all’ultimo.

Doverosa premessa, quella di cui ci siamo appena liberati, poiché meglio ci agevola al fine di quanto ci accingiamo ad evidenziare. Detto senza ulteriori indugi, l’ultima opera di Spielberg non è affatto un film di guerra; tale tematica è tenuta lì, sullo sfondo, a debita distanza da ciò su cui realmente rivolgere l’attenzione. E se questo di per sé potrebbe non meravigliare, quello che tocca necessariamente constatare è che ci troviamo dinanzi ad un thriller politico in costume. Questa ci pare la descrizione più calzante.

Ogni singolo momento che conta nell’economia della narrazione, passa attraverso dialoghi anziché azioni vere e proprie. Ed è in fondo su tale terreno che Spielberg si gioca tutto, potenziando al massimo l’incisività delle tante conversazioni e dei pochi monologhi, su cui ricade il peso di imbastire pressoché l’intero discorso. Un’intelaiatura che fa a meno di cannonate ed exploit di questo tipo, tessuta attorno performance di attori le cui interpretazioni rappresentano il reale valore aggiunto (tutti ineccepibili).

Non per questo Spielberg è meno bravo, sia chiaro. In apertura abbiamo menzionato l’equilibrio con cui i pezzi sono stati tenuti insieme, espressione di un’abilità che di certo non sveliamo noi oggi. La pellicola si dimostra piuttosto bilanciata, senza indulgere nell’operazione di smitizzazione di Licoln, in questa sede messo in discussione in maniera tutto sommato onesta, anzitutto sul versante politico. Resta l’eroe che tutti conoscono, ci mancherebbe, ma non l’unto dal Signore che a tanti piace credere – nonostante la definizione di “più puro” che gli viene appioppata in chiusura. Eppure la vibrante prova di Daniel Day-Lewis evidenzia a più riprese alcuni dei tratti che ci piace immaginare caratteristici di questa figura, e quindi del leader ideale: colui che sceglie, colui che prende decisioni – e che, come spesso accade, è sorretto da una donna (ottima Sally Field nei panni della moglie).

Al di là della solita magniloquenza con cui ci si pone dinanzi a concetti come Uguaglianza e Democrazia (quelle con la prima lettera maiuscola), il suo Lincoln ben manifesta gli atroci dubbi con cui un uomo chiamato a svolgere il suo stesso compito deve confrontarsi. L’oneroso fardello della scelta, che in politica non è mai, in nessun caso, facile: si tratta sempre di stabilire quale sia la meno peggio per amore di ottenere lo scopo prefissato. Climax che tocca la propria vetta allorquando il Presidente, stanco dei soliti paletti e delle vuote recriminazioni dei propri collaboratori, sale in cattedra e proclama la sua verità: “sono stato investito di un potere inimmaginabile. Sono io il Presidente degli Stati Uniti d’America!“.

Inevitabile il ricorso a termini forti, quale dittatore, ad esempio. Ma, in questo caso, alla retorica buonista, legalista e giustizialista non resta che fare un passo indietro. Quel popolo, in quel preciso momento, aveva bisogno di un uomo in grado di prendere una decisione ed una soltanto; rileva poco che non fosse la più corretta e che il suo autore non fosse scrupoloso alla lettera dinanzi alla Legge. Contro tutto e contro tutti (compreso sé stesso), la pellicola ci mostra un capo, nell’accezione più nobile del termine, caricare su di sé il destino di un’intera nazione non ancora divenuta tale. Come emerge da uno scambio di battute tra Lincoln ed un telegrafista in uno dei passaggi chiave, la statura di uomo di misura in base alla sua adeguatezza al periodo in cui vive. Non all’adeguarsi, attenzione alla notevole differenza. E dopo circa due ore di incalzanti botta e risposta, battute al vetriolo e maneggi assortiti, il noto epilogo, senza indugiare più di tanto sulla prevedibile morale.

Ma se sotto l’aspetto contenutistico Lincoln si offre a più letture, non necessariamente inconciliabili, sotto quello tecnico c’è poco da discutere. Fotografia impeccabile, costumi e trucco oltremodo calzanti, musica saggiamente centellinata nonché appropriata. A questo si aggiunge una regia mai invasiva, che lascia scorrere gli eventi e ciò che li compone agevolmente ed in modo alquanto gradevole, tra frasi ad effetto, frenetici battibecchi ed uscite deliziose. La stessa regia che, in chiusura, si concede pure un tocco di classe, per via del ricorso a una metafora che, piaccia o meno, chiosa in maniera cinematograficamente di livello lo stato d’animo del suo indiscusso protagonista (ci riferiamo a due paia di guanti… capirete). Un film, insomma, che piacerà tanto agli americani, specialmente all’Academy.

Prima dell’assassinio che lo consegnò alla storia, però, c’è anche modo di farsi sfuggire un’ultima, risoluta sentenza circa la tematica di fondo, ossia la tanto agognata uguaglianza. Ciò avviene quando il Presidente, a Guerra oramai conclusa, decide di recarsi di persona, per la prima volta, nel luogo dove si è appena consumata una sanguinosa battaglia. Lo vediamo lì, avanzare a passo d’uomo in sella al proprio cavallo, mentre contempla gli esiti di una carneficina. Ecco, vi mettiamo a parte di un pensiero che ci ha sfiorato immediatamente, in cui Lincoln, osservando le carcasse inermi di tanti soldati, non importa di quale fazione, rimugina tra sé e sé quanto segue: “Ecco a voi l’uguaglianza. L’unica che ci è davvero concessa“.

Voto di Antonio: 8
Voto di Gabriele: 9

Lincoln (USA, 2012), di Steven Spielberg. Con Daniel Day-Lewis, Sally Field, David Strathairn, Joseph Gordon-Levitt, James Spader, Hal Holbrook, Tommy Lee Jones, Lee Pace, David Oyelowo, Jackie Earle Haley, Bruce McGill, Tim Blake Nelson, Joseph Cross, Jared Harris, Peter McRobbie, Gulliver McGrath, Gloria Reuben, Jeremy Strong, Michael Stuhlbarg, Boris McGiver, David Costabile, Stephen Spinella, Walton Goggins, David Warshofsky, Colman Domingo, Lukas Haas, Dane DeHaan, Carlos Thompson, Bill Camp, Elizabeth Marvel, Byron Jennings e Julie White. Qui il trailer italiano. Nelle nostre sale dal 24 Gennaio.