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Cella 211 – di Daniel Monzón: recensione in anteprima

Cella 211 (Celda 211, Spagna / Francia, 2009) di Daniel Monzón; con Luis Tosar, Alberto Ammann, Antonio Resines, Marta Etura, Carlos Bardem.Juan Olivier sta per iniziare il suo nuovo lavoro da secondino: ma il suo incarico sfortunatamente parte proprio con l’inizio di una rivoluzione da parte dei carcerati, capitanati dal violento Malamadre. Ora Juan si

pubblicato 11 Aprile 2010 aggiornato 2 Agosto 2020 07:04

Cella 211 (Celda 211, Spagna / Francia, 2009) di Daniel Monzón; con Luis Tosar, Alberto Ammann, Antonio Resines, Marta Etura, Carlos Bardem.

Juan Olivier sta per iniziare il suo nuovo lavoro da secondino: ma il suo incarico sfortunatamente parte proprio con l’inizio di una rivoluzione da parte dei carcerati, capitanati dal violento Malamadre. Ora Juan si ritrova imprigionato con loro e non deve farsi mettere i piedi in testa, pena la morte. Decide così di presentarsi non come un secondino, ma come un nuovo arrivato, un nuovo carcerato…

Eccolo qui un bel prodotto di genere, secco e avvincente come li vogliamo. E non potrebbe essere altrimenti, visto che arriva dritto dalla Spagna, nazione che negli ultimi anni il cinema di genere l’ha cullato in modo interessante.

Cella 211, presentato con successo alle ultime Giornate degli Autori veneziane, applica le regole del genere carcerario in modo sapiente, ma le rimescola alla base: qui il secondino al suo primo giorno di lavoro resta rinchiuso nel carcere e deve appunto fingersi carcerato per sopravvivere alla violenta rivolta capitanata dal “boss” Malamadre.

Una situazione estrema che permette al bravo Monzón di giocare con tutti i cliché del caso, omosessualità latente inclusa, e di confezionare un prodotto teso e violento che non fa sconti a nessuno: altra caratteristica del cinema spagnolo, non a caso, che in dosi di cattiveria non si risparmia di certo.

In Cella 211 non si salva nessuno, e non si fa di certo tifo per la polizia, che è in realtà la parte più meschina di una società che non può che reagire con esplosioni di violenza. E così si spera che Juan sopravviva ad una realtà che non avrebbe mai immaginato: il suo personaggio resta in testa, così come Malamadre, rude e violento capo della rivolta, capace di intimorire ed emozionare.

Impossibili i paragoni con l’altro film carcerario in questi giorni nelle sale, Il profeta: lì siamo su un altro pianeta, in quello della novità e dell’autorialità, un capolavoro assoluto che in comune con Cella 211 ha ben poco. Ma è uno scontro ad armi impari, che appunto non si dovrebbe neanche fare. Ma il film di Monzón, con la sua sceneggiatura, i colpi di scena ben assestati e la giusta dose di sangue, trascina lo spettatore fino al clamoroso finale: non sottovalutiamolo.

Voto Gabriele: 8
Voto Federico: 7
Voto Carla: 7

Dal 16 aprile al cinema.

Festival di Venezia