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Quartet: Recensione in Anteprima

Quartet, esordio alla regia per Dustin Hoffman, approderà a giorni nelle nostre sale. Noi vi offriamo la nostra recensione in anteprima

pubblicato 22 Gennaio 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 18:19

Un rinomato ospizio britannico è sede privilegiata di musicisti e cantanti lirici oramai in pensione. Beecham House è una gigantesca ed incantevole villa dallo stile vittoriano, contenitore di miti, ricordi e leggende. Tuttavia anche questa istituzione rischia di venire travolta da problemi economici: solo una raccolta fondi, passerella per vecchie glorie da tempo lontane dalle luci della ribalta, potrà sventare la minaccia della chiusura.

Fervono i preparativi per la grande serata di gala, mentre i non più giovani ospiti si sono talmente abituati ai capelli bianchi che portano in testa da non riuscire a prendere sul serio nemmeno l’ipotesi di non avere più un tetto sopra questa chioma argentea. Insomma, nonostante tutto l’organizzazione procede, finché Jean Horton (Maggie Smith) non arriva alla Beecham.

Il solo ingresso di questa celebre new entry porta scompiglio. Tra vecchie amicizie, inimicizie e addirittura amori, Jean innescherà una serie di dinamiche che coinvolgeranno più di una storia. Da tali premesse parte Quartet, esordio in cabina di regia di Dustin Hoffman, immerso in una commedia sobria ma alla quale non manca un certo piglio. Cerchiamo di capire il perché.

L’ambito è quello del ritratto più o meno scanzonato della cosiddetta terza età, oramai in balia di sé stessa ma soprattutto dei ricordi. Perché se invecchiare è già difficile per gente ordinaria, tanto più lo è per chi ha trascorso buona parte della propria vita calcando sfarzosi palcoscenici di teatri monumentali.

Si sarebbe portati a credere, non da ultimo per via del titolo, che in Quartet possa ad un certo punto insinuarsi e tiranneggiare la tematica inerente alla musica. Ed invece Ronald Harwood, lo sceneggiatore, mantiene il giusto distacco da quello che rimane comunque un argomento forte, il cui peso c’è e si sente.

Basti pensare a quali fonti attinge la colonna sonora, che si serve a piene mani di parecchi brani senza tempo di Opere più o meno note anche a chi non ha avuto modo di assistervi: Traviata e Rigoletto über alles; quest’ultima citata non a caso, poiché elemento che accomuna i quattro protagonisti e la cui menzione ricorre più e più volte.

Un’avventura alquanto sobria, che stempera l’atmosfera di rado pesante con dei toni da commedia a tratti anche sboccata. Sboccata, sì, ma mai volgare. Non lo è nemmeno quando Wilf (un simpatico ed esuberante Bill Connolly) si lascia andare a continue avance verso il gentil sesso, di qualunque età ed estrazione: sorride, scherza, si prodiga in battutacce, lasciando spesso il segno.

Ammaliante Pauline Collins, la cui prova mescola dolcezza e mestizia con un’amabilità unica. Nondimeno resta forte la presenza della Smith, sul cui fascino attoriale c’è poco da discutere: da quando entra nel film la sua presenza continua a percepirsi anche nelle scene in cui non compare, mostrando uno charme che in fondo accomuna un po’ tutti i principali membri del cast. Pensiamo a Michael Gambon, qui nel ruolo di comprimario – per quanto si tratti di una pellicola intimamente corale. Basta un’estrosa vestaglia ed un inusuale copricapo per conferirgli quel pizzico di forma che la sua performance completa in maniera davvero efficace.

Hoffman però non risparmia lo spettatore, compiacendo una generazione avanti con gli anni. Anche quel lieve accenno a certi cliché tipici della vecchiaia ben si sposano con scenari meno indulgenti. Si sorride in più di un’occasione, senza però tacere sul dramma di chi, a questo punto della propria corsa verso l’ignoto, convive anche con infermità o disturbi di varia natura; come a dire: “sì c’è pure questo, ma non ci si fossilizzi sopra”. Perché anche in una situazione di questo tipo dev’esserci dignità, ancor più in quello spicchio di creato dove vige il proverbiale aplomb britannico. Sorridere non è comunque sintomo di scarsa compostezza.

Si potrebbe obiettare che il tutto si regga in maniera talmente evidente sulla recitazione dei propri pilastri, che a molti questa pellicola potrebbe addirittura scivolare addosso. È probabile, ma è il rischio che si corre quando non si corrono troppi rischi: l’andamento segue grossomodo il destino di certi brani con cui viene accompagnato, o lo si apprezza o lo si soffre. D’altronde non è del tutto assente un palese autocompiacimento nel mostrare volti storici del teatro e del cinema made in UK, unica ma rilevante componente mediante cui il film strizza l’occhio a chi lo guarda.

Ma il quid in più di Quartet sta in fin dei conti sulla riflessione di fondo. Un film che, senza troppo soffermarsi su banali sentenze e crassi luoghi comuni, offre un cordiale spaccato su un periodo della vita che, come tutti gli altri, porta in dote le sue sfide. Volendo un po’ trarre qualche motivo di convincimento, ci pare che la verità di Quartet giaccia sulla considerazione che la vecchiaia, lungi dall’essere qualcosa di sin troppo conosciuto, apre verso uno spazio inesplorato. Un mondo di cui è facile discutere, che è ancora più facile compatire, ma di cui in fondo sanno poco anche coloro che ci si imbattono. Magari è pure vero che ogni età ha da offrire le sue ricchezze. E Quartet, a suo modo, riesce a farcene cogliere qualcuna.

Voto di Antonio: 6,5

Quartet (UK, 2012), di Dustin Hoffman. Con Maggie Smith, Albert Finney, Tom Courtenay, Billy Connolly, Pauline Collins, Sheridan Smith, Michael Gambon, Jumayn Hunter, Luke Newberry, Trevor Peacock, David Ryall, Michael Volpe, Eline Powell, Sarah Crowden, Denis Khoroshko, Shola Adewusi, Kent Olesen, Patricia Loveland, Dame Gwyneth Jones e Colin Bradbury. Qui il trailer italiano. Nelle nostre sale da giovedì 24 Gennaio.